Cartoline d’Europa

Otto storie delle otto nazionali che si giocheranno gli ultimi quattro posti disponibili per Francia 2016.

Otto partite, cinque giorni, gli ultimi quattro posti disponibili. I playoff di qualificazione agli Europei sono una prova dura, veloce, un’ultima possibilità nel senso più profondo e crudele. Le otto nazionali coinvolte ci arrivano col fiatone di un girone lungo due anni, col rammarico di quello che poteva essere, magari una qualificazione diretta, e non è stato. Tutte con una storia da raccontare. Qui ce ne sono un po’.

Norvegia – Ungheria

Il suo account Instagram è Tettinho86. Forse fa il verso ai suffissi brasiliani, come se non gli bastassero già le commistioni etniche di cui è portatore sano. Alexander Tettey è nato ad Accra, in Ghana, ma gioca per la Norvegia. È cresciuto a Trondheim, è diventato cittadino norvegese ed è il feticcio dell’attuale ct Per-Mathias Høgmo, che durante la loro esperienza condivisa al Rosenborg fece il diavolo a quattro per farlo rientrare dal prestito allo Skeid. Tettey ha segnato all’Italia nel recente match dell’Olimpico, gioca in Premier League, al Norwich City, ed è un po’ il simbolo della Norvegia di oggi: che è multietnica, e integrata. Lo leggi nelle convocazioni per gli spareggi: Tettey, sì, ma anche altri nomi molto poco norvegesi come quelli di Mohammed Elyounoussi, Valon e Veton Berisha, Omar Elabdellaoui. Le prime uscite della Norvegia cosmopolita, qualche anno fa, vennero salutate come una specie di rivoluzione. Oggi, invece, Høgmo definisce i convocati per lo spareggio contro l’Ungheria come «quelli più in forma in questo momento». Semplicemente, al di là di un multiculturalismo che ormai è roba normale. E che potrebbe riportare la Norvegia agli Europei a sedici anni dall’ultima e unica apparizione. Da Solbakken e Skammelsrud a Elyounoussi e Tettey. Dov’è l’errore?

Il video si chiama Screamer. La giusta descrizione per questo tiro da fuori di Tettey.

Andy Möller era uno a cui piaceva giocare a calcio. È passato per la Juventus, ha lasciato un bel ricordo. Anche perché era un tedesco atipico, fantasioso, amante della giocata a effetto. Pare non sia cambiato molto, in questo senso. La nazionale ungherese, come assistente del vecchio compagno al Borussia Bernd Storck – attuale ct magiaro – è il suo ultimo colpo di genio . «È un compito molto impegnativo» sostiene Möller, «anche perché è la prima volta che mi capita di lavorare per preparare due partite». Sì, solo due: la seconda parte di questa giocata a effetto sta proprio nella durata di questo impegno. Le partite contro la Norvegia, poi basta. Un contratto a (brevissimo) termine, per provare a portare l’Ungheria in una grande competizione a trent’anni dall’ultima volta.

Filmato vintage di Möller. Una rete al Milan del 1993.

In mezzo, ci hanno provato un po’ tutti. Tra questi, anche il colonnello Puskas, selezionatore per quattro partite, e tre sconfitte, nel 1993. Nessuno c’è riuscito, anche se ora il calcio ungherese sembra aver imboccato una strada meno buia. Tre squadre magiare figurano tra le cento migliori accademie calcistiche d’Europa per numero di calciatori sparsi nelle prime divisioni. L’Mtk Budapest è addirittura nella top 20. È un momento buono, lo sa anche Storck: «Possiamo vincere, ma solo attraverso l’unità, la preparazione, il pensiero comune, il massimo impegno e il miglior gioco possibile». E poi c’è Möller: «Con la sua esperienza» conclude Storck «potrà esserci molto utile». Ma solo per due partite.

Finlandia-Ungheria 0-1. Con la musica truzza e Zoltán Stieber che toglie le ragnatele dal sette.

