10 X 2015

Dieci giocatori da ricordare per questo 2015: dalla provincia al top d'Europa, una panoramica di talento affermato e futuribile.

Dieci giocatori per il 2015: non i dieci migliori, ma dieci che ci hanno particolarmente impressionato, per i più diversi motivi. Quindi niente Messi, niente Neymar, niente Suárez o Ronaldo, ma quelli, forse, che ci hanno più sorpreso. L’abbiamo chiesto a dieci firme di Undici, e ne è venuta fuori una lista particolare, divisa tra stelle, prospetti futuri e altre bandiere. Anche i ruoli sono piuttosto equilibrati: ci sono i difensori, ma anche un portiere, centrocampisti, naturalmente attaccanti, prime e seconde punte. Buona lettura.

 

Mesut Özil

Se a decidere il Pallone d’Oro sarà un «triello» tra killer collezionisti di gol come Ronaldo, Messi e Neymar, è giusto che l’uomo dell’anno sia invece qualcuno che abbia fatto dell’altruismo un’arte: Mesut Özil. Reduce da un mondiale brasiliano vinto senza brillare, da un brutto scandalo di tradimenti e messaggi sexy finiti online e soprattutto da un’annata negativa fatta di infortuni e critiche, il tedesco dal mancino più educato del reame è tornato a incantare come ai tempi del Real Madrid. E con le armi della tecnica e della visione di gioco sta distruggendo ogni record in Premier League: 15 assist in 16 presenze e palle-gol sfornate senza sosta per sette partite consecutive. Un instancabile artigiano dell’ultimo tocco. Realizzato su misura, ovvio. Cross tagliati e potenti (quasi speculari a quelli del destrissimo Beckham) per la testa di Giroud, lanci a beffare la linea del fuorigioco per la velocità di Walcott, imbeccate geniali per i tagli di Sanchez. A ognuno il suo gioiello, il maestro non riposa mai. Perché a Mesut Özil non interessa segnare per finire sotto le luci della ribalta. Mesut Özil è la luce della ribalta. Lui illumina, gli altri si prendano pure palcoscenico e premi. (Marco Zucchetti)

L’intelligenza e l’efficacia di Özil, FW2015

Robert Lewandowski

Non credo che ci possano essere dubbi, o quantomeno io non ne ho: il calciatore del 2015 è Robert Lewandowski. E non è la partita contro il Wolfsburg, quella dei cinque gol in nove minuti che lo dice. È tutto l’anno, la costanza, la forza, la presenza. E i numeri, certo. Dall’inizio di questa stagione ha segnato 23 gol in 26 partite, 15 di questi in 16 giornate di campionato. La media è impressionante e in Europa è seconda soltanto a quella di Higuaín. Ma anche questo non è sufficiente a spiegare perché sia lui l’uomo del 2015: Lewandowski è quello che ha cambiato il suo status. Da grande giocatore a campione, che sembrano definizioni pretestuose, ma invece sono categorie: sei campione quando i numeri ti permettono di dirlo oltre ogni ragionevole dubbio e quando ciò che fai diventa il benchmark degli altri. Lewandowski adesso è il benchmark del centravanti: la forza, la tecnica, il fisico, il cinismo. Lewa tocca un pallone sotto la pianta del piede e lo trasforma in un autoassist. Fa gol con un coefficiente di difficoltà sempre molto alto: tutti ricorderanno la mezza rovesciata contro il Wolfsburg, quella dove Guardiola si mette le mani sul volto. Invece il suo gol dell’anno è un altro: contro l’Eintracht Francoforte nella passata stagione. Una veronica al limite dell’area con tiro al volo in diagonale di destro. (Giuseppe De Bellis)

