Guidolin non cambia mai

L'ennesima avventura di Francesco Guidolin, imbattuto dopo tre panchine con lo Swansea: storia di un allenatore apprezzato, nonostante una carriera senza grandi squadre.

Maggio 2014. Durante la sua conferenza stampa d’addio all’Udinese, Francesco Guidolin indossa un vestito scuro, e piange. Poi dice una frase che stride con la sua faccia provata, con le sue lacrime: «Ritengo giusto passare il testimone per quanto riguarda la guida della squadra da un punto di vista strettamente tecnico». Tutto d’un fiato, senza virgole o interruzioni. Sostiene di aver maturato questa decisione nel corso dell’ultimo anno, ma lascia spiegare al ds friulano Cristiano Giaretta il suo nuovo compito. Non vuole essere lui a dirlo, forse nemmeno lui sa bene di cosa si tratta. Guidolin, secondo Giaretta, sarà «il supervisore delle tre squadre» della famiglia Pozzo.

Nel video della sua presentazione allo Swansea, Guidolin appare un po’ invecchiato. Indossa un maglione chiaro, beige, ma forse questo non significa niente. Per tutto il montaggio, sorride. A modo suo, col volto tirato, ma sorride. Questo, invece, significa moltissimo.

La videopresentazione di Guidolin allo Swansea, direttamente dall’account Twitter del club gallese.

Francesco Guidolin è uno che tu ricordi allenatore, che per te fa questo mestiere da sempre o comunque da un certo punto in poi. Questo momento di Guidolin è l’esperienza di Vicenza, quattro stagioni alla metà degli anni Novanta. Solo che c’è anche un prima, di cui si parla meno ma che è comunque importante. C’è una carriera da calciatore, ad esempio: roba da cinque presenze nell’Under 21, storia breve di un centrocampista di classe, presunto predestinato, nelle giovanili del Verona. In realtà, poi va maluccio: pochissima Serie A, campionati sparsi in cadetteria, un finale malinconico a Venezia, a poco più di trent’anni. E un’autocritica lapidaria: «Alla mia carriera come calciatore darei una sufficienza risicata. Se fossi stato il mio allenatore mi sarei fatto giocare poco o niente. Preferisco i tipi con più personalità».

Subito dopo c’è la gavetta da allenatore, che inizia praticamente sotto casa, in una squadra che si chiama come un pittore. Il Giorgione, club di Catelfranco Veneto, prende il nome da un artista nato proprio nelle stradine del paese e vissuto a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. Uno che Gabriele D’Annunzio aveva definito «un mito piuttosto che un uomo». Prima le giovanili, poi la prima squadra. Le cronache definiscono Guidolin un profeta della zona, un figlio di Sacchi; lui risponde che «la contrapposizione tra sacchiani e italianisti non ha ragione di esistere, ci sono squadre che praticano un bel gioco pure utilizzando la marcatura ad uomo». Sale piano: la C2 col Treviso, la C1 col Fano e con l’Empoli, la promozione in B con il Ravenna, anno 1993. In quella estate lo chiama l’Atalanta del primo ciclo di Antonio Percassi come presidente, è l’esordio in Serie A. Dieci partite e poi l’esonero, il primo della carriera. In uno speciale Sky, Guidolin commenta così la scelta di andare a Bergamo: «Ho fatto un errore, non ero pronto. È stata una bella musata, di quelle che fanno bene nella vita».

Francesco Guidolin dà indicazioni durante West Bromwich-Swansea. Richard Heathcote/Getty Images
Francesco Guidolin dà indicazioni durante West Bromwich-Swansea. Richard Heathcote/Getty Images

I quattro anni a Vicenza sono insieme storia ed epica: la promozione al primo colpo, a sedici anni dall’ultima Serie A con Paolo Rossi, la salvezza comoda del 1996. Il Guidolin di allora, chiamato al Forum degli Industriali veneti per parlare di motivazione, di gruppo di lavoro e cose così, ricorda il primo approccio coi suoi nuovi calciatori: «Al mio arrivo a Vicenza trovai una squadra ben allenata e disposta ad ubbidire. Ma nessuno aveva il coraggio di alzare gli occhi. Io volevo persone vive». Tatticamente, i commenti su di lui sono cambiati: Carlo F. Chiesa, alla fine degli anni Novanta, lo definisce «un tecnico che crede alla zona, ma soprattutto ai giocatori generosi (Di Carlo) e intercambiabili (Viviani). Uno che appare scorbutico ma che talvolta deroga dalla sua immagine un po’ rigida, che si áncora a valori solidi come la fatica». Nel 1997, il Vicenza vince il primo trofeo della sua storia, la Coppa Italia; l’anno dopo, in Coppa delle Coppe, i berici arrivano al penultimo atto e perdono col Chelsea di Vialli (e Zola, e Gus Poyet, e Hughes) solo nel secondo tempo della sfida di ritorno, dopo essere andati in vantaggio a Stamford Bridge con un gol di Pasquale Luiso.