Bosnia ed Erzegovina – Irlanda

Milan Djuric, forse, si è sentito strano. Ha passato una carriera ancora giovane a dimostrare che l’etichetta del grande centravanti in erba non era un’esagerazione. L’ha fatto sempre in trasferta, da bosniaco fuggito e cresciuto a Pesaro. L’ha fatto col Cesena: la squadra romagnola l’ha cresciuto e lanciato, gli ha fatto girare l’Italia in prestito (Ascoli, Crotone, Trapani, Cremona) e poi l’ha riportato a casa. Ha provato a farlo in nazionale, in quella Bosnia che è stata una sua scelta, ma che davanti può convocare gente come Dzeko e Ibisevic. Milan Djuric non è fortunato con luoghi e contesti. Per questo deve essersi sentito strano quando ha segnato i gol che hanno portato la sua Bosnia agli spareggi. Due, uno contro il Galles e uno a Cipro. Di testa, entrambi, ed entrambi importanti, decisivi. Ora c’è l’Irlanda, per quella che potrebbe essere la prima, storica qualificazione europea per la nazionale balcanica, due anni dopo l’esordio mondiale. Djuric ci sarà, è stato convocato dal ct Baždarević. E parla così: «Nelle ultime due partite ho dimostrato di poter dare il mio contributo e di poter essere importante. Ringrazio il mister e la squadra di avermi dato questa possibilità». Non si fa fatica a essere umili e riconoscenti quando la gavetta è uno stato d’animo. Quasi sicuramente partirà in panchina, pronto a sostituire o aiutare Dzeko.

Cipro-Bosnia 2-3. Il gol di Djuric è l’ultimo, e vale la vittoria.

Martin O’Neill viene da una terra di mezzo. È cattolico e allena la nazionale dell’Eire, espressione di un paese cattolico. Solo che è nato a Kilrea, cittadina di 2700 abitanti dell’Irlanda del Nord. Kilrea, letteralmente, vuol dire “chiesa sulla collina”, è un’enclave cattolica in un paese a maggioranza protestante, che ha dato sette vite, dal 1976 al 1992, ai trouble nordirlandesi. O’Neill è anche uno che unisce, però: lo capisci indagando nella sua biografia e lo dice lui stesso, in questa intervista: «Sono stato il primo cattolico a indossare la fascia di capitano nella nazionale nordirlandese. Tra noi e i protestanti, in quella squadra, c’erano un cameratismo e uno spirito di aggregazione incredibili». Talmente incredibili che quell’Irlanda del Nord arriva addirittura al secondo girone dei Mondiali del 1982. Quando viene nominato ct dell’Eire, subito dopo l’addio di Trapattoni, è il terzo straniero della storia. Ovviamente, è il primo nordirlandese. Ha riportato nella nazionale verde il desaparecido Roy Keane, che aveva saltato i Mondiali del 2002 dopo un litigio con il ct Mick McCarthy. Oggi, l’ex capitano dello United è il vice di O’Neill, e punta con lui alla seconda qualificazione consecutiva ad un Europeo. Sarebbe una prima volta, dopo le partecipazioni del 1988 e del 2012. L’ennesima – eventuale – prima volta di Martin O’Neill, che in Francia potrebbe anche ritrovarsi a dover affrontare l’Irlanda del Nord, già qualificata.

Irlanda-Germania 1-0. La rete è di Shane Long.