Facile

Alen Halilović

Guardare Alen Halilović è un’esperienza di una tale bellezza che mi fa venire le farfalle nello stomaco. Il video qui sotto lo dimostra, quindi non aggiungerò altro. Poche altre cose mi fanno l’effetto di Halilović: pensare a quando fa caldo e ti metti le magliette e i vestiti; vedere per la prima volta il mare (magari dall’alto, quindi ancora da lontano) il primo giorno di vacanza; la nonna con i capelli sistemati bene per il pranzo di Natale; pensare all’adolescenza che in realtà non ho mai avuto; certe frasi di Nabokov; la taramosalata; le olive greche; gli scambi di tacco che facevano Seedorf e Ronaldinho al Milan; Nelson Dida a Manchester nel 2003; andare al vivaio per scegliere una pianta; quando avevo una giornata libera dalla scuola per giocare a Pro Evolution Soccer; le piscine private all’aperto; le colazioni negli hotel a 5 stelle; certe frasi di Bolaño; l’ultimo disco di Father John Misty; certe scene di Lost in translationSomewhere; il whisky buono quando fa freddo; svegliarsi alle 7 il sabato senza essere stanco; Roma in vacanza; Matisse; il mio compleanno; Anima Latina; il ceviche fatto bene, preferibilmente a pranzo; portare al parco i cani dei miei amici fingendo siano miei quando mi chiedono se sono miei, e che belli che sono, e come si chiamano; spendere un mucchio di soldi senza preoccuparsi; nuotare, ma in mare; parare un rigore. (Davide Coppo)

Bellezza 2015/16 con lo Sporting Gijon

Simone Zaza

Dicono che si tenga l’esultanza dentro. Non per rabbia, non per dimostrare qualcosa. Tiene le emozioni sospese: quelle belle e quelle brutte. Non gioca, e non si dà pena. Evita che sia il calcio a decidere per sé: deve accadere il contrario. Si riscalda, va in campo, segna. È lineare come sarebbe un pallone da calcio che rotola se non ci fossero quarantaquattro gambe tutt’intorno. Così i suoi gol: assecondano la logica, non vi si attorcigliano intorno. Il 2015 è stato l’anno di Zaza a metà, perché all’atteso salto in una big non è corrisposto un ruolo da protagonista. Nonostante cinque gol in 367 minuti vogliano dire uno ogni 73, meglio di tutta la Juve e meglio pure del gotha internazionale. Ha dimostrato che nella Juve ci può stare, e ci può stare anche nella posizione più scomoda di tutte. Ha sviluppato un senso di resistenza, come certe vegetazioni che prosperano nel panorama brullo e arso della sua terra natia. Ha capito che per certe cose ci vuole pazienza, e che per altre bisogna imporre la sua personalità: «Io tifoso della Juve? No, da bambino tifavo Matera». Si è messo in testa di diventare il più bravo di tutti, sennò a cosa è servito lasciare a 11 anni la sua Metaponto, il suo mare, la sua famiglia a cui ancora oggi è legatissimo, per giocare a calcio? Ha fretta e per questo, quando gli capita il primo pallone di Champions League della sua vita, lo infila in rete. Per questo, se gioca la prima volta da titolare in A, contro il Frosinone, ha l’urgenza di far gol. Alla terza da titolare, in Coppa Italia contro il Toro, gli tocca fare doppietta. Poi, alla partita successiva, è di nuovo in panchina. E così di continuo, e oltre, e ancora, come in una lavatrice impazzita. Da far venire un gran mal di testa. Per tutti, tranne che per Zaza. (Francesco Paolo Giordano)

La doppietta al Torino, Coppa Italia

Andrea Barzagli

Il mio personalissimo calciatore dell’anno è Andrea Barzagli. Lo scelgo ovviamente guidato dal tifo juventino, ma anche seguendo alcune indicazioni difficili da tralasciare. Innanzitutto gli endorsement: solo negli ultimi giorni sono arrivati quelli di due mostri sacri del ruolo come Paolo Maldini e Billy Costacurta, i quali non hanno esitato a definirlo il miglior difensore italiano in attività. In seconda battuta, i titoli: un campionato, il quarto consecutivo con la maglia della Juve, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una finale di Champions League. A questo aggiungiamo una certa duttilità: nei primi mesi della nuova stagione, mesi difficili per la squadra di Allegri, il centrale della nazionale si è tranquillamente reinventato terzino destro, mettendo una toppa gigantesca al buco creatosi con la doppia prolungata assenza di Lichsteiner e Caceres. Un sacrificio fondamentale, fatto con la naturalezza di sempre, la stessa che gli ha poi permesso di ricompattarsi al centro coi due compagni di reparto preferiti non appena Allegri ha deciso di optare nuovamente per un consolidato 3-5-2. Ordine, disciplina, sicurezza, eleganza, serietà: Barzagli dà sempre la sensazione di poter migliorare ancora. E lo fa, costantemente. Non male a 34 anni. (Federico Sarica)

