Protagonista a tutti i costi

Romelu Lukaku, con la sua smania di emergere, ha perso occasioni importanti. Ma oggi, in maglia Everton, è un attaccante prolifico, concreto, poliedrico.

Non è facile capire chi sia veramente Romelu Lukaku. Su Instagram, ad esempio, esistono due profili a suo nome, entrambi segnalati come “official” nella descrizione: romelu_lukaku17 e romelulukakubolingoli10. Uno, il primo, è fermo dal 2014; il secondo è molto attivo, in continuo crossover con un account twitter da 1534 tweet e quasi 680mila follower. Non è facile capire chi sia Lukaku pure sfogliando le sue foto, che è un po’ come guardare l’album virtuale di un qualsiasi adolescente altoborghese del ventunesimo secolo: ci sono un joystick PS4 bianco vicino a NBA2K16, ci sono selfie e videoselfie spiritosi, c’è un gruppo di amici ad un concerto e addirittura l’istantanea di una bibbia con un crocifisso di legno grigio. Se escludi le foto tratte dalle campagne pubblicitarie o quelle di gioco in cui si vede il crest dell’Everton, nessuno direbbe che il possessore di questo profilo sia l’acquisto più costoso nella storia del club di Liverpool e uno dei “The next 10 big things” del 2014 secondo il Guardian.

Prima dell’Everton: i capelli lunghi, la maglia del West Brom e cose così

Forse proprio Lukaku ha deciso di non farti capire chi è, soprattutto quando ha una grande occasione. In un articolo comparso sul numero uno di Undici, Daniele Manusia scrive: «Il Belgio è una nazionale strana, senza terzini e con un solo centravanti a disposizione, Lukaku, a cui però piace lasciare la posizione centrale». È il numero che presenta Brasile 2014, un torneo in cui effettivamente Lukaku deluderà: inizia da titolare le prime due partite, ma gioca malissimo. Nella gara d’esordio, Belgio-Algeria, non tocca un solo pallone nell’area avversaria e si porta a casa un 5 netto nelle pagelle di Tim Lawton del Daily Mail. Esce al 58esimo, esattamente come accade nel match successivo, contro la Russia di Fabio Capello. Tutte e due le volte viene sostituito da Divock Origi, un 19enne reduce da 5 gol in 30 partite col Lille, che nella gara contro i russi si fa pure venire l’idea di segnare la rete decisiva.

È una sentenza: Lukaku resta in panchina contro la Sud Korea e contro gli Stati Uniti, negli ottavi. Entra nei supplementari contro gli americani e sembra voler avviare una favola à la Paolo Rossi, con un gol e un assist, un po’ sporco, per De Bruyne. Wilmots non è d’accordo, così gli preferisce ancora Origi nei quarti contro l’Argentina. Al 94esimo, dopo essere subentrato nella ripresa e sull’uno a zero per la Selecciòn, Lukaku  ha l’opportunità di dare un senso compiuto al suo Mondiale: servito in profondità da Mertens, avrebbe tutto lo spazio e tutto il tempo per battere a rete di sinistro o per mettere una palla forte, tesa, a centro area. Invece la colpisce in modo morbido, senza nerbo, appoggiandola esattamente sul piede di Garay che ovviamente spazza. Nella sintesi che è possibile vedere su Youtube, Fabio Caressa si chiede «Perché [Lukaku] non ha tirato?». È la perfetta sintesi del suo Mondiale.

Lukaku preferisce essere protagonista unico piuttosto che sfruttare un treno che correrebbe pure senza di lui

Evidentemente, Lukaku è uno che preferisce fare le cose partendo dal basso, che vuole essere protagonista unico piuttosto che sfruttare un treno che correrebbe pure senza di lui. Lo dimostra la sua avventura al Chelsea, soprattutto la sera del 19 maggio 2012, quando la sua squadra alza al cielo la prima Champions League vinta da un club londinese. La sua squadra, non lui: Romelu rifiuta la medaglia e nemmeno tocca la coppa. Sull’episodio, dirà: «I’ve not even touched the cup. I don’t deserve it because I was not on the list. I don’t touch anything I don’t deserve». La notte di Monaco di Baviera è solo l’apice negativo di un rapporto tormentato con l’esperienza a Stamford Bridge, iniziata con un pacchetto di record nell’estate del 2011. Lukaku arriva in Inghilterra quando è appena diciottenne ma è già una star: roba da 252 gol in 161 partite nelle accademy di Lierse e Anderlecht, e da 33 reti in 73 match con la prima squadra dei biancomalva di Bruxelles, più il titolo di capocannoniere della Pro-League nel 2010 e la Scarpa d’Ebano dell’anno successivo. Pure il prezzo, 18 milioni di sterline, è da top player. 

