It’s a Mad, Mad, Mad, Mad All-Star Game

La Nba si ferma per tre giorni in Canada, tra schiacciate, tiri da tre e Est contro Ovest: da ieri a oggi, protagonisti, aneddoti, curiosità di un grande show.

Il primo (1951) – Primi anni ’50, la Nba non è neppure lontana parente di quella lega strapotente che conosciamo oggi. Il baseball, il football della Nfl, quello universitario e la boxe sono tutti sport che attirano più pubblico e più soldi. Che fare? Haskell Cohen, laureatosi in giornalismo alla Boston University, viene assunto per occuparsi di pubbliche relazioni ed entra così a far parte dell’organigramma della lega. Organigramma, oddio: «Non avevamo staff, eravamo io e il commissioner (al tempo Maurice Podoloff, nda)», ricorda. Un giorno, al tavolo con Walter Brown, l’allora proprietario dei Boston Celtics, Cohen ha un’idea: «E se organizzassimo un All-Star Game? Il baseball già lo fa, e alla gente piace». Podoloff è tiepido, Brown fortunatamente meno, tanto da prendersi in carico l’organizzazione delle prime due edizioni e accettare di accollarsi eventuali perdite finanziarie. Non sarà necessario: il 2 marzo 1951, sul parquet del Boston Garden, va in scena il primo All-Star Game. Sugli spalti 10.094 persone, in campo i migliori talenti della Nba, Est vs. Ovest (per la cronaca vincono i primi, 111-94). Ci sono tutti i campioni dell’epoca, anche perché Cohen li ha invogliati a partecipare promettendo un piccolo regalo. Lui pensa a una spilla, a un anello, ma Podoloff da quell’orecchio ci sente poco: «Fai pure, ma non spendere più di 2,25 dollari a testa». Cohen si salva in angolo siglando un accordo con un negozio di Boston: ogni All-Star torna a casa con un televisore nuovo.

NBA All-Star Game 2015

Il primo fuori dagli Stati Uniti (2016) – Sessantacinque anni dopo, un’altra prima volta, quella di un All-Star Game che non si disputa in una città Usa. Non era mai successo, ma la città di Toronto è abituata alle “prime”. Nella capitale dell’Ontario, il 1 novembre 1946, si è svolta anche la prima partita Nba, tra gli allora Toronto Huskies e i New York Knicks. Non finiscono qui gli omaggi storici: si celebra infatti anche il 125° anniversario della nascita della pallacanestro, “inventata” nel 1891 da un professore di ginnastica dell’Ymca come attività ricreativa da disputarsi al coperto durante la fredda stagione invernale. Lui era James Naismith: guarda caso, canadese.

Albo d’oro – Ok, il risultato non è la prima (né la seconda, o la terza) cosa che conta alla partita delle stelle. Giusto però ricordare che la selezione dell’Est guida con ampio margine il conto delle sfide, con 37 vittorie a fronte di solo 27 per l’Ovest. Dei primi anche la “striscia” di successi consecutivi più lunga (5, dal 1980 al 1984 compreso), anche se quattro delle ultime cinque sfide hanno visto la vittoria dell’Ovest.

Attraverso il tempo: Kobe nei 17 All-Star Game in carriera

Addio Kobe – Se fosse servita un’indicazione sul tema dominante del weekend di Toronto, è arrivata dalle urne popolari del voto (sono i tifosi, esprimendo le loro preferenze, a scegliere i cinque titolari dell’Est e dell’Ovest): sarà l’All-Star Game di Kobe Bryant, alla sua recita finale. Dopo aver annunciato il ritiro a fine anno, la superstar dei Los Angeles Lakers ha dominato il ballottaggio pubblico ricevendo ben 1.891.614 preferenze, quasi 290.000 in più rispetto a Steph Curry (l’Mvp in carica della Nba) e 800.000 in più di LeBron James. È la 18esima convocazione consecutiva all’All-Star Game per Bryant, un record assoluto, così come al n°24 dei Lakers appartiene già il primato per punti segnati nella storia della manifestazione. Per quattro volte è stato votato miglior giocatore dell’All-Star Game (2002, 2007, 2009 e 2011, come lui solo Bob Pettit a cavallo tra gli anni ’50 e ’60), disputato per la prima volta nel 1998, quando aveva solo 19 anni e 169 giorni. L’ennesimo record.