Le compilation su Youtube le fanno anche per i difensori

Pierre-Emerick Aubameyang

Sarebbe impossibile definire la stagione Pierre-Emerick Aubameyang – il minore di tre fratelli tutti calciatori –, senza affidarsi almeno parzialmente ai dati. L’attaccante gabonese – in lizza per il premio di miglior calciatore africano dell’anno – è riuscito in questo 2015 ad essere direttamente coinvolto (con realizzazione o assistenza ai compagni) in 36 delle reti realizzate dal Borussia Dortmund nell’anno solare 2015. Il dato da solo non è forse impressionante, ma assume un’altra connotazione se consideriamo che stacca di ben 8 misure il secondo in questa speciale classifica. Nella stagione in corso le reti sono 25 in 26 match: in tutto il 2015 le realizzazioni salgono addirittura a 46 totali. I numeri del più piccolo dei fratelli, passati tutti dalle giovanili del Milan, sono talmente eccezionali che il tecnico Tuchel ha immaginato un Aubameyang del futuro e lo ha visto ancora più corrosivo di quello attuale. Il tecnico succeduto a Klopp lo ha definito «grande ma con ulteriori margini di miglioramento». L’essersi trovato come terminale finale di una squadra così pregna di giocatori disequilibranti come l’attuale Borussia di Tuchel ha certamente contribuito ad alimentare la vitalità invasiva dell’attaccante nato a Laval, piccola cittadina della Loira da 50.000 anime circa. Primo tra i marcatori del 2015, in testa nella combo gol + assist, si gioca con Lewandowski la corsa impossibile al record di 40 marcature. Record che appartiene al Gerd Müller della stagione ’71/’72. Obiettivi impossibili a parte, la crescita esponenziale che Aubameyang ha avuto dalla stagione 2011/12 al Saint-Étienne in poi rappresenta qualcosa di perturbante per la semplicità con cui pare essere arrivato. Per Pierre è arrivato il momento della redde rationem, in particolare nei confronti di chi, come il Milan, lo aveva ceduto ritenendolo non all’altezza della prima squadra. (Oscar Cini)

 I suoi primi 43 gol in Bundesliga, senza musica fastidiosa

Kamil Glik

La sua maglia autografata campeggia nella cameretta di mio figlio. Io e un gruppo di amici gli abbiamo dedicato una maglietta che celebrava il suo rude intervento di un derby di qualche anno fa. Il suo nome riecheggia dalla curva Maratona ogni qualvolta interviene in tackle scivolato o prova la sortita offensiva. Nel 2015, tra campionato e coppe ha segnato otto reti confermandosi come uno dei migliori difensori goleador d’Europa. Indicare Kamil Glik come uno dei crack del 2015 è stato abbastanza semplice. Innanzitutto perché è il capitano della mia squadra del cuore e poi perché, in un calcio meno romantico, il suo attaccamento ai colori e il coraggio che dimostra ogni volta che scende in campo sembrano provenire da un’epoca lontana. Glik ha l’aspetto di un guerriero jagellone, capelli biondi, il fisico prestante e lo sguardo glaciale. C’è una immagine che lo rende speciale ai miei occhi: anzi due. La prima è quella al termine della sfida europea con lo Zenit, la seconda durante la passerella nell’ultima giornata dello scorso campionato contro il Cesena. Lo sguardo triste ma fiero, la maglia granata diventata ancora più scura per l’impegno profuso, un saluto malinconico verso i suoi tifosi. Sembravano i titoli di coda di una bellissima storia di amore. Era un sentito arrivederci. (Danilo Baccarani)

Difensore goleador

Gonzalo Higuaín

Il 2015 di Gonzalo Higuaín può essere diviso a metà, e la seconda è condensata in una parola sola: riscatto. Chi scrive non ha mai osato discuterlo, perché lo considera uno dei cinque, forse tre, migliori attaccanti del pianeta. Qualcosa, però, era contro di lui: non tanto i gol dell’anno solare fino a luglio, 19 tra club e nazionale, quanto i due rigori decisivi falliti con Napoli e Argentina più le facili occasioni sbagliate in altri momenti topici, la semifinale di Europa League col Dnipro e la finale di Copa América. Higuaín, giudicato con la superficialità e la volubilità tipica di chi guarda il calcio, era diventato un campione di cui non ci si può fidare nei match che contano. Oggi, sei mesi dopo, Higuaín è il calciatore più determinante della squadra più bella del campionato italiano. Il Napoli di Sarri gioca intorno a lui, lo ha eletto leader in campo e ha ritrovato il grande centravanti capace di incidere proprio e soprattutto nelle grandi partite (ha già segnato a Juventus, Fiorentina e Inter). Higuaín, oggi, è un calciatore tornato a essere grande perché tornato a essere felice, in un gruppo che ha saputo esaltarne e stimolarne di nuovo le doti e l’orgoglio del fuoriclasse. Lo leggi nelle cifre, 18 gol in 21 partite nella stagione in corso, e lo vedi nelle esultanze e nell’abbraccio che è uno strattone con il nuovo mentore Sarri, a Bergamo: due immagini dello stesso, bellissimo riscatto. (Alfonso Fasano)