Svezia – Danimarca

John Guidetti gioca nel Celta Vigo, da titolare, finalmente, dopo anni alla continua ricerca della sua dimensione reale. John Guidetti è stato anche il centravanti della Svezia Under-21, quella che ha trionfato a sorpresa nell’Europeo di categoria della scorsa estate. Proprio per questo, Guidetti è anche un fatto, una rappresentazione perfetta dello stato dell’arte del calcio svedese. Che è e resta una specie di setta legata al culto di Zlatan Ibrahimovic, ma che ha anche tanti giovani che iniziano a spingere da sotto e che reclamano spazio. Il bipolarismo lo leggi nelle convocazioni del ct Erik Hamrén per lo spareggio contro la Danimarca. Insieme a Zlatan, tanti (vecchi) capitani di ventura: Isaksson, Antonsson, Källström, Berg, Granqvist. Nel partito verde di John, invece, un estratto della Under campione d’Europa: Oscar LewickiAbdul KhaliliOscar HiljemarkPatrik Carlgren. Altri giovani talenti – uno per tutti, l’altro palermitano Robin Quaison – sono rimasti a casa, in ossequio a una gerarchia che ha il sapore della riconoscenza. Una cosa comprensibile se i tuoi risultati sono lusinghieri, o se sei Zlatan Ibrahimovic. Se però vieni da due Mondiali saltati e non superi un girone di primo turno da Euro 2004, questo atteggiamento diventa forse poco condivisibile. Il ricambio generazionale di questa Svezia diventa un dovere, soprattutto se hai la fortuna di avere una Under-21 ricca di calciatori promettenti. L’Europeo, che passa dallo spareggio fratricida contro la Danimarca, potrebbe essere l’occasione giusta. «Sono sicuro che, quando non ci sarò più io, i giovani talenti svedesi avranno tutte le carte in regola per portare avanti nel modo giusto la nazionale». Lo ha detto proprio Ibrahimovic presentando la doppia sfida alla Danimarca.

Svezia-Montenegro 3-1. Per gli scandinavi segnano Berg e due volte Ibrahimovic.

Christian Eriksen piace a tutti. Piace al suo allenatore Mauricio Pochettino, («È un giocatore molto importante per noi. Ha grandi qualità, ma lavora tantissimo per migliorarsi»), ai tifosi degli Spurs, e piace anche a Morten Olsen, il ct della Danimarca. Tanto che, a casa sua, il giovane fantasista ex Ajax è già un’istituzione da 52 partite in nazionale. A 23 anni, Christian Eriksen è la risposta della Danimarca al tempo che passa. È il talento più grande tra quelli che provano a rinverdire una tradizione calcistica ancora legata alle grandi (e vecchie) edizioni della nazionale. Non c’è nemmeno bisogno di scomodare gli eroi del 1992, perché ai tifosi danesi forse basterebbe anche una squadra come quella del 2004, anno dell’Europeo portoghese e dell’ultimo exploit della Danske dynamite a una manifestazione importante (primo turno superato ed eliminazione ai quarti). C’erano Gravesen, Tomasson, Sand, Jørgensen, gente abituata ai palcoscenici più importanti. Più il giovane Kahlenberg, ancora nel giro e convocato per il playoff contro la Svezia che vale Euro 2016. Insieme a lui,un gruppo di giocatori che è un mix di vecchie glorie (il capitano Agger, il 36enne Jacobsen e l’ex Samp Simon Poulsen) e promesse mai mantenute ancora alla ricerca della loro reale dimensione (Kjær, Kasper SchmeichelBendtner). E poi c’è Eriksen, alla guida un gruppo di giovani pronto a fare meglio dei loro attuali compagni, assenti al Mondiale brasiliano ed eliminati al primo turno a Sudafrica 2010 e a Euro 2012. Sono Pione Sisto, Fischer, Højbjerg, e vogliono essere la risposta della Danimarca al tempo che passa.

Danimarca-Svezia 2-0. Il primo gol nasce da un’apertura niente male di Eriksen.

