Fuori dal recinto

Come il Gent è riuscito, per la prima volta nella sua storia, a vincere il campionato belga: c'entrano un ex insegnante e un allenatore che cercava giocatori su Google.

Vent’anni fa il Belgio entrava nella storia del calcio attraverso un modesto centrocampista del Royal Football Club Liegi, Jean-Marc Bosman, con la sua battaglia legale che trasformò il mondo dei trasferimenti. Oggi il Belgio un pizzico di storia l’ha invece scritta sul campo, posizionandosi per la prima volta al numero 1 del ranking FIFA. Una grande impresa, non solo se rapportata alle dimensioni del paese di Re Baldovino, ma anche in relazione allo stato nel quale si trovavano i Diavoli Rossi una decina di anni fa, quando oscillavano tra la 71esima (dicembre 2007) e la 62esima (dicembre 2010) posizione del ranking, e non si trovavano emittenti disposte ad acquistare i diritti per trasmettere i match della nazionale.

Sembra passata una vita, guardando oggi la rosa di valore assoluto a disposizione del ct Wilmots. C’è la crema della Premier League, e un paio di giocatori al top in Serie A. E poi ci sono Matz Sels, Laurent Depoitre e Sven Kums, ovvero l’altro lato della medaglia del calcio belga, quello lontano dai riflettori, confinato in ambito locale, nella piccola Jupiler Pro League. Ma la congiuntura è talmente favorevole che il boom si è propagato fino in provincia, in questo caso nelle Fiandre Occidentali. A Gent.

Sels, Depoitre e Kums arrivano da lì, da una società che ha come logo un capo indiano pellerossa, frutto di un tour europeo agli inizi del Novecento del Buffalo Bill’s Wild West Show che toccò anche le Fiandre Occidentali. I dirigenti di un’antica polisportiva chiamata La Gantoise, che solo nel 1971 avrebbe adottato il nome fiammingo di Gent, furono talmente colpiti dallo spettacolo da decidere di adottare la simbologia western per la propria sezione calcistica. Nick incluso, visto che sono soprannominati Bufali.

Il 2-0 allo Standard Liegi dello scorso campionato, che ha regalato il primo storico titolo al Gent.

Il Gent è rimasto intrappolato nella propria dimensione di provincia per 115 anni, sospeso in un limbo dove ambizione e realtà correvano lungo corsie parallele destinate a non incontrarsi mai. Il vero successo – leggi il titolo nazionale – è sempre stato un passo più in là. Troppo forte il potere economico di Anderlecht, Club Brugge e Standard Liegi, ripeteva come un mantra il popolo dei Bufali, ma allora come la mettiamo con Beveren, Mechelen e Lierse, le tre provinciali che a cavallo tra gli anni 80 e i 90 si erano divertite a scombinare le gerarchie del calcio belga?

Ma nel sensazionale 2015 del mondo pallonaro belga è crollato un altro tabù: Gent campione nazionale. Il più grande miracolo calcistico degli ultimi 18 anni, aveva scritto il quotidiano Het Nieuwsblad lo scorso giugno, e una volta tanto la stampa non ha esagerato. Perché rispetto alle provinciali citate sopra, finite tutte male dopo la vittoria del campionato (Beveren e Mechelen sono falliti, il Lierse è nella mani di un faccendiere egiziano e oggi milita in seconda divisione), il Gent è forte come società ancor prima che come squadra.

Il Gent è rimasto intrappolato nella sua dimensione di provincia per 115 anni.

Nel 1999, quando l’attuale presidente Iwan De Witte acquistò il club, si trovò a dover ripianare 23 milioni di euro di debiti, a fronte di un fatturato che sfiorava a malapena i 5 annui. Il suo primo acquisto fu un ex insegnante, Michel Louwagie, a cui diede la carica di direttore generale e il compito di rimettere in piedi la società attraverso una robusta dieta riequilibrante. La sfida era doppia: da un lato era necessario sanare una situazione economica drammatica, dall’altro fermare l’emorragia di tifosi iniziata negli anni 70, quando sempre più persone di Gent e dintorni sceglievano di abbonarsi al Brugge o all’Anderlecht, voltando le spalle alla modesta realtà sportiva di casa.

Un circolo vizioso che Louwagie ha iniziato a spezzare investendo i pochi soldi rimasti in cassa nella creazione di una rete di scout. Sono così arrivati i vari Hossam Mido, Bryan Ruiz (il costaricano giustiziere dell’Italia agli ultimi Mondiali) e Roberto Rosales, tutti i giocatori che hanno garantito notevoli plusvalenze in uscita. Dieci anni dopo il Gent, libero da tutti i debiti, ha potuto pianificare la Ghemlaco Arena, gioiellino multifunzionale inaugurato nel 2013 anche grazie all’aiuto dell’amministrazione comunale di Gent, tanto sotto il profilo logistico (l’individuazione del terreno edificabile) quanto sotto quello economico (la costituzione della finanziaria intercomunale TMVW).