L’inizio della stagione 2015/16 di Higuaín, con orribile sottofondo musicale

Simone Ganz

Avevo letto ci fosse un figlio di Maurizio Ganz alle porte del professionismo, un attaccante di belle speranze svezzato nelle giovanili del Milan. Sapevo pure fosse stato acquistato dal Como. Poco più. Poi Simone – così si chiama – Ganz (appunto) è piombato nella mia vita lo scorso maggio. Quarti di finale dei playoff per la promozione in Serie B. Al Ciro Vigorito il Benevento (secondo nel girone C) sfida in gara unica il Como (quarto nel girone A). I padroni di casa (per i quali non posso dire di tifare, ma di simpatizzare sì) sono favoriti dalla classifica e dai pronostici, così quando passano in vantaggio il gol di Mazzeo sembra inserirsi nel corso naturale delle cose. Poi entra in scena Ganz jr. Prima raccoglie una respinta corta del portiere giallorosso, quindi va in rete fortunosamente – per usare un eufemismo – una seconda volta al 90esimo, regalando la vittoria ai lariani. Il ragazzo ha segnato ancora in semifinale contro il Matera e poi al Bassano in finale, mettendo la firma sul ritorno del Como in serie cadetta. In campionato di gol ne aveva già fatti 11, più 4 assist. Nella stagione in corso, dove ai lombardi serve un nuovo miracolo, ma questa volta per salvarsi, ha marcato 5 volte il tabellino, anche contro le big Bari e Cagliari. È nata una stella? Non so. Di certo in Italia non è un’anomalia che a 22 anni non ti diano fiducia in massima serie, mentre è altrettanto sicuro che il Milan (vedi Cristante e Saponara) non sempre sappia capitalizzare i suoi talenti. Più che il padre, nel modo di giocare in Simone Ganz vedo un mix tra Pippo Inzaghi e Mattia Destro. Lo aspetto in A. Il 2015, intanto, è stato suo. (Roberto Procaccini)

Benevento-Como 1-2

Hannes Thor Haldorsson

Scelta snobistica? Giù i fucili, signori. Tra plastica, lustrini e fango, il calcio odierno riesce ancora ad emozionare per le storie che continua imperterrito a raccontare. Quella della piccola Islanda qualificata a Euro 2016 è una delle più belle del 2015. Ma c’è una storia nella storia, ed è quella del loro portiere. Fino al 2013 Haldorsson era conosciuto in patria più per la sua professione di regista che per le prestazioni da giocatore. Lavorava per una casa di produzione chiamata Saga, e la sua giornata-tipo era la seguente: dalle 8 di mattina alle 4 di pomeriggio in ufficio, quindi rapido ritorno a casa a preparare la borsa, e via di corsa all’allenamento delle 5. E quando veniva convocato in Nazionale, mentre i compagni si rilassavano con la Playstation, lui accendeva il suo portatile e iniziava a lavorare sul montaggio di qualche filmato. Poi, due anni fa, è arrivata dalla Norvegia un’offerta economicamente interessante, a patto però che Haldorsson decida di dedicarsi al pallone a tempo pieno. Al resto ci ha pensato la cultura nordica, visto che è stata proprio la sua azienda a spingerlo verso il si, offrendogli un congedo a tempo indeterminato. Professionista a 29 anni, due stagioni dopo l’ex film-maker è stato uno dei portieri meno battuti delle qualificazioni a Euro 2016: 5 reti incassate in 9 partite, 6 delle quali concluse con la porta inviolata. Roba, appunto, da film. (Alec Cordolcini)

Pure pararigori questo Haldorsson

 

Nell’immagine in evidenza, fuochi d’artificio su Wembley nel novembre 2015 (Rob Stothard/Getty Images); Özil: contro il Norwich, novembre 2015 (Stephen Pond/Getty Images Sport); Aubameyang: amichevole contro la Juventus, luglio 2015 (Daniel Kopatsch/Getty Images Sport)