Vassilis il greco

Vassilis Hatzipanagis è uno dei più forti sconosciuti di sempre. Capace di dribbling incredibili e finte abbacinanti, storia di un Messi ante litteram.

Se c’è una cosa che la storia di Sixto Rodriguez ci ha insegnato è che il talento può nascondersi ovunque ma soprattutto sotto al tuo naso, e non è detto che venga riconosciuto in tempo utile perché le grandi platee lo apprezzino. Almeno, non le platee direttamente proporzionali al talento in questione. Questa congiura astrale, che fa sì che esistano persone dotate di capacità straordinarie che comunque riescono a passare inosservate ai più, ci ha sempre affascinato e sempre ci affascinerà. Un po’ perché non vogliamo arrenderci al fatto di essere poveri stronzi – e, di conseguenza, ci fa piacere immedesimarci con degli incompresi – e un po’ perché la solidarietà è un piatto che in genere viene servito quando l’ospite è freddo.  Nel caso di Sixto Rodriguez il seme che farà germogliare la sua leggenda tardiva è il volo Stati Uniti-Sud Africa, che porta in fondo al globo una delle sei copie vendute del suo disco. Tra gli argomenti dell’album ci sono le rivolte popolari, l’uso di droga e la libertà nei costumi sessuali, perciò farà molta presa su una generazione di studenti in preda a tipici problemi adolescenziali quali acne e apartheid. Nel caso di Vassilis Hatzipanagis, invece, ovvero del più grande calciatore che la Grecia abbia mai avuto, e di questo articolo che ve lo vuole raccontare, la circostanza che ha permesso la scoperta è assai meno esaltante.

Mettiamola così, ho un amico che ha una fissazione: modificare all’infinito la sua versione di Pro Evolution Soccer per far sì che ogni squadra presente nel gioco, club o nazionale, sia l’equivalente di un All-Star team, una combinazione dei talenti più rappresentativi di quella formazione, presenti e passati. Si dà il caso che da quando si è messo in testa di realizzare questa Opera Mundi ha scoperto non uno, ma almeno quattro forum online dedicati a questa attività, che si occupano di stilare il profilo completo, cioè valori numerici delle abilità, ruoli, caratteristiche fisiche e abilità speciali di ogni singolo giocatore nella storia del calcio (tranne l’ex romanista Fabio Jùnior, non c’è traccia di lui). Fatto sta che il giorno in cui si è cimentato nel creare la Nazionale greca All-Star, tra i nomi suggeriti dal forum si è trovato davanti le stats impressionanti di Vassilis Hatzipanagis. Chiunque mastichi un po’ di Pes sa che si tratta di medie spaventose. Il profilo è quello di un velocissimo funambolo mancino, votato all’attacco, tutto serpentine e tocco vellutato, con un tiro leggerino ma carico di effetto: uno da ultimo passaggio più che un finalizzatore, ma tendenzialmente in grado di farti passare la palla tra le orecchie. Un giocatore fortissimo che in termini di dribbling ha gli stessi valori di un Messi o di un Maradona. Ma allora come ha fatto la maggior parte di noi illusi, convinti fino a ieri di essere calciofili, a non saperne niente? Come spesso accade in questi casi, tutto ha inizio in Uzbekistan.