Vota Antonio (o forse Andre)! – Per chi, come Bryant, non può contare sul voto di massa dei tifosi, c’è sempre la possibilità di far campagna elettorale in rete, affidandosi a un video su Youtube per cercare il sostegno popolare. Nessuno lo ha fatto meglio di Andre Drummond e dei Detroit Pistons, la sua squadra, con un piccolo gioiello che chiama in causa Drake e niente meno che il Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama, uno che di campagne elettorali se ne intende.

Obama for Drummond

Il look – Come ogni anno anche le divise delle due squadre attirano l’attenzione dei tifosi. Essendo una prima volta per il Canada, adidas ha puntato molto sui simboli cittadini (lo skyline di Toronto viene riprodotto sul retro delle maglie) e statali (un patch a forma di foglia d’acero — simbolo della bandiera canadese — è posizionato appena sopra lo skyline, sotto il collo degli atleti, e incorpora una stella con il logo Nba). Anche il font utilizzato per numeri e scritte è semplice e pulito, in omaggio allo stile di metà anni ’40, l’epoca della storica sfida Huskies-Knicks. Sui pantaloncini, un’altra stella incorpora un artiglio che richiama il logo dei Raptors, franchigia locale. Per la primissima volta nella storia della lega, le maglie presentano uno sponsor (il colosso automobilistico coreano Kia), segnale di una prossima apertura alle sponsorizzazioni anche sulle divise delle singole franchigie.

La maglia della selezione West
La maglia della selezione West

Il logo – È ideato e disegnato internamente dalla Nba ma sfrutta la consulenza del dipartimento marketing e comunicazione della Maple Leaf Sports & Entertainment (società proprietaria anche dei Raptors), il cui vice-presidente, Shannon Hosford, ha raccontato: «Le bozze che ricevevo quotidianamente dagli uffici newyorchesi della Nba non mi convincevano. Poi ho guardato fuori dalla finestra del mio ufficio al quarto piano e l’imponente figura della CN Tower mi ha tolto ogni dubbio». Dall’alto dei suoi 553.33 metri domina infatti lo skyline di Toronto, la più alta struttura autonoma dell’emisfero occidentale.

Far festa con Drake – Padrone di casa, essendo nato proprio in città, e forte del ruolo di global ambassador per i Toronto Raptors, Drake sarà uno dei protagonisti del weekend. A maggior ragione ora che all’interno dell’arena che ospiterà l’All-Star Game – l’Air Canada Centre – ha aperto il proprio locale super-esclusivo, ribattezzato Sher Club. Tutto velluti rossi e fregiature color oro, con accesso normalmente riservato ai soli soci, promette di essere il luogo più cool del weekend Nba.

