Reja all’attacco

L'Atalanta dei record è guidata da un 70enne che ha saputo inventarsi un calcio nuovo. La ricetta vincente, tra un tridente e la sorpresa De Roon.

Agosto 2009. Nel giorno della sua presentazione come nuovo allenatore dell’Hajduk Spalato, Edoardo Reja inizia la conferenza stampa parlando in sloveno. Del resto è nato a Lucinico, frazione dalla forte identità friulana di Gorizia, città di confine. Poi passa all’italiano, perché «riesce a far capire meglio i miei concetti». Dice: «Dopo 32 anni d’Italia, un’esperienza come questa, in una nuova nazione, è l’ideale per darmi gli stimoli necessari ad andare avanti».

Il 3 aprile del 2011, prima di Napoli-Lazio, settantamila tfosi partenopei accolgono Reja con un’ovazione nel giorno del suo primo ritorno al San Paolo da avversario. Insomma abbiamo scherzato, Edy è ritornato in Italia già da un anno e più. Il richiamo del grande calcio è troppo forte per poter essere ignorato, anche quando la carta di identità dice già 65, soprattutto per uno che ha detto di voler allenare «fino a 85 anni». Quel giorno di aprile Edy Reja alza la mano, saluta e ringrazia il pubblico, poi dichiarerà di esseri commosso. L’applauso di Fuorigrotta è un privilegio concesso a pochi ex. Per Reja si fa un’eccezione, ogni volta.

Sui social, negli ultimi giorni, è diventata virale una fotografia colta nel tunnel degli spogliatoi prima di Atalanta-Palermo. Ci sono Maxi Moralez e Papu Gómez, e nei commenti si ironizza su come i due argentini siano poco più alti dei bambini che li accompagneranno per l’ingresso in campo. L’immagine, fuori dalle battute, ha anche un significato tecnico: i due calciatori sono gli esterni offensivi dell’Atalanta, e convivono ogni domenica in un tridente che ospita loro due, sempre, e uno tra Pinilla e Denis. Un reparto offensivo di alta qualità, che in qualche modo spiega i 24 punti degli orobici. È l’attacco a disposizione di Reja, considerato un difensivista ma che intanto, però, non rinuncia più alle tre punte.

Atalanta-Palermo 3-0.

Reja è un gentiluomo di campo, è l’allenatore più anziano della Serie A: dei 70 anni compiuti a ottobre, 54 li ha trascorsi nel mondo del calcio. La sua storia racconta di tantissima provincia, ma soprattutto di buoni risultati e ricordi lasciati ovunque: Ferrara in maglia SPAL e Palermo rappresentano le due stazioni importanti come centrocampista; Cosenza, Brescia, Vicenza e Cagliari sono i luoghi dei successi in panchina prima di Napoli e Roma, sponda Lazio. Ci sarebbe anche il Torino 1997/98, ma parliamo di un’annata balorda in un periodo di confusione tipica granata, con il goriziano che subentra addirittura a Graeme Souness e perde la promozione allo spareggio e ai rigori, contro il Perugia, dopo un campionato intero vissuto in testa. Reja non riesce a parlare male neanche di una tappa tanto traumatica: «La stagione a Torino è un ricordo bello, intenso. Di quel pomeriggio a Reggio Emilia mi resta il rammarico per come andò la partita, ma ho ancora negli occhi le migliaia di tifosi del Toro che ci applaudirono sulla strada del ritorno».

Durante la sua esperienza alla guida della Lazio, Reja viene soprannominato er minestraro. I tifosi lo accusano di essere un allenatore difensivista, conservatore, catenacciaro, ma per Edy le critiche del pubblico biancoceleste erano «in malafede, perché i fischi partivano non appena lo speaker pronunciava il mio nome e la squadra non riceveva la minima gratificazione». Guardare l’Atalanta di oggi vuol dire riconoscere chi effettivamente era in errore, e non solo per la contemporanea presenza di tre attaccanti: i nerazzurri giocano un calcio divertente, propositivo e bello da vedere, in casa come in trasferta. Linea difensiva a quattro sempre alta (baricentro della squadra mai sotto i 45 metri nelle prime quindici giornate di campionato), un centrocampo di piedi buoni (intorno a De Roon giocano a turno Kurtic, Grassi, Carmona, Cigarini), in attacco una delle combinazioni del tridente, con D’Alessandro e Monachello come prime alternative. Niente male davvero per un minestraro.