Hatzipanagis begins

Tashkent, Unione Sovietica, 1971. Metti una sera a cena una coppia di esuli greci, il figlio adolescente e riccioluto, innamorato del pallone, e l’osservatore di un club locale. La scena è quella che tutti gli aspiranti calciatori hanno sognato di vivere, Uzbekistan a parte, impersonando la parte del figlio prima, e dei genitori poi (una volta che ci si è arresi all’assenza di talento). Papà e mamma Hatzipanagis si sono rifugiati lì circa ventitré anni prima, quando in Grecia la Guerra Civile tra il governo monarchico appoggiato dagli angloamericani e i guerriglieri comunisti è finita con la sconfitta dei secondi. A quel punto il comando generale del DSE (l’Esercito Democratico Greco) si è trasferito in massa nei vicini territori sovietici. Trasferito tutto in un unico posto: Tashkent. Da quelle parti un giocatore come Vassilis non lo hanno mai visto. Scattante, raffinato e dribblomane, ha convinto l’osservatore di essere uno dei massimi astri nascenti dell’intera URSS. La società del posto vuole puntare su di lui e portarlo direttamente in campionato, ma c’è un problema: il ragazzo deve prendere la cittadinanza sovietica, altrimenti niente salto tra i professionisti, è la legge. All’inizio abbiamo parlato di congiura astrale: è proprio questo il momento in cui si mette in atto, perché è vero che la carriera di Vassilis ha avuto inizio qui, ma è anche vero che dal momento in cui i genitori accetteranno la proposta dell’osservatore, i confini geografici segneranno simbolicamente delle barriere per il futuro professionale del ragazzo.  

Con la maglia della Nazionale olimpica dell’URSS, Vasia nel 1975 partecipa a quattro gare di qualificazione alle Olimpiadi e segna anche una rete. Il destino sembra avergli affidato un ruolo ben preciso nella sua patria adottiva, tanto che l’ allenatore Beskov nel suo ruolo lo considera secondo solo al Pallone d’oro Oleg Blokhin, il fenomeno della Dinamo Kiev. Con la Nazionale sovietica Hatzipanagis può ambire a farsi conoscere in campo internazionale, e magari lasciare la squadra di Tashkent e passare alle grandi. La giovane stella qui si oppone al suo cammino astrale prestabilito, progetta di ribaltarlo e di rimettersi su binari che gli erano stati negati già prima della nascita. Perciò una mattina si sveglia e decide di tornare a giocare in Grecia. Può farlo, perché ha il doppio passaporto. La dittatura dei colonnelli, tra l’altro, è finita da un annetto e nulla più osta al ritorno dell’esule. Beskov, il commissario tecnico, lo mette in guardia sul fatto che il campionato greco è di livello più basso rispetto quello sovietico, e questo alla lunga lo terrà lontano da soddisfazioni degne del suo talento. L’ammonimento del suo mentore non serve a granché, d’altronde è il 1975, nel settembre di quell’anno uscirà Wish you were here dei Pink Floyd, determinate energie narrative si sprigionano e fanno in modo che Hatzipanagis, con la sua scelta, incarni alla perfezione alcuni dei versi più famosi dell’album. In quel momento, Vassilis decide di barattare a walk on part in the war for a lead role in a cage.

TASHKENT, UZBEKISTAN - AUGUST 16: (ISRAEL OUT) Uzbek boys play football outside the Juma Mosque on August 16, 2006 in Tashkent in the central Asian country of Uzbekistan. Fifteen years after the breakup of the former USSR, the millions of Muslims living between the Caspian Sea and China, who for decades found themselves repressed under Communism, are experiencing a religious revival as neighboring regional powers Iran and Saudi Arabia strive to exert their influence on the vast region. Following the August 1991 abortive coup attempt in Moscow and the subsequent dissolution of the Soviet Union, Uzbekistan declared independence on August 31, 1991. (Photo by Uriel Sinai/Getty Images)
Un momento di calcio fuori dalla moschea Juma, a Tashkent (Uriel Sinai/Getty Images)