In questo video, Lukaku non può avere più di diciotto anni

A prima vista, il passaggio al Chelsea sembra una soluzione naturale, una scelta che non può essere sbagliata. Un giovanissimo Lukaku, poco prima di firmare per il club di Abramovich, ha già dichiarato che i Blues sono la sua squadra del cuore e che una telefonata con «il mio idolo Drogba», roba da «We spoke for about 20 minutes, half-an-hour», è stata uno dei momenti più emozionanti della sua vita. Nella stessa intervista, dice pure di aver avuto «un’educazione molto severa» e che si ritiene «un ragazzo normale che vuole prendere un diploma mentre porta avanti il suo sogno, quello di diventare un calciatore professionista». Il 23 giugno 2011, con uno stato sul suo profilo Facebook, Romelu annuncia di aver conseguito il diploma. Un tifoso commenta: «now come to chelsea………..». Quei tanti puntini sanno di segreto di Pulcinella, di un trasferimento già certo, solo da ufficializzare. Tutte le sensazioni positive si dissolveranno rapidamente: quel Chelsea, allenato da André Villas-Boas e dopo dal suo vice-poi-traghettatore-poi-vincitore Roberto Di Matteo, concederà a Lukaku appena 12 presenze in tutte le competizioni. Romelu parlerà così di quel primo approccio al Chelsea: «Ho sacrificato un anno della mia carriera a Londra, sono finito tra le riserve accanto a ragazzini di 15 anni. La mia stagione è andata veramente molto male».

Sunderland v West Bromwich Albion - Premier League

«It’s been good for Romelu, Chelsea and us». Steve Clarke al Daily Mail, nell’aprile 2013, sulla stagione in prestito trascorsa da Lukaku nel West Bromwich Albion. L’attaccante belga realizza 17 gol in 35 partite, è uno dei candidati al titolo di miglior giovane della Premier League per la stagione 2012/2013 e trascina i Bagpies ad un insperato ottavo posto in classifica, alle soglie della zona Europa League. Nonostante sia diventato l’idolo di The Hawthorns, stadio del Wba, Romelu ha in testa ancora e solo il Chelsea: «My aim is to play at the Stamford Bridge and to be a legend over there in the future». Durante la stagione, affronta anche un momento difficile fuori dal campo: suo padre Roger, ex calciatore dello Zaire con trascorsi in Turchia (Gençlerbirliği) e ovviamente Belgio (Mechelen e Ostenda), si ritrova condannato a 15 mesi di carcere a causa di un’aggressione. A fine stagione, il Chelsea e Lukaku ci riprovano: Didier Drogba, definito «una figura paterna» dallo stesso Lukaku, ha già lasciato Londra per lo Shanghai Shenhua, e il nuovo manager Mourinho sembra crederci più dei suoi predecessori, fino a dichiarare che «the kid is good».

L’idillio dura giusto due presenze da subentrato in Premier più la notte di un’altra grande occasione persa: Lukaku, infatti, sbaglia il rigore decisivo nella finale di Supercoppa Europea contro il Bayern di Guardiola. Mourinho non la prende benissimo, e poi, nelle intervista postpartita, dà il benvenuto al nuovo attaccante del Chelsea, Samuel Eto’o. Quattro giorni dopo, parla così di Lukaku: «Abbiamo Torres, Eto’o e Demba Ba. Naturalmente Romelu avrebbe avuto il suo spazio in campo, ma ha scelto di giocare ogni fine settimana. Aveva diverse opzioni e dobbiamo rispettare la sua decisione». In un’intervista recente al Guardian, Lukaku conferma questa versione, assumendosi la responsabilità per la sua scelta di andare in prestito all’Everton e definisce Mourinho come «un grande personaggio».

Il primo anno di Lukaku con la maglia dell’Everton

L’arrivo di Lukaku a Goodison Park coincide col primo anno da manager dei Tooffees per Roberto Martínez, tecnico spagnolo che per il Telegraph stava provvedendo a «trasformare l’Everton in una squadra che gioca un calcio tipicamente iberico, bello da vedere». Lukaku dice di trovarsi bene, che «è bello lavorare con un allenatore che ha questa continua ambizione di miglioramento, soprattutto tattico». In maglia Blues Everton, Romelu studia da attaccante completo: segna 15 gol in 31 match di Premier League, ma mette insieme anche 6 assist e un totale di 26 passaggi chiave. Questi dati, le heatmap di Sqwawka – le infografiche che descrivono le zone in cui i calciatori giocano la palla – e le videocompilation su Youtube raccontano di un centravanti moderno, che ama spaziare lungo tutto il fronte d’attacco e sfrutta tutte le sue abilità tecniche e fisiche per partecipare all’azione anche lontano dall’area avversaria. Il sito outsideoftheboot.com, nel febbraio 2014, pubblica un’analisi tattica in cui viene esaltata la sua prestazione totale in un derby contro il Liverpool («I suoi movimenti sono intelligenti ed estremamente vari, e servono ad aprire spazi ai suoi compagni») e viene definito, semplicemente, come «The most complete young striker».

