Questione di fede

Tra Irvine Welsh e George Best, essere dell'Hibernian implica un senso di appartenenza consolidato negli anni. In attesa di ritornare a essere protagonisti in prima divisione

Cowgate puzza. Come tutte le strade del centro storico di Edimburgo, Cowgate puzza di malto, luppolo e lievito. Nel 1875 lì, in quello che era un piccolo vicolo della capitale scozzese, immigrati irlandesi (quindi cattolici) fondarono l’Hibernian Football Club, la squadra di calcio che avrebbe dovuto far sentire a casa chi era arrivato nella protestante Scozia con pochi soldi, stufo delle patate mangiate ogni giorno al di là del mare. Sei pali, quattro linee, un prato: i Meadows, giardini che dominano ancora il sud-est di Edimbrà, furono per i primi anni il teatro delle scorribande dei calciatori irlandesi; poi Newington; poi Easter Road, a Leith, dal 1890 e per sempre.

È il quartiere più vicino al mare di tutta la capitale e forse per questo gli irlandesi decisero di trasferire la loro squadra in una periferia lontana che sarebbe diventata il simbolo della classe operaia scozzese – quella, per intenderci, che negli anni Ottanta riuscì a fermare la rivoluzione liberista di Margaret Thatcher al confine con l’Inghilterra. Leith aveva quella strada con quel nome così evangelico che era quasi un presagio: Easter Road doveva essere la casa degli Hibs e così fu. Loro erano quelli che pregavano Dio per non dover soffrire troppo in nome del calcio e, ora come allora, è la rivalità con l’Heart of Midlothian, il club dei protestanti di Edimburgo, a far piangere e sognare. Nonostante i lunghi campionati, le retrocessioni e le coppe, perse dagli uni e vinte dagli altri.

<> at Easter Road on March 22, 2015 in Edinburgh, Scotland.
Un momento del playoff contro i Rangers. Stu Forster/Getty Images

La Scottish Championship 2014-2015 è stata la “serie B” più difficile di sempre. Ai nastri di partenza 64 titoli nazionali scozzesi su 118, con Dumbarton, Rangers, Hearts e Hibernian che si dividono il bottino in modo non uguale (solo gli azzurri di Glasgow, per esempio, contano 54 titoli in bacheca). Le due squadre di Edimburgo, ciascuna con quattro campionati vinti quando il calcio era al massimo in bianco e nero, si sono ritrovate a lottare per la promozione dopo l’epic drama della stagione precedente: due retrocessioni e il saluto della capitale alla Premier. A fine anno Hearts, Hibernian e Rangers, si sono piazzate al primo, secondo e terzo posto, ma solo i primi sono stati promossi direttamente.

Il ritorno degli Hibs in seconda divisione ha coinciso quasi subito con la parola magica del vocabolario del tifo: derby. È la seconda giornata di campionato, domenica 17 agosto 2014, Hibernian e Hearts si sfidano sul campo dei protestanti, il Tynecastle. Favoriti non ce ne sono. A Easter Road, una settimana prima, gli Hibs avevano vinto contro il Livingston; l’Heart era invece stato battuto dai Rangers a Ibrox. È il primo dei quattro scontri diretti di Championship: al 31esimo, sullo zero a zero, Liam Craig, capitano e numero 10 dell’Hibernian, va sul dischetto. Poggia il pallone, prende la rincorsa, calcia e sbaglia. Il derby lo vincono gli altri, 2 a 1.

Il primo derby stagionale lo vince l’Heart. Pesa, per gli Hibs, l’errore dal dischetto di capitan Craig

La rivincita è arrivata nove mesi dopo, giusto il tempo di una gestazione. Il 12 aprile 2015 a Easter Road, giornata numero 33 del campionato, l’Heart è in testa alla classifica e si presenta con 26 punti di vantaggio su Rangers e Hibs che sono al secondo posto. I maroons sono già in Premier. L’Hibernian ha raggiunto la settimana precedente i Rangers che però adesso hanno una partita in più da giocare. La vittoria a Easter Road è fondamentale: i due derby precedenti sono finiti in pareggio, entrambi per 1 a 1, e vincere permetterebbe agli Hibs non solo di difendere la classifica, ma di ristabilire la parità in città, proprio nell’anno in cui l’Heart viene promosso dopo un cammino trionfale.

In campo i calciatori sono tesi: la partita inizia moscia e Liam Craig è in panchina. Easter Road carica e il ritmo sale, ad attaccare è l’Hibernian che quando accelera gioca al bersaglio: Neil Alexander, il portiere degli altri, para e se non ci riesce viene salvato dalla traversa. Al 30esimo la confusione in area aiuta Jason Cummings che quasi non si accorge di avere l’1 a 0 sui piedi quando in area piccola gli arriva quel pallone sporco da buttare dentro. L’Heart è sotto, ci prova per un’ora, ma rischia troppo. La squadra si apre e l’Hibernian nel recupero trova spazi immensi: Malonga si fa tutto il campo palla al piede, arriva in fondo e la passa dolce e morbida a Farid El Alagui, libero al suo fianco. Basta un tocco, due a zero e via la maglia: «Some fucking party», cantano sugli spalti.