Iraklis

Salonicco è la seconda città più popolosa della Grecia. Lì, più che in altri luoghi, il calcio è una questione di pancia, di terra e sangue. I palcoscenici sono piccoli, ma questo non impedisce agli stadi di accendersi di amore bruciante, durante le partite. Talvolta raggiungendo temperature al limite del consigliabile. Salonicco ha due squadre importanti: l’Aris e il PAOK, e poi c’è l’Iraklis. La terza squadra della città si aggiudica la firma di Hatzipanagis, la cui fretta di trovare una nuova dimensione sportiva in Grecia magari è legata all’amore patriottico, magari al desiderio di andarsene dall’Uzbekistan il prima possibile, fatto sta che in termini calcistici Vasia è una cattedrale e l’Iraklis un po’ un deserto. I dirigenti del club non si lasciano scappare l’occasione: non gli pare vero di potersi accaparrare un giocatore così forte e così giovane, e mettono sotto contratto l’esule di ritorno. Ora, quello non era certo il calcio odierno, in cui i contratti si stracciano e i procuratori ti chiedono se per favore eviti di parlare e lasci fare a loro, ché ti faranno guadagnare il doppio in un club che gioca la Champions, no.

I contratti si rispettano e soprattutto fanno affidamento sulla naiveté di giocatori a digiuno di una vera e propria giurisprudenza sportiva. Così Vassilis, secondo la vulgata, firma una serie di clausole che gli impediscono di cambiare squadra. Chi vi scrive non ha trovato documenti certi che testimonino la durata indicata da queste clausole, fatto sta che Hatzipanagis non cambiò mai più squadra, e per un giocatore del suo talento l’affare è quantomeno sospetto. Ma, a voler pensare romanticamente, si può anche assumere che chi ha già aspettato tanto, e rinunciato a tanto, per poter tornare in patria, si faccia molti più problemi a tornare esule. Facendo ricerche incrociate in rete si viene a delineare una sorta di voce non confermata nella sua biografia, sospinta persino dalla sua pagina Wikipedia, che riporta dell’interessamento nel corso degli anni di Arsenal, Lazio, Stoccarda e Porto nei suoi confronti, frutto di saltuarie apparizioni in Coppa Uefa, ma anche di una dirigenza dell’Iraklis troppo spaventata dalla possibile reazione dei tifosi alla notizia di una cessione del loro beniamino. Beniamino che si dà il caso sia il più grande talento calcistico mai visto in Grecia. E vallo a dire a chi per anni si accontenterà di Georgatos e Torosidis.

Cosa vince, Hatzipanagis, in quindici anni di Iraklis? Una sola Coppa di Grecia, tra l’altro al suo primo anno, cioè nella stagione 1975/76, battendo il Panathinaikos in semifinale e l’ Olympiakos in finale, ai rigori. Poi qualche secondo posto e una serie di inseguimenti alla compagine ateniese di turno. Si può dire che, se per la storia del club di Salonicco i quindici anni di Vassilis Hatzipanagis hanno rappresentato l’era dorata del pallone, per la storia del pallone mondiale invece questi sono stati un’altra riproposizione letteraria della storia del genio in bottiglia. Ma la congiura astrale deve ancora completare la sua beffa. Nel 1976, dopo la trionfale stagione d’esordio, Vasia viene convocato nella Nazionale greca e praticamente realizza il suo sogno. Ma lo diceva Shakespeare che l’inferno non conosce furia pari a quella di una donna respinta, e la Grande Madre URSS non ci pensa due volte a fare ricorso, con un esposto alla Fifa chiede che la Grecia non possa schierare mai più l’ingrato funambolo in quanto egli ha vestito per quattro volte la maglia della Nazionale sovietica. Fine dei giochi, dopo quell’unica presenza per Vassilis ci sarà spazio solo per l’Iraklis.