Il retro della maglia dell'East
Il retro della maglia dell’East

Star spangled banner… – Apprezzatissima voce dell’R&B contemporaneo, toccherà a Ne-Yo l’onore/onere di interpretare l’inno nazionale Usa prima della palla a due (un personaggio di casa, Nelly Furtado — nata a Victoria, capitale della British Columbia — intonerà l’inno canadese). Il nome di Ne-Yo va in coda a quelli di artisti celebri che hanno impreziosito la partita delle stelle Nba con la propria versione di Star Spangled Banner: da John Legend, titolare di una brillante esecuzione a cappella nel 2013, alle Destiny’s Child nel 2006, fino a un gruppo leggendario della Motown come The Temptations, esibitisi nel 1984. È di un anno prima, però, la versione da tutti considerata la migliore di sempre — e anzi una delle più storiche della storia Usa, appaiata a quella di Jimi Hendrix sul palco di Woodstock nel 1969 o di Whitney Houston in piena Guerra del Golfo al Superbowl del 1991. Parliamo del capolavoro eseguito da Marvin Gaye sul parquet del Forum di Los Angeles nel 1983. Neppure la prima scelta dell’organizzazione (si era sondata la disponibilità di Lionel Richie), Gaye venne contattato il martedì precedente al weekend dell’evento. Fresco del successo di “Sexual Healing”, accettò e si presentò a Los Angeles per le prove del sabato, con una versione (lunghissima) di 5 minuti. Per convincerlo a tagliarla fu necessario l’intervento diretto di Julius Erving, la stella dei Philadelphia 76ers. Al risuonare delle prime note dell’inno – interpretato in chiave funky, stravolgendo una melodia considerata al tempo quasi sacra – non tutti furono entusiasti. Tra gli infuriati il commissioner Nba Larry O’Brien, convintissimo che la versione fosse “irrispettosa”. Di parere contrario i giocatori in campo – parecchi high five convinti al termine dell’esecuzione – e il pubblico stesso, trascinato fino al punto di accompagnare con un battimano ritmato tutta la seconda parte dell’inno. Pronunciata l’ultima parola – brave – incassati gli applausi, Gaye se ne andò senza assistere alla partita. Poco più di un anno dopo, morì per mano del padre, che gli sparò due volte.

L’esibizione di Marvin Gaye all’All Star Game 1983

…O Canada – Due i giocatori della squadra di “casa” – i Toronto Raptors – convocati per l’All-Star Game, entrambi per la seconda volta in carriera: il playmaker Kyle Lowry, titolare in quintetto come già nel 2105, e la guardia tiratrice DeMar DeRozan, che parte dalla panchina. Sono invece ben 12 – mai così tanti – i giocatori di passaporto canadese oggi nella Nba: nessun altro Paese ne ha altrettanti.

DeMar DeRozan (credits Nike)
DeMar DeRozan (credits Nike)

Showtime – Non è all’altezza del Superbowl Nfl, ma anche l’halftime show dell’All-Star Game Nba è palcoscenico ambito dai grandi nomi dell’entertainment americano. Basta scorrere in rassegna quelli esibitisi in anni recenti: Ariana Grande lo scorso febbraio a New York, Alicia Keys nel 2013 a Houston, un terzetto di superstar composto da Rihanna, Kanye West e Drake a Los Angeles nel 2011, Shakira l’edizione precedente a Dallas. Quest’anno toccherà a Sting, in rampa di lancio per il tour estivo “Rock, Paper, Scissors” che lo vedrà al fianco di Peter Gabriel. Prima di lui, uno spettacolo del Cirque du Soleil introdurrà in maniera super spettacolare i 24 convocati alla partita.

La gara da tre punti – I momenti più leggendari della competizione sono legati al nome di Larry Bird. Prende parte alla primissima edizione della sfida di tiro – a Dallas, nel 1986 – e lo fa a modo suo: entra in spogliatoio e pronuncia “le cinque parole più famose del contest”: «Quindi, chi arriva secondo oggi?». Ovviamente vinse, così come l’anno seguente e l’anno dopo ancora, nel 1988 a Chicago, quando, lasciato andare l’ultimo tiro da tre punti dall’angolo, decisivo per la vittoria, alzò il dito indice al cielo in segno di trionfo ben prima che la palla entrasse a canestro. Quest’anno il roster promette di regalare emozioni analoghe: torna il campione in carica (nonché miglior giocatore Nba 2015) Steph Curry, ma se la dovrà vedere col compagno di squadra (l’altro “Splash Brother”) Klay Thompson e con tanti eccellenti tiratori, da James Harden a J.J. Redick. Volete il nome di quello che gli americani chiamano “dark horse”, la possibile sorpresa? Puntate un dollaro sulla matricola di Phoenix, Devin Booker.