Ad aprile l’Hibernian si prende la rivincita contro i rivali cittadini: sugli spalti è un tripudio di bianco-verde

Era da sei incontri che l’Hibernian non vinceva un derby, troppo anche per una città come Edimburgo. A certe latitudini i ricordi cattivi restano indelebili e più passa il tempo, più fanno male. La finale di Coppa di Scozia del 19 maggio del 2012 i tifosi dell’Hibernian non riusciranno mai a cancellarla dalla memoria. A Edimburgo faceva caldo, era sabato pomeriggio e l’Hibernian fu sconfitto 5 a 1 dall’Hearts all’Hampden Park di Glasgow, in uno di quei derby che non puoi proprio perdere.

Erano passati 116 anni da quando il caso (più delle capacità sportive) aveva voluto che le due squadre di Edimburgo giocassero per la prima volta la finale della Coppa nazionale. Quella partita, che finì 3-1 per l’Heart, era andata così male che i tifosi degli Hibs avevano sperato per più di un secolo di poter rimettere in ordine ciò che era stato lasciato in sospeso nel 1896. A Hampden Park, generazioni e generazioni dopo, la questione era tutta qui: lavare l’onta centenaria e ribadire le gerarchie cittadine. Attraversando i quartieri colorati di Edimburgo, dalle strade subito dietro l’University fin giù verso il mare, si passava pian piano dai balconi color granata intenso alle finestre bianco-verdi. A fine partita continuò a sventolare festante solo una delle grandi bandiere.

La finale di Coppa di Scozia del 2012, un ricordo terribile per tutti i tifosi dell’Hibernian

Dice Sick Boy: «Ah’d rather see ma sister in a brothel than ma brother in a Hearts scarf n that’s fucking true». Lui è il ragazzo con i capelli ossigenati di Traispotting; a scrivere è l’autore, Irvine Welsh, uno che del tifo per gli Hibs ne ha fatto quasi un genere letterario. Nato e cresciuto a Leith, a pochi passi da Easter Road, Welsh da bambino andava a guardare gli allenamenti dei calciatori che sosteneva la domenica. È figlio della cultura Irish di Edimburgo e c’è da credergli quando dice che preferirebbe vedere sua sorella in un bordello che suo fratello con la sciarpa dell’Heart. Nessuno dei suoi protagonisti, a meno che non siano anti-eroi letterari, lo farebbe mai: il fùtbal è la maglia bianco-verde, portatrice sana di valori e simbolo di casa. Welsh insinua la sua passione per l’Hibernian ovunque e chi ha visto il più famoso dei film tratto da un suo romanzo non avrà certo dimenticato i colori della maglietta indossata da Mark Renton nel prologo di Trainspotting: è quella degli Hibs.

Welsh era uno di quelli che da ragazzo con mezza sterlina in tasca correva al The Albion Bar per una pinta di birra spillata bene. La beveva guardando le maglie dei Famous Five appese alle pareti e fissando dalla finestra appannata l’ingresso di Easter Road. I vecchi hooligan gli raccontavano di Gordon Smith, Bobby Johnstone, Lawrie Reilly, Eddie Turnbull e Willie Ormond che tra il 1948 e il 1953 vinsero tre campionati nazionali e due volte finirono al secondo posto, solo per sfiga: un punto nel ’50 e una manciata di gol nel ’53. Davanti sempre i Rangers.

Un tifoso degli Hibs. Mark Runnacles/Getty Images
Un tifoso degli Hibs. Mark Runnacles/Getty Images

Sono i vecchi hooligan che rimangono impassibili di fronte a una leggenda come George Best che arriva a Edimburgo a novembre, nel 1979 per giocare a Leith. È il momento peggiore della sua carriera, è uno dei momenti peggiori della storia dell’Hibernian, inchiodato all’ultimo posto in classifica. Welsh ha vent’anni ed è esaltato, i vecchi no perché sanno che non potrà mai segnare come i Famous Five. Il debutto di Best fu contro il St. Mirren, fuori casa. A guardare il match andò più del doppio della media stagionale di spettatori: erano 13.670, per il solo piacere di vederlo. L’Hibernian perse due a uno, Georgie segnò, ma l’allenatore del St. Mirren a fine partita mostrò quella calma serafica che nasconde un godimento infinito: «A me non importa della loro star se i miei ragazzi fanno un gol in più».

Best faticava in campo, era gonfio e a 33 anni già si faceva sentire l’alcool che l’avrebbe ucciso nel 2005. Salutò Edimburgo dopo meno di un anno, a 325 giorni dalla firma del contratto, il 22 ottobre 1980. Welsh aveva 21 anni. «Il matrimonio tra George Best e l’Hibernian può considerarsi finito» recitava il malinconico comunicato. Gli Hibs erano ormai retrocessi: il Belfast Boy aveva giocato 22 partite e segnato appena tre gol. Uno di questi al Celtic Park, contro la squadra più tifata in Irlanda del Nord: «Beautiful gol by Best», furono le parole giuste per descriverlo. Le più belle della sua vita a Leith.

Il fantastico gol di George Best al Celtic, ai tempi dell’Hibernian

 

Nell’immagine in evidenza, tifosi dell’Hibernian allo stadio in occasione della finale di Coppa contro l’Heart, il 19 maggio 2012. Ian Walton/Getty Images