Nel suo racconto a Sky, quelle due stagioni vengono descritte come al solito, senza fronzoli linguistici. Parole veloci, secche, giusto qualche “eccezionale” sparso che si intona a una voce e a uno sguardo colmi di orgoglio: «Abbiamo eliminato la Lucchese, il Genoa, il Milan, il Bologna, poi abbiamo vinto la finale con il Napoli. Siamo arrivati alla semifinale europea, l’anno successivo. Eccezionale, veramente eccezionale». Durante la sua esperienza a Vicenza, si scrivono e succedono anche cose che raccontano del Guidolin uomo: la passione per il ciclismo («Amo gli sport di fatica, fatica e solitudine», dice in un’intervista) ma pure una visione pulita, inclusiva, del gioco del calcio. Durante i festeggiamenti per la vittoria in Coppa Italia, qualcuno gli mette al collo una sciarpa della Lega Nord. Guidolin, il giorno dopo, risponde così: «Io ricordo solamente che qualcuno mi ha messo al collo una sciarpa. Ho pensato che fosse biancorossa, ma nell’eccitazione del momento non ci ho fatto caso. Ora che so, sono indignato. Quella è opera di un cretino. Mi sento strumentalizzato da un gesto volgare e offensivo. Lo sport è aggregazione, mai divisione».

Chelsea-Vicenza. Pare impossibile, ma non sono passati nemmeno vent’anni.

Due istantanee per spiegare e raccontare il rapporto di Guidolin con Udine. Una dallo speciale di Sky, con il tecnico veneto che parla della perfetta aderenza del suo stile di vita con l’atmosfera della società fiulana: «Udine mi ha sempre preso, anche e soprattutto nella mia prima esperienza. A Udine riesco a stare meglio, anche il nervosismo che sento dentro di me a causa di questo mestiere riesce ad affievolirsi. Dopo aver allenato a Udine, non posso chiedere altro». Guidolin arriva in Friuli nel 1999, si gioca la Champions e alla fine arriva in Coppa Uefa. Viene esonerato poco prima del ritiro estivo della seconda stagione per quella che lui definisce «un’incomprensione colossale», nata da una dichiarazione poco felice sul tifo bianconero. Poi viene richiamato nel 2010: dirà di «aver sognato tante volte questo rientro».

La seconda immagine è dell’estate del 2012, e fa riferimento alla conferenza stampa postpartita di Udinese-Sporting Braga, ritorno del playoff di qualificazione alla Champions League. I friulani avevano fallito l’accesso alla fase a gironi già l’anno prima, dopo uno splendido (e sfortunato) doppio confronto con l’Arsenal. Dopo la sconfitta ai rigori coi portoghesi, maturata a causa di un cucchiaio (non) à la Totti de “O Mago” Maicosuel, Guidolin si presenta in sala stampa e dice: «Sono amareggiato, mi dispiace tantissimo per la città, per i tifosi, per i miei giocatori. Mi dispiace anche per me, perché questa era l’ultimissima occasione che avevo per giocare la Champions. Evidentemente, non sono in grado di arrivare più in là». Il resto della scarna conferenza è un’apologia dei suoi ragazzi, ma non solo: «Probabile che quanto visto stasera sia quello che potevamo dare o che io riesco a tirar fuori. È difficile sostituire ogni anno due, tre calciatori importanti che vanno via, è difficile amalgamare tutti i nuovi all’inizio di stagione». Nella sera più amara della sua carriera, Guidolin si “lamenta” per la prima volta della politica del club friulano, che in due estati (2011 e 2012, alla vigilia di due preliminari di Champions) ha ceduto Alexis Sánchez, Inler, Zapata, Asamoah, Isla e Handanovic. Nel mercato del 2012, il secondo acquisto più costoso dopo Davide Faraoni (arrivato dall’Inter per 8 milioni) fu proprio Maicosuel, pagato 5 milioni e 300mila euro. Quell’Udinese riuscì ad arrivare quinta in classifica e a qualificarsi per l’Europa League 2013/2014, da cui sarà eliminata, sempre ai preliminari, dallo Slovan Liberec. Oggi, O Mago è nell’organico dell’Atletico Mineiro, a cui è ritornato dopo aver vissuto una stagione in prestito nell’Al-Sharjah, squadra emiratina.

