Pregi e difetti di una moviola in campo

Nel rugby esiste dal 2001, ma nel tempo ha preso sempre più spazio dilatando le partite e riducendo il potere decisionale dell'arbitro. Sicuro che sia un bene?

Una delle immagini simbolo della prima fase della Coppa del Mondo di rugby che si sta disputando in Inghilterra è quella di Jaco Peyper, arbitro del match inaugurale tra Inghilterra e Figi. Il sudafricano ha le mani incrociate, lo sguardo rivolto al maxischermo, la bocca un po’ aperta. Insomma, è perplesso e confuso, indeciso su cosa fare.

Siamo al ventisettesimo del primo tempo, il mediano di mischia figiano Nikola Matawalu ha appena sorpreso la difesa inglese, raccolto un ovale dalla mischia e percorso metà del campo prima di gettarsi oltre la linea di meta, contrastato soltanto dall’ultimo difensore britannico. Palla appoggiata, meta assegnata e festa figiana. Ben Volavola è pronto sulla piazzola per trasformare la meta, sul maxischermo scorre il replay e gli ottantamila di Twickenham rivedono l’azione e gridano di indignazione. Pare che Matawalu abbia perso il pallone prima di schiacciarlo in meta. Cioè non ha segnato, la meta è da annullare.

Peyper capisce è successo qualcosa, ferma tutti, non fa calciare Volavola e chiede al TMO di rivedere tutto. L’instant replay, quella tecnologia di cui si discute da anni in diversi sport — calcio compreso —, e che nel rugby è già in uso da parecchio tempo, fa il suo debutto nella Rugby World Cup 2015. Le immagini che passano di fronte allo sguardo  dell’arbitro addetto alla televisione, video officer, e da Peyper con sguardo perplesso e confuso, sono chiare e comprensibili. Meta annullata e tutto da rifare per le Fiji.

Il match tra Inghilterra e Figi.

Una situazione emblematica, cui si è aggiunto un utilizzo costante e, secondo molti addetti ai lavori, perfino eccessivo tanto da parte di Peyper che degli altri arbitri assegnati alle prime partite del mondiale. Al punto che, dopo il primo weekend, gli organizzatori e il capo degli arbitri John Jeffrey hanno prestato formale richiesta ai colleghi di limitare le chiamate al TMO e di prendere le decisioni il più velocemente possibile.

La tecnologia è fondamentale, ma bisogna evitare che diventi un sostituto dell’arbitro, che si trasformi in uno strumento invadente e rovini lo spettacolo in campo. Se è vero che la decisione di Peyper ha portato al giusto annullamento della meta delle Figi, è anche vero che durante il  primo weekend del torneo, ben il 28% del tempo in cui il cronometro è rimasto fermo è stato per colpa del TMO. Perché? Perché l’evoluzione dell’utilizzo del Television Match Officier ha portato molti arbitri sull’orlo di perdere il coraggio di decidere, affidandosi eccessivamente a quella che è diventata una vera e propria badante.

Per molti arbitri il TMO è diventato una vera e propria badante

Il TMO è stato introdotto nel rugby nel 2001 e, a quei tempi, il suo utilizzo era limitato. Poteva richiederlo solo l’arbitro e solo per controllare se una meta fosse stata marcata o meno. Insomma, una specie di “occhio di falco” da interpellare per capire esattamente cosa fosse successo all’interno dell’area di meta in caso di dubbio sui punti da attribuire. Col tempo, però, il video officier ha visto le sue funzioni aumentare. Col passare degli anni, infatti, le azioni che possono essere analizzate a posteriori si sono spostate anche fuori dalla linea di marcatura. C’è il dubbio che un calcio non sia finito tra i pali? Lo rivede il TMO. C’è stato un fallo nell’azione che ha portato alla meta? Il TMO può dirlo. C’è un fallo antisportivo, un colpo proibito dato in qualunque zona del campo? Il TMO può controllare.

Non è tutto: oggi, se all’arbitro fosse sfuggito qualcosa, ma il guardalinee potrebbe segnalargli il dubbio ed ecco che il Television Match Officier torna in gioco. Addirittura, è lo stesso moviolista che  può avvisare l’arbitro in campo di una possibile scorrettezza.

England v Scotland - RBS Six Nations

Da un utilizzo passato, sporadico e mirato, oggi affidarsi alla moviola rischia di diventare un intercalare costante e continuo durante una partita. Spezzando il ritmo, allungando i tempi, annoiando il pubblico. Tornando a Inghilterra-Figi e a Jaco Peyper, basti pensare che il match d’esordio dei mondiali si è trascinato per oltre cento minuti, venti in più del tempo regolamentare, proprio a causa del bisogno quasi compulsivo da parte dell’arbitro sudafricano di affidarsi ai replay per prendere qualsiasi decisione.