La gara dei tre punti nel 1988: Larry Bird protagonista

La gara delle schiacciate – Nasce grazie alla Aba, lega alternativa (e lisergica) degli anni ’70, che creò il mito di “Doctor J” Julius Erving, il primo grande schiacciatore. Nel 1984 è Larry Nance a vincere la prima edizione targata Nba, ma ci vuole Michael Jordan – due volte campione, nel 1987 e nel 1988 – per fare dello Slam Dunk Contest un momento di must-see tv. Non dura per sempre: solo 10 anni dopo, nel 1988, la gara viene cancellata, perché si ritiene sia già stata inventata e provata ogni evoluzione aerea che preveda un pallone e un canestro a 3.05 metri. Sbagliato. Nel 2000, a Oakland, la gara delle schiacciate viene resuscitata e Vince Carter – in maglia Toronto Raptors – si esibisce in quella che viene considerata la routine più spettacolare di sempre. Nelle edizioni a seguire si segnala la tripletta di Nate Robinson, a malapena 1.75 di altezza, e il balzo sopra un auto di Blake Griffin (2011). Campione in carica è Zach LaVine, giovane talento dei Minnesota Timberwolves, chiamato quest’anno a difendere il titolo vinto lo scorso febbraio nella Grande Mela anche grazie alla canotta dei Looney Tunes esibita in omaggio a Michael Jordan e al mito di Space Jam. «I believe I can fly…»

Le schiacciate di Vince Carter nel 2000 vengono considerate le più spettacolari

La partita – Il piatto forte arriva la domenica con la sfida Est vs. Ovest. Dal 1951 a oggi (non si è disputato solo nel 1999, quando una serrata aveva fermato il campionato), l’All-Star Game Nba ha regalato tanti momenti indimenticabili. Tra quelli più o meno recenti passati alla storia: 1) 1992, Orlando: Magic Johnson, annunciata la sua sieropositività e l’addio al basket il novembre precedente, torna in campo votato dai tifosi per la partita delle stelle. La chiude con quattro minuti finali da antologia, segnando a ripetizione da tre punti e sfidando con successo uno-contro-uno prima Isaiah Thomas e poi Michael Jordan. È suo il premio di Mvp; 2) 1998, New York: un 19enne Kobe Bryant sfida Michael Jordan sul parquet del Madison Square Garden; 3) 2001, Washington: l’Est recupera uno svantaggio di 21 punti negli ultimi nove minuti e vince, grazie al mix unico di talento&cuore di Allen Iverson, incoronato Mvp a fine gara; 4) 2003, Atlanta: l’unico All-Star Game terminato dopo due tempi supplementari è quello che vede l’ultima recita di Michael Jordan, celebrato sulle note di “Hero” da Mariah Carey (con improbabile canotta n°23 degli Wizards tramutata in inguardabile vestito lungo da sera…).

Lo show di Magic Johnson nel 1992

O Brother, Where Art Thou – Non parliamo dei fratelli Coen, ma dei Gasol, Pau e Marc, da Barcellona, Spagna (o meglio Catalogna, direbbero loro). Titolare per la squadra dell’Est il primo, titolare per quella dell’Ovest il secondo, lo scorso anno si sono ritrovati uno contro l’altro a saltare per la palla a due di inizio gara, sul parquet del Madison Square Garden. Resta una delle immagini più forti di sempre per declinare lo slogan global game tanto caro alla Nba. Trascorsi solo dodici mesi, è tutto cambiato: né Pau né Marc hanno ricevuto la convocazione per la sfida di Toronto: il primo finirà per esserci ugualmente, chiamato a rimpiazzare l’infortunato compagno dei Bulls Jimmy Butler; il secondo, invece, al danno dell’esclusione somma la beffa di una frattura al piede che lo terrà fuori fino al termine della stagione.

 

Nell’immagine in evidenza,  Russell Westbrook schiaccia nell’All-Star Game 2015. Jason Szenes – Pool/Getty Images. Nell’immagine in testata, Bryant e Paul insieme all’All-Star Game 2009. Ronald Martinez/Getty Images