Cinque goleador italiani

Dietro l'imprendibile Higuaín, la classifica capocannonieri di Serie A mette in luce Éder, Maccarone, Pavoletti, Paloschi e Dionisi, bomber di provincia.

A uno dei campionati più belli ed equilibrati degli ultimi anni/lustri/decenni, fa da contraltare la classifica dei capocannonieri, cannibalizzata da Gonzalo Higuaín: con la sua antipatica (per gli avversari) media da un gol ogni 85 minuti, potrebbe aver chiuso il contest con un girone d’anticipo. Se l’argentino in questo momento sta giocando “un campionato a parte” (semicit.), dietro ci sono discreti nomi che meriterebbero più visibilità. In tempi in cui ci chiediamo con insistenza «ma con chi giocherà in attacco l’Italia agli Europei?», scopriamo andare a segno con frequenza attaccanti azzurri, o meglio azzurrabili, non convenzionali.

Non convenzionali perché, escluso Insigne, giocano tutti in provincia. In testa, dietro l’uomo del campionato a parte, c’è Éder, con 12 reti; Leonardo Pavoletti segue a 10; a 9 Lorenzo Insigne e Massimo Maccarone; a 8 Alberto Paloschi; 6 per Federico Dionisi, Roberto Soriano e Mattia Destro. Tra i primi undici italiani ad aver segnato di più, solo Insigne gioca tra le prime sei. Sei di loro militano nelle ultime otto squadre del campionato. Éder, Maccarone, Pavoletti, Paloschi e Dionisi, tutti insieme, assommano 10 presenze con la Nazionale maggiore (otto il blucerchiato e due l’empolese).

UC Sampdoria v ACF Fiorentina - Serie A

Éder

Quest’anno Éder compie 30 anni e sì, sono già un bel po’ per un calciatore che con la maglia della Nazionale ha debuttato dieci mesi fa. Il dato – forse non strano, ma almeno in controtendenza – è che la maglia azzurra (con la quale ha segnato al debutto assoluto, in Bulgaria) ha migliorato Éder, o quantomeno lo ha fatto segnare di più. Come se fosse stato scoperto, stimolato, responsabilizzato da un talent scout, che risponde al nome di Nazionale italiana (o Antonio Conte). Undici reti nel girone d’andata sono due in più dell’intera annata precedente (dove, dopo il girone d’andata, era fermo a cinque centri) e appena una in meno di due anni fa.

Quali sono gli ingredienti del miglioramento? Fiducia e condizione fisica al top, maturità raggiunta, possibilità di giocare in un sistema offensivo “liquido” che ne esalta le caratteristiche? Tutto insieme, ma senza dimenticare che Éder, i gol, li ha sempre fatti: 14 a Frosinone in B, nel suo primo anno da titolare, quando aveva 23 anni, e 27 l’anno dopo, ad Empoli, quando divenne capocannoniere del campionato cadetto. Poi, la non fortunata circostanza di giocare in A in due squadre, Brescia e Cesena, che a fine anno sarebbero retrocesse, ha un po’ frenato la sua carriera, rigenerata a Genova.

L’onnipotenza di Éder a Napoli.

Éder è l’uomo che ha fatto assomigliare Albiol a Boateng, il giorno in cui Messi lo fece rotolare con il sedere a terra (espressione per mettersi al riparo dall’equazione Éder=Messi). La partita è Napoli-Sampdoria, il gol quello del 2-2. Una meraviglia in quattro atti. 1) Salta Koulibaly semplicemente con una finta di gambe, e l’effetto che fa isolare il difensore napoletano nell’azione è comico, perché sembra che cerchi qualcosa che ha perso sul terreno di gioco, anziché il pallone. 2) Frenata su Albiol, poi sterzata con il destro, mentre lo spagnolo emula Boateng sdraiandosi per terra. 3) Nel frattempo Koulibaly, che non ha ancora trovato quello che ha smarrito, si aggira allibito all’interno dell’area di rigore, ed è indeciso su quale avversario chiudere. 4) Calcio con l’interno del piede destro, sul palo lontano.

Massimo Maccarone

Se Maccarone ripetesse, in termini realizzativi, il girone d’andata, raggiungerebbe quota 16 reti: sarebbe il record personale in A. Non male per un 36enne che quattro anni fa accettò di entrare nella fase discendente della sua carriera con il ritorno all’Empoli, la squadra dove era esploso con 26 gol in due stagioni (e con cui guadagnò una doppia presenza in Nazionale). Era l’Empoli dell’immediato pre-Sarri, che cambiò quattro allenatori in un anno, e che rischiava concretamente la retrocessione in Lega Pro. Maccarone accettò di trasferirsi a gennaio per riconoscenza verso il suo vecchio club, ma anche perché, nell’ultimo anno e mezzo tra Palermo e Samp, non combinò granché. Fu determinante nella salvezza della squadra, con 6 gol nella regular season e uno nei playout contro il Vicenza. E divenne la miglior garanzia per il salto di qualità dei toscani: 18 gol la stagione successiva, 15 quella ancora dopo, valsa la promozione, e 10 lo scorso anno in A.