Il Mago, il Maradona Greco, il Nureyev del pallone

Schermata 2016-02-17 alle 15.54.08Esistono numerosi video su youtube su Hatzipanagis, soprattutto caricati da utenti greci, e uno dei più belli lo mette a paragone con Messi. A dire il vero esistono video che mettono anche il grande Ciccio Cozza a paragone col 10 blaugrana, ma se in quel caso il sarcasmo è evidente e persino affettuoso, nel caso di Vasia viene il dubbio che l’intenzione sia seria. Ora, tralasciando per un attimo il dato di realtà che rende paradossale il paragone tra giocatori con una carriera così diversa in due così diverse epoche calcistiche, possiamo comunque provare ad azzardare qualche confronto sulla base dei video. Nonostante Vassilis sia dotato di uno scatto notevole per gli anni ‘70/’80, la velocità del Pulga se la sogna, così come anche la potenza del tiro a completarne il tocco preciso, talvolta telecomandato. Inoltre, il nostro più che puntare la porta sembra tendere a puntare gli avversari, tutti, per sempre. Serpentina dopo serpentina, dà l’impressione di rinunciare al pallone solo in due casi: se può lanciare il compagno a rete o se la difesa avversaria lo ha circondato e inseguito fino a farlo arretrare, e costringendolo a superare la durata dei 20 secondi spalle alla porta. Tuttavia la sua visione di gioco è impressionante, come anche il fatto che spesso tenda ad accompagnare il passaggio filtrante con un’ulteriore finta a seguire, come a volersi portare appresso uno o più avversari, per forza.  Con quel pizzico di spocchia che qualsiasi amante del calcio non potrebbe far altro che perdonare, dato che è figlia di un sincero divertimento, e non di un mal posto senso di superiorità. Semmai la sua è una locura briosa, che lo porta a fare di necessità virtù e a provare numeri che non avrebbe potuto permettersi altrove, come nella stagione 1982/1983 quando segna ben sette retti direttamente da calcio d’angolo.

Lo hanno soprannominato il Mago, il Nureyev del pallone per via del suo passato sovietico, e il Maradona Greco, anche se di Maradona era più anziano di sei anni:  avrebbero dovuto chiamarlo il Pifferaio Magico, per come incantava intere fila di avversari e poi li portava a spasso. Il suo controllo del pallone, in alcuni momenti, fa pensare che il valore 93 di ‘controllo palla’, nelle statistiche fittizie di Pes che abbiamo mostrato prima, possa anche essere aumentato di un paio di punti. Sarebbe un giusto tributo alla velocità di pensiero con cui progetta ed esegue sempre nuovi modi di nascondere la sfera all’avversario, o alla capacità talvolta immediata di portarla avanti anche con il tacco in movimento, su un rimpallo che l’aveva fatta sembrare persa. A giudicare da quanto sembrava divertirsi in campo è consolatorio pensare che Hatzipanagis avesse trovato il modo di dipingere a suo gusto, fino a sentircisi a casa, quella prigione/giardino che era diventato il campionato greco per lui.

Il momento che vale una carriera

Oggi Vassilis Hatzipanagis ha 61 anni e, anche se somiglia a Ugo Conti che ha mangiato Ninetto Davoli e ha fatto lo scalpo a Brian May, nella sua terra elettiva è osannato e considerato il miglior giocatore greco degli ultimi 50 anni, alla faccia dell’unica presenza in Nazionale. Ma non sono solo i suoi conterranei ad averlo riconosciuto come uno dei più sopraffini talenti del calcio mondiale, e se questo ci sorprende la colpa è nostra, perché non siamo stati attenti. Nel 1984 infatti è stato invitato in New Jersey in una di quelle esibizioni pacchiane in cui i New York Cosmos sfidavano una selezione dei migliori giocatori al mondo. In campo c’erano il Kaiser Beckenbauer, Kevin Keegan, Mario Kempes, Jean Marie Pfaff, Dominique Rocheteau, Peter Shilton, Hugo Sanchez, Felix Magath, Ruud Krol e il conterraneo Thomas Mavros. E, tra loro, anche lui, il numero 10 del minuscolo Iraklis di Salonicco, il più grande di tutti, ma allora non lo sapeva ancora nessuno.

«Mi dispiace di non aver potuto indossare la maglia nazionale greca più di una volta. E mi dispiace di non aver avuto una carriera all’estero. Mi sarebbe piaciuto giocare in un campionato migliore, godermi il calcio anche a quel livello. Se potessi riportare indietro l’orologio, farei le cose in modo diverso».

(V. Hatzipanagis)

 

Illustrazioni di Filippo Nicolini