L’Udinese 2010/2011, con Jovanotti in sottofondo.

Palermo è l’unica città sotto il Po in cui Francesco Guidolin abbia fatto l’allenatore, ed è probabilmente il secondo luogo chiave della sua carriera. Ci arriva durante la stagione 2003/2004 per sostituire Silvio Baldini, che tiene il Palermo in zona promozione ma non al primo posto nel campionato cadetto. Zamparini, molto candidamente, ammette che «se non c’era Guidolin libero, col cazzo che cacciavo Baldini». Quando parla della sua avventura siciliana, Guidolin usa ripetutamente una serie di keywords. Tifosi: «Eravamo circondati da un entusiasmo incredibile, il primo e il secondo anno lo stadio era pieno un’ora e mezza prima della partita. Non avevo mai visto tifosi così vicini, in tutti i sensi, a una squadra. E non l’avrei visto mai più, neanche quando ho deciso di ritornare a Palermo». Calciatori: «Abbiamo avuto grandi calciatori: Corini, Toni, successivamente Amauri. Ma anche Biava, Guardalben. Tutti ragazzi che ci hanno dato delle soddisfazioni incredibili». E poi, noblesse oblige, Maurizio Zamparini: una citazione famosa di Guidolin è quella dello Zamparini «miglior presidente dal martedì alla domenica». A mente fredda, anni dopo, il tecnico veneto racconterà di un rapporto non difficile come tutti immaginano, ma comunque logorante: «Promozione, qualificazione in Coppa Uefa, lotta per la Champions, un ritorno, un esonero e una richiamata. Tutto questo in tre anni, quando sembra che uno abbia preso chissà quante frustate con Zamparini. Ci sono stati dei momenti in cui gli avrei fatto chissà che cosa, avremmo fatto ancora meglio se fosse riuscito a frenarsi in certe situazioni». Qualche mese fa, il presidente rosanero ha definito il tecnico veneto come «il miglior allenatore con cui abbia lavorato». Soddisfazioni del genere meritano pure un’attesa così lunga.

Guidolin
Francesco Guidolin durante Inter-Palermo, 16 marzo 2008. (New Media/Getty)

Bologna e Parma sono due esperienze simili, un po’ dimenticate dalla memoria collettiva perché strette temporalmente tra Vicenza, Udinese e Palermo. Ma sono quattro stagioni che però raccontano tanto, anche e soprattutto di un calcio e di luoghi che cambiano mentre Guidolin non cambia mai. Lo stesso volto tirato, tutto il peso del corpo su piedi e ginocchia nell’area tecnica. E, soprattutto, un’innegabile bravura nel fare il suo mestiere: lo leggi nei risultati raccolti nelle due città emiliane, il massimo che il contesto e il momento storico del campionato potessero permettergli. Con i rossoblu sfiora addirittura la Champions, sfumata in un 5 maggio alternativo che nessuno ricorda solo perché a Roma, nello stesso giorno, andava in scena il dramma di Cúper, Moratti, Ronaldo. Il 4-2 di quel Lazio-Inter e le vittorie di Chievo e Milan fanno scivolare il Bologna (sconfitto per 3-0 a Brescia) dal quarto al settimo posto, l’ultimo utile per la Uefa se non fosse che il Parma ha vinto la Coppa Italia. Se in un’intervista recente Guidolin ha ammesso che la notte di O Mago Maicosuel, quella di Udinese-Braga, è stato «il momento più brutto della sua vita», quel 5 maggio gli sta vicino, in quanto a delusione: «Cosa provo? Faccio fatica a parlare. Purtroppo i punti non sono bastati. Il campionato non si chiude come speravamo. Di questa sfida non posso dire niente. Il Brescia ha vinto meritatamente, ha lottato per novanta minuti. Comunque non ho niente da rimproverare ai miei ragazzi».