Doppietta più assist contro il Carpi.

Nessuno, e forse nemmeno lui, avrebbe pensato a un giocatore con una simile freschezza atletica, dipesa da un’integrità fisica che non lo ha mai abbandonato: negli ultimi due anni e mezzo ha giocato 95 partite su 99. «Continuerò a giocare fino a 40 anni, forse anche oltre, lo devo a questa squadra che mi ha dato tanto. Ciò che conta è avere sempre la voglia».

Leonardo Pavoletti

Quando Pavoletti arrivò al Genoa, dodici mesi fa, Gasperini non sapeva che farsene. Nella metà rossoblù di Marassi erano appena andati ad abitare Borriello e Niang: a cosa serviva un attaccante che in Serie A aveva giocato appena 11 partite? Così pensò che sarebbe stato il caso di adeguarsi allo status quo, e continuare a fargli vedere poca, pochissima Serie A, eccezion fatta per qualche scampolo insignificante di partita. Il primo Pavoletti genoano trascorre nove partite partendo dalla panchina, sei delle quali finendole nella stessa posizione.

Il 15 aprile c’è Genoa-Parma, e nel primo tempo Borriello si infortuna. Gasperini manda in campo Pavoletti, e i suoi pensieri, e quelli dell’intera Gradinata Nord, sono facilmente immaginabili quando nel primo tempo l’attaccante divora due reti, prima saltando scomposto, fuori tempo, a due passi dalla porta, poi quando tira una ciabattata a tu per tu con Mirante. Così, il 2-0 che segna nella ripresa assume il senso del gol che arriva per la legge dei grandi numeri, tant’è che a Palermo, quattro giorni dopo, Pavoletti è di nuovo in panchina, nonostante Borriello sia ancora fuori causa.

Genoa-Parma 2-0, Pavoletti segna il suo primo gol in rossoblù.

Ma in Sicilia il Genoa perde, così Gasperini torna sui suoi passi e con il Cesena Pavoletti è ancora lì davanti: gol, però quello del 3-0, che conta relativamente. Altre tre panchine, ma con il Toro entra, segna e il Genoa vince. Il Gasp pensa: «Ma che storia è? Se segna lui, si vince automaticamente». Non lo toglie più dai titolari, e Pavoletti segna sempre un gol a partita da lì fino a fine campionato. E se a Genova nessuno dà di matto quando scopre che il suo score è di 10 reti in 13 partite, è perché ci si è già abituati.

Alberto Paloschi

Paloschi appartiene a quella categoria di calciatori che continueranno ad essere ostracizzati finché esisterà il concetto stesso di ostracismo. Ha delle colpe che ormai non può più espiare: non essere il nuovo Filippo Inzaghi, non essere rimasto un giocatore del Milan, non essere diventato un attaccante della Nazionale. E allora, se hai la fedina penale così pasticciata, così ingombrante, non la fai franca, anche se sei innocente. Paloschi non è un attaccante dai grandi numeri – sennò non lo avrebbero mandato alla sbarra così tante volte -, però non sbaglia mai completamente una stagione. Nelle ultime cinque salvezze del Chievo ci sono anche i suoi gol, e forse non importa se sono 3, 10 o 30, perché Paloschi sa che deve stare lì quando la squadra ne ha bisogno.

Gran gol in girata al Genoa.

I gol alle romane segnati quest’anno, per esempio (qui e qui). Quattro italiani su dieci forse riuscirebbero a farne almeno due di quei tre. Però, che c’entra? Si è bravi attaccanti solo se si segna un gol partendo da centrocampo e scartandone dieci? Si è bravi se si segna, stop. Ecco il bisogno di squadra: gli chiedono di far gol, e lui li fa. Senza diventare Inzaghi, solo restando Paloschi.

Federico Dionisi

Se un calciatore corre non ha i piedi buoni, se si specializza nel far tanti gol sta sempre fermo. Federico Dionisi spezza dogmi stando in campo, anzi correndo e facendo correre gli avversari. In attacco si adatta bene a qualsiasi situazione, perché è una prima punta che sa fare tutto, anche allargarsi sull’esterno. Tenendo sempre la porta sotto mirino: al suo primo anno “vero” in A, ha segnato 6 gol in un girone. Erano stati 14 l’anno scorso, decisivi nella promozione del Frosinone, 8 nella sua esperienza in Portogallo con l’Olhanense, 35 in tre anni di B con la maglia del Livorno.

Si adatta ai ruoli, si adatta ai tipi di gol: può segnarli con una girata di testa o con un pallonetto morbido. Si scatena quando parte in velocità: su tutte una rete che segnò due anni fa al Vitória Setúbal. Scatto sulla fascia destra, aggiramento sull’esterno del difensore a velocità doppia, elusione del secondo difensore, attesa dell’uscita del portiere e scarico in rete. Tutto secondo una lucidità rara.

Dal minuto 2.40, show di Dionisi in Portogallo.

 

Nell’immagine in evidenza, Alberto Paloschi festeggia dopo il gol all’Empoli. Valerio Pennicino/Getty Images