Il rischio è spezzare il ritmo, allungare i tempi, annoiare il pubblico

«Ci mette troppo tempo. È il processo che è sbagliato. È importante che le decisioni siano quelle giuste nei momenti importanti del match, ma lavoriamo per far sì che arrivino velocemente, in maniera coincisa ed equilibrata», ha dichiarato l’ex campione australiano Michael Lynagh parlando delle prime partite dei Mondiali.

Il TMO è il male? No, anzi. La tecnologia ormai è fondamentale nello sport e l’utilizzo del TMO per come viene fatto nel rugby non è solo un mezzo per evitare gli errori arbitrali, ma anche il modo per garantire la certezza degli spettatori. Quello che vede il TMO viene trasmesso in diretta sui maxischermi dello stadio e in televisione. Così, una meta che in tempo reale e dagli spalti appariva netta, con un’immagine rallentata e ravvicinata diventa chiaramente un’occasione mancata, spegnendo immediatamente i possibili mugugni del tifoso.

Eppure è già da tempo che dubbi e polemiche accompagnano l’utilizzo di questa tecnologia sui campi ovali. In particolare, e torniamo al caso da cui siamo partiti, se l’arbitro decide di prestarvi attenzione dopo le proteste degli spettatori. Quello che è successo a Twickenham con Jaco Peyper era già accaduto nello stesso stadio quasi un anno fa, quando l’Inghilterra ha affrontato gli All Blacks. L’arbitro gallese Nigel Owens, considerato a ragione il miglior fischietto al mondo, per ben due volte ha chiamato la moviola dopo esser stato “esortato” dal pubblico. La prima in occasione della meta del pilone neozelandese Charlie Faumuina, con il TMO che però ha confermato la decisione arbitrale di assegnare la marcatura. La seconda, più importante, in occasione del fallo di reazione di Dane Coles, inizialmente non vista dalla terna. Il pubblico, però, ha convinto Owens ad approfondire portandolo alla decisione, presa insieme al TMO, di ammonire il tallonatore degli All Blacks. Riaprendo la partita.

____________2

Una situazione simile a quella che è costata il match a Johannesburg poche settimane fa, quando il pubblico sudafricano ha spinto l’arbitro a rivedere l’azione nella quale il flanker neozelandese Liam Messam placcava alto Schalk Burger. Un replay che ha portato al piazzato per gli Springboks e ai tre punti di Pat Lambie che hanno deciso la sfida.

L’allenatore degli All Blacks, Steve Hansen, a fine partita ha messo in evidenza l’altro rischio connesso alla moviola. Se i replay televisivi possono influire sulle partite, allora chi trasmette le partite in tv può influire sul risultato. Per assurdo, questo il pensiero di Hansen, se la regia televisiva può decidere cosa mostrare e cosa non mostrare a rallentatore, allora una produzione televisiva che in questo caso consideriamo inglese può preferire di non trasmettere il replay di un’azione che potrebbe punire i britannici, mentre sarebbe spinta a mostrare immediatamente e con tanti punti di inquadratura un fallo commesso dagli avversari e non visto dall’arbitro.

Nigel Owens si “ribella” al TMO.

C’è speranza che il rugby non diventi una versione sportiva delle distopie fantascientifiche in le macchine dominano gli esseri umani, trasformandoli in automi? Sì, e arriva proprio da questa Coppa del Mondo e proprio da Nigel Owens. A differenza di Jaco Peyper, infatti, Owens si è “ribellato alle macchine” quando, durante la partita tra Tonga e Georgia, è intervenuto su un placcaggio scomposto di un giocatore tongano. Owens ha lasciato correre, ma non il TMO, che gli ha chiesto di rivedere le immagini. Tempo fermo e replay che scorrono. Il video officier è apparso convinto della pericolosità del placcaggio troppo alto e ha spinto per una punizione. Owens, invece, in maniera educata ma ferma lo ha interrotto con una delle frasi a effetto del suo repertorio: «Basta, ho visto abbastanza. È un placcaggio di rugby, andiamo avanti senza perdere tempo». E si è ripreso a giocare.

La tecnologia nel rugby, come in tutti gli sport, è importantissima e aiuta a rendere il gioco più credibile e a limitare l’errore umano. Va utilizzata al meglio, senza rimanerne schiacciati. L’arbitro deve farne buon uso, ma senza utilizzare le immagini tv come un alibi. Altrimenti, per dirla con il Ct Georgiano Milton Haig, il rischio è che la nuova generazione di tifosi scappi via annoiato.

 

Nell’immagine in evidenza, il disappunto di Mike Brown, degli Harlequins, dopo la verifica del TMO. David Rogers/Getty Images.