Il calcio e i luoghi cambiano
mentre Guidolin non cambia mai

Parma, invece, è il luogo della «promozione più difficile della carriera». Guidolin rileva l’esonerato Cagni a settembre, con la squadra a ridosso della zona Lega Pro. Alla fine il Parma arriverà secondo dietro il Bari di Antonio Conte, con appena 3 sconfitte nelle 36 partite di gestione Guidolin. Il successivo campionato in massima serie è di altissimo profilo: i tempi delle sette sorelle sono lontani un decennio, e quindi un posto a metà classifica, per un Parma così, è il massimo a cui aspirare. Guidolin fa di più, ancora: arriva ottavo, lancia Biabiany e si toglie lo sfizio di battere Lazio, Fiorentina, Napoli e Juventus in trasferta. Il rapporto si interrompe a fine stagione, con l’ad Leonardi e il presidente Ghirardi che denunciano l’interessamento «scorretto» dell’Udinese per il loro tecnico ancora sotto contratto. Quando viene presentato come nuovo allenatore bianconero, Guidolin dice una frase che spiega perché ha abbandonato Parma: «Ora sono tornato a casa».

Juventus-Parma 2-3,maggio 2010.

Francesco Guidolin non ha mai avuto l’occasione di allenare una grande squadra, nonostante possa vantare un curriculum quasi perfetto, pieno di imprese al limite dell’incredibile. A volte pare soffrire questo suo destino («Ho detto no a un’offerta di un club importante adesso non potrete più dire che non sono mai stato contattato da una big»), in altre occasioni, invece, sembra accettare più serenamente la cosa («Ho avuto le mie grandi squadre in Serie B e Serie C»). In un’intervista a Repubblica parla anche di Nazionale, ma poi tutto è andato diversamente. Sì, perché il vero cruccio di Guidolin è sempre stato il calcio estero. L’ha appena assaggiato, nella stagione 2005/2006, con un’esperienza al Monaco, nel Principato. Che non è proprio lontanissimo in verità, ma che secondo il tecnico veneto è distante anni luce dalle pressioni del nostro calcio: «A Monaco e nei campionati stranieri in generale c’è molta più serenità, le tifoserie vivono in un clima tranquillo e frequentano degli impianti accoglienti, belli. Se sali verso il Nord Europa, è quasi sempre così».

Oggi, dieci anni dopo l’esperienza francese, Guidolin può finalmente verificare se pure il Regno Unito gli offrirà la stessa atmosfera. L’approccio, al di là di una conferenza stampa in lingua mista che ha già fatto il giro del web, è stato particolare, diciamo pure a due facce: la prima sono i calciatori dello Swansea, che semplicemente si sono chiesti chi fosse Guidolin. La seconda è l’esordio in panchina: Everton-Swansea 1-2, gol di Sigurðsson e André Ayew e Swans fuori dalla zona-retrocessione. Nelle tre panchine collezionate finora, è ancora imbattuto. Se la Premier finisse oggi, il tecnico veneto avrebbe già raggiunto il suo obiettivo. Una sua abitudine.

In un’intervista post-partita da leggere sul Guardian, Guidolin dice che allenare in Inghilterra è sempre stato il suo sogno. Il modo e il luogo migliori per staccare con Montanelli, i viaggi, il ciclismo e le colline asolane, gli hobby di un anno e mezzo senza calcio. Troppo tempo, per uno come lui: lo capisci dalle dichiarazioni sul ruolo da supervisore tecnico, quello spiegato da Giaretta («Un progetto che non è mai partito. Ma io mi sento allenatore, penso di poterlo fare ancora bene»), lo vedi nei video dei suoi primi giorni in Galles. Quello della presentazione col maglione beige, ma pure quello del post-partita ufficiale della Premier League, subito dopo Everton-Swansea. Quando il giornalista gli fa i complimenti per la sua prima vittoria, definendola «a perfect start», Guidolin sorride. A modo suo, col volto tirato, ma sorride. Perché il calcio e i luoghi cambiano, ma Guidolin non cambia mai. Bentornato, semplicemente.

 

Nell’immagine in evidenza, Francesco Guidolin in panchina durante il match contro il West Bromwich Albion. Richard Heathcote/Getty Images