Nonostante tutto questo, per Lukaku l’Everton è solo una tappa d’avvicinamento al grande sogno. Che è, ovviamente, ancora il Chelsea: «So che Mourinho sta monitorando le mie prestazioni, voglio tornare a Londra come un calciatore migliore». Il primo ravvedimento arriva dopo il Mondiale, quando dichiara che questo è il momento «per fare delle scelte. Voglio un club dove giocare al massimo, dove poter crescere ancora e, perché no, vincere dei titoli. Ho 21 anni, ma credo di aver maturato la giusta esperienza e sono pronto a diventare uno dei migliori». Il cambio idea definitivo arriva poco più tardi, per merito della madre e dell’insistenza di Roberto Martínez. Lukaku racconta di aver rifiutato due volte le offerte del tecnico spagnolo, e di essersi convinto solo dopo averne parlato con sua madre, che gli ha semplicemente detto di «andare all’Everton». Mourinho è meno facile da convincere, ma Martínez è uno testardo per davvero. Il trasferimento viene ufficializzato il 30 luglio del 2014, e costa all’Everton una somma pari a 35 milioni di euro.

Romelu Lukaku oggi. Taglio corto e maglia numero 10

Forse, la dimensione reale di Lukaku è proprio quella dell’Everton. Forse, in un ambiente così, Lukaku non sa e non può più evitare di farsi conoscere e riconoscere. Lo leggi nei numeri, lo capisci guardandolo giocare. La prima stagione è da 20 gol in 48 partite. Bene ma non benissimo, considerando che 8 reti sono state realizzate in Europa League, competizione di cui alla fine sarà capocannoniere insieme ad Alan del Salisburgo. Il manager Martínez spiegherà con la stanchezza post-mondiale le prestazioni non al top, almeno sottorete. Il rendimento a tutto campo è, invece, ancora e pienamente soddisfacente, con 5 assist e 36 passaggi chiave nelle 32 partite di Premier League e altri 2 assist e 8 passaggi chiave negli 8 match disputati in Europa League. La stagione in corso sembra essere quella dell’esplosione definitiva: Lukaku è già a 15 gol e 5 assist in 23 partite, segna in tutti i modi possibili (7 gol col sinistro, il piede preferito, ma pure 4 di destro e altrettanti di testa) ed è entrato in un club abbastanza esclusivo, quello dei calciatori in grado di segnare 50 gol in Premier League a 23 anni. Solo in cinque ci sono riusciti, gente come Owen, Rooney, Fowler e Cristiano Ronaldo. Lukaku in realtà ne ha ancora 22, e sembra davvero felice: nell’intervista a FourFourTwo, dichiara di «essere davvero vicino all’attaccante che voglio essere». O ancora: «So sempre cosa fare per fare gol: se una squadra mi lascia spazi dietro la linea difensiva, riesco ad inserirmi. In caso contrario, gioco con le spalle rivolte alla porta». Qualcosa è cambiato, forse: Lukaku sembra finalmente pronto, anche per un top club. Ma non ha perso l’abitudine di fallire, o quasi, proprio nelle grandi occasioni.

Il match di sabato 16 gennaio, in questo senso, è l’ultimo capitolo. A Stamford Bridge si gioca Chelsea-Everton, con i Tooffees avanti di 4 punti in classifica. Lukaku combatte a tutto campo, è il perno centrale del tridente con il connazionale Mirallas e Barkley, nominalmente un centrocampista. Una partita da 7 in pagella per Neil Ashton del Daily Mail. Dopo l’addio ai Blues di Londra, Romelu non ha mai segnato né vinto nello stadio della sua ex squadra. Non riesce a fare gol neanche in questa partita, ma il risultato dice comunque 2-3 al 97esimo minuto. Poi ecco John Terry, che segna di tacco, al volo, in posizione sospetta. Chelsea-Everton 3-3: Lukaku ha sprecato un’altra grande occasione. Ma stavolta, almeno, non è proprio tutta colpa sua. Qualcosa, forse, sta cambiando per davvero.

 

Nell’immagine in evidenza, Romelu Lukaku esulta nel derby contro il Liverpool dello scorso 4 ottobre. Dean Mouhtaropoulos/Getty Images. Nell’immagine in testata, dopo un gol al West Bromwich dello scorso 28 settembre. Alex Livesey/Getty Images