Slovenia – Ucraina

Lubiana, Italia. La Slovenia che cerca il suo secondo accesso all’Europeo è una succursale del nostro calcio. Tra calciatori di Serie A, Serie B ed ex frequentatori del nostro campionato, dieci dei 24 convocati hanno o hanno avuto qualcosa a che fare con le squadre italiane. Anche il ct, Srečko Katanec, è una vecchia conoscenza: cinque anni alla Sampdoria, dal 1989 al 1994, e un ruolo da protagonista nello scudetto del 1991. Katanec allenava la nazionale anche nel 2000, al tempo della prima qualificazione europea e di una Slovenia con una maglia verde che non esiste più. Il colore della divisa da gioco è stato modificato dopo una protesta nazionale, spostandosi su tonalità più panslave. Ma è cambiato l’intero movimento, che a parte i nove calciatori forniti alla nostra Serie A conta anche tre uomini nella Liga e altrettanti nella Bundesliga. La nazionale che si appresta ad affrontare l’Ucraina ha un solo calciatore nel campionato sloveno, il terzo portiere Nejc Vidmar. È una squadra evoluta rispetto a quella che, sedici anni fa, si qualificò per la prima volta agli Europei battendo proprio l’Ucraina agli spareggi. La nuova Slovenia, però, ha lo stesso vecchio allenatore. Che riconosce come tutto sia cambiato. Qualcosa, però, non al meglio: «L’atmosfera» dice Katanec «è molto diversa rispetto a quella del 1999. Allora, si respirava un’energia molto più positiva». L’ex della Samp sa che la situazione potrebbe ribaltarsi ancora in caso di vittoria, ma è consapevole pure di avere una nazionale che difficilmente potrà andare oltre la semplice qualificazione: «Spero di poter dare una gioia al mio paese, ma non costruisco castelli in area col calcio. Conosco i nostri limiti».

Slovenia-Estonia 1-0: la rete decisiva di Beric.

Il calcio ucraino, oggi, si chiama Jevhen Konopljanka. Per rendersene conto, basta leggere la lista dei convocati per il doppio confronto con la Slovenia: solo lui e Anatoliy Tymoshchuk giocano all’estero. I background, però, sono diversi. Konopljanka è un protagonista assoluto della Liga, con la maglia e le speranze di un Siviglia che non può che stare simpatico a chi ama il calcio; Tymoshchuk sverna invece in Kazakhistan, nel Kairat di Almaty. Da qui è facile capire come, al di là della situazione calda dell’Ucraina-nazione, il ct in carica Mychajlo Fomenko viva una reale carestia di talenti. E quindi sia stato anche un po’ costretto ad affidare la squadra al talento dell’ex Dnipro. Konopljanka gioca in nazionale da cinque anni, ma ha sempre avuto l’aura della promessa, del calciatore forte di Football Manager, quello che «questo è uno che spacca» e poi non esplode mai. Errore, è esploso. Solo che ci sono voluti più anni del previsto e la stagione della consacrazione, giusto l’ultima. Konopljanka versione 2014/2015 è l’unico calciatore del Dnipro in grado di ribaltare l’azione. Quanto basta, alla squadra di Myron Markevych, per far quasi saltare il banco dell’Europa League. Il sogno finisce in finale col Siviglia, che poi propone a Jevhen il grande salto. Ci sarebbe anche qualche squadra della Premier, ma Konopljanka sceglie la Spagna. Il motivo lo spiega lui, con parole che tradiscono anche un’insospettabile dimensione politically incorrect: «Io in Premier? Sì, se fossi stato alto due metri e mezzo e non avessi saputo controllare un pallone». Bum. Konopljanka ha finalmente rivelato se stesso, definitivamente. Lo ha fatto anche e soprattutto nei numeri di questo ottimo inizio di stagione: quattordici presenze, cinque gol e cinque assist tra Liga, Champions League e Supercoppa Europea. Roba da top player o quasi. L’Europeo dell’Ucraina, il secondo della storia dopo quello casalingo del 2012, passa soprattutto da Konopljanka.

Ucraina-Bielorussia 3-1. Konopljanka segna su rigore, ma fa anche altre cose carine.

 

Nell’immagine in evidenza, Ibrahimovic e Guidetti durante il match contro la Moldova del 12 ottobre. Stephen Pond/Getty Images