Pura casualità che proprio Roma, su entrambe le sponde del Tevere, abbia dovuto pagare il dazio più alto a Reja e i suoi ragazzi: 0-2 nell’Olimpico giallorosso contro i giallorossi di Garcia, 2-1 a Bergamo contro la Lazio di Pioli. L’esibizione top è però un’altra, anche se il risultato suggerirebbe diversamente. Lo 0-0 di San Siro tra Milan e Atalanta è uno dei risultati più bugiardi di questo inizio di stagione, con la Dea che domina e Donnarumma a fare il fenomeno. Lo stesso Reja, nel dopopartita e anche successivamente, ammetterà che quella è stata una delle migliori prestazioni di De Roon e compagni. Mihajlovic, realisticamente, ha definito quel pareggio come «un punto guadagnato».

Donnarumma clean sheet: il miglior modo per celebrare la prestazione sontuosa dell’Atalanta.

I tre davanti più uno – Moralez, Gómez, Pinilla e Denis – e De Roon sono gli uomini copertina del progetto Reja, costruito con il buon senso e l’elasticità più che con le convinzioni radicate o con gli schemi-dogma. L’Atalanta di oggi è un percorso evolutivo: la scelta del 4-2-3-1 per la salvezza dello scorso anno, la decisione di passare al 4-3-3 presa questa estate, l’inizio boom e i 24 punti. Edy spiega tutto con semplicità, a partire dalla scelta del tridente: «Con quei due imprendibili folletti sulle fasce, è il sistema migliore». Il modulo in funzione degli attaccanti, il difensivismo va a farsi benedire. Anche perché «lo spettacolo si fa soprattutto in zona gol: le acrobazie di Pinilla e la tempra di Denis sono roba da rimarcare, sempre».

L’ultimo nome della lista, Marten de Roon, è il richiamo al buon lavoro fatto al mercato estivo e all’occhio lungo dell’allenatore goriziano. Prima della fine dell’ultimo campionato, Reja dice che la sua nuova Atalanta avrà bisogno di «3-4 innesti importanti». Detto, fatto: escono Baselli, Zappacosta e Benalouane, entrano Rafael Tolói, Jasmin Kurtic, Mauricio Pinilla (riscattato dopo i primi sei mesi in prestito dal Genoa) e, per l’appunto, Marten De Roon. Al netto dei cinque milioni scarsi di guadagno, la campagna viene considerata assai rischiosa, soprattutto perché, di fatto, il centrocampo finisce nelle mani di un 24enne ex Heerenven poco più che sconosciuto. Oggi l’azzardo ha pagato, e lo leggi nei numeri: De Roon è il calciatore di movimento più utilizzato dell’Atalanta (1240 minuti giocati), ha numeri difensivi eccezionali (3.8 tackle vincenti e 2.9 palle intercettate ogni novanta minuti) e ha messo insieme pure due gol e un assist tra campionato e Coppa Italia. L’unico a non sorprendersi è stato proprio Reja: «Vedendo De Roon all’opera in ritiro ho subito pensato di poterlo trasformare nel centrocampista centrale ideale per proteggere la difesa». Così, facile facile.

Atalanta-Cittadella 3-0, Coppa Italia d’agosto. De Roon si presenta segnando il primo, bellissimo gol degli orobici.

La vittoria contro il Palermo ha lanciato Reja nella storia dell’Atalanta: nessun allenatore nerazzurro era riuscito a mettere insieme 24 punti nelle prime 15 partite di un campionato. L’uomo di Lucinico, terra di confine, non ha fatto proclami ma nemmeno si è sentito di spegnere un entusiasmo che a Bergamo non si respirava da un po’: «Nessuna vertigine da alta classifica, ci stiamo godendo questi buoni risultati». O ancora: «Il presidente mi ha anzitutto chiesto una salvezza tranquilla, ma la situazione attuale ci permette di fare un pensierino all’Europa. In questo senso, potrò esprimermi con certezza solo dopo la sfida col Napoli». Il tridente sempre in campo, una qualificazione continentale come obiettivo quasi dichiarato, anche per una provinciale, seppure di gran lusso, come l’Atalanta. E c’è ancora qualcosa di più, altro che Reja catenacciaro: «Ho sfiorato due volte l’accesso alla Champions League. Mi sarebbe davvero piaciuto sentire quella musichetta all’ingresso in campo, almeno una volta nella carriera. Chissà che non si possa centrare un obiettivo simile con l’Atalanta e con il presidente Percassi. Ve l’immaginate?». A pensarci bene il tempo c’è ancora, anche perché Reja è sempre quello che vuole allenare fino a 85 anni. Quindi sì Edy, ce l’immaginiamo. Sai che sfizio.

 

 

Nell’immagine in evidenza, Reja esulta dopo la vittoria per 2-0 sulla Roma all’Olimpico. Paolo Bruno/Getty Images