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Oggi il Gent è una società sana e virtuosa sotto ogni profilo: finanziario, gestionale e sportivo. La prima storica partecipazione Champions League è il riconoscimento più bello. Proprio l’approccio alla Champions ha rivelato come la filosofia societaria sia rimasta intatta. Il Gent è una delle squadre più low-cost di tutte le 32 impegnate nella fase a gironi, con un undici titolare costato 4.65 milioni di euro, ovvero meno di quando l’Anderlecht – puntualmente battuto in campionato – ha speso solo per il suo capitano, Steven Defour. Un prestito (Mitrovic dal Friburgo), tre parametri zero (Depoitre, Matton e Neto) e sette giocatori dal costo compreso tra i 150mila euro (il portiere Sels, rigore parato al debutto in Champions contro il Lione) e il milione e mezzo (il citato Kums).

Il simbolo di questo Gent rimane l’attaccante Depoitre, diventato lo scorso 10 ottobre il 72° giocatore nella storia della nazionale belga a segnare al debutto. Una prima arrivata a 26 anni suonati, quando solo quattro anni fa giocava ancora in terza divisione con l’Aalst e, nell’estate 2014, si confondeva tra la folla accalcata presso il Grote Markt di Doornik, la seconda città più antica di tutto il Belgio, a tifare di fronte a un maxi schermo i Diavoli Rossi al Mondiale brasiliano. Depoitre ha vinto tutti i campionati belgi dalla prima alla quarta serie, e la gavetta è proprio la sua arma migliore per competere con i vari Benteke, Lukaku, Origi e Batshuayi per un posto a Euro 2016.

Dai nomi risulta chiaro come non ci siano stelle a Gent, anche se non è del tutto vero, perché un talento speciale non manca nemmeno tra i Bufali. Ha un nome impronunciabile all’estero e un appeal mediatico pari a zero a causa di un aspetto che lo rende più simile a un assiduo frequentatore di Manneken Frites (gli amanti del fritto facciano una capatina a Bruxelles, merita…) piuttosto che a un allenatore, ma Hein Vanhaezebrouck è un tecnico pieno intuizioni che lo rendono il principale candidato alla successione di Wilmots quando quest’ultimo si congederà dalla nazionale.

foto KAA Gent viering SB

La storia di Vanhaezebrouck parte da lontano, e comincia in un paesino delle Fiandre Occidentali chiamato Lauwe. Lì il padre lavorava come segretario presso la squadra locale, il White Stars, e un giorno nel suo ufficio entrò l’allenatore delle giovanili. «Mi piacerebbe che tuo figlio mi facesse da vice», disse. Vanhaezebrouck jr. aveva 7 anni. È iniziato così il rapporto con la panchina di questo tecnico tatticamente duttile, capace di leggere benissimo la partita tanto da meritarsi il soprannome di Mister Stratego, nonché maniaco dei dettagli. Quando allenava il Kortrijk, senza soldi, scovò un giocatore digitando su Google la parola “linkeraanvaller” (attaccante sinistro in fiammingo) e ne fece un punto di forza della squadra. Il giocatore, che si chiamava Istvan Bakx, era reduce da un torneo amatoriale in Olanda e divenne un caso noto nei Paesi Bassi con il nome di Google-spits (l’attaccante di Google), disputando un’onesta carriera a cavallo tra Belgio e Olanda.

Al momento del suo insediamento a Gent, nel giugno 2014, Vanhaezebrouck spedì una lettera ai giocatori indicando gli esercizi da svolgere durante le vacanze estive. «Se non li farete», si chiudeva la missiva, «al ritorno saranno guai per voi». Poi si è messo a correggere le bozze del giornale del club, retaggio del suo passato da insegnante, ha chiesto allo speaker di spezzare l’annuncio della formazione del Gent da quello della squadra ospite con della musica («Per permettere ai nostri tifosi di scaldarsi ed entrare in partita»), ha proibito la birra in mensa.

Debutto in Champions incoraggiante: 1-1 nel match contro il Lione.

Soprattutto, però, ha cambiato marcia al Gent in campo, smontando e rimontando la squadra tatticamente, giocando a tre o a cinque dietro, passando dal 3-4-3 al 4-4-1-1 al 5-3-2, utilizzando schemi sui calci piazzati ispirati dal basket. «Un allenatore deve saper essere creativo», ha detto una volta Van Gaal. Lezione pienamente metabolizzata del belga, che chiede ai suoi giocatori di essere fedeli alla linea. «Se Messi mi dicesse: mister, questo allenamento non lo voglio fare, mi fermerei un attimo a riflettere, ma io nel Gent non vedo nessun Messi…». Le sue sono squadre arcigne, compatte e tignose, segnano poco, incassano ancora meno ma non rinunciano mai a giocare. Duro senza cadere nella macchietta del sergente di ferro («Trovo ridicolo chi vieta gli scarpini colorati ai giocatori»), Vanhaezebrouck è culturalmente onnivoro – teatro («Ma ci vado io, non porto i giocatori»), letteratura e politica internazionale tra i suoi interessi, fedele al motto mourinhano «Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio». Grazie a lui i Bufali sono usciti dal recinto.