The Spurs go marching in

Squadra solida, gioco spettacolare, grandi individualità: il Tottenham, con Pochettino, è diventato grande. E ora punta a vincere un titolo importante.

Il 27 maggio del 2014, Mauricio Pochettino viene ufficialmente annunciato dal Tottenham Hotspur come nuovo manager. Gary Lineker, un mito per White Hart Lane, commenta con un tweet ironico non tanto la scelta del tecnico argentino, quanto la condotta di un club che, soprattutto nella persona del presidente Daniel Levy, pare si diverta, come una squadra italiana qualsiasi, a fare strage di allenatori. Le parole di Lineker: «Mauricio Pochettino is the new manager of Spurs. Needed to get that tweet out quickly before they fire him».

Alla vigilia del derby contro l’Arsenal, il Tottenham ha tre punti di vantaggio sui Gunnners, lo stesso distacco che lo separa dalla capolista Leicester. Ranieri, più di una volta, ha detto: «Gli Spurs sono i favoriti per vincere la Premier». Ma non solo: hanno anche superato, appena tre giorni prima, il primo turno a eliminazione diretta dell’Europa League. La Fiorentina di Paulo Sousa è stata letteralmente asfaltata nel ritorno di Londra, un 3-0 senza appello dopo il pareggio per 1-1 al Franchi. Corsi e ricorsi: nella stagione 2014/2015, proprio i viola eliminarono il Tottenham sempre ai sedicesimi, battendo Pochettino e i suoi a Firenze per 2-0 dopo l’1-1 di White Hart Lane. Come dire: il Tottenham e Pochettino stanno disegnando una grande stagione, con prospettive addirittura trionfali. Perché, insomma, anche Gary Lineker può sbagliare.

Tottenham-Swansea 2-1.

Dopo la sfida d’andata contro la squadra di Vincenzo Montella, giusto un anno fa, il Daily Mail decide di non pubblicare nessun articolo per denunciare la crisi del calcio inglese (insieme al Tottenham sarebbe stato eliminato anche il Liverpool), ma di far uscire un reportage dal titolo indicativo: «Tottenham could soon be hailed as the new Academy of Football as West Ham United’s production line continues to stutter». All’interno del pezzo, Malcolm Brown elencava tutti i talenti cresciuti nelle giovanili che stavano trovando spazio in prima squadra: Harry Kane, noblesse oblige, ma anche Ryan Mason, Andros Townsend e Nabil Bentaleb. Giusto un paio di mesi prima, proprio Pochettino aveva rilasciato al Telegraph un’intervista i cui rivelava di aver scelto il Tottenham «per aver modo di lavorare con l’Academy di questo club, un’opportunità fantastica. Credo di poter affermare che il settore giovanile del Tottenham sia il migliore d’Inghilterra, se non d’Europa».

Le parole di Pochettino sono suffragate dai numeri, verificate nei fatti: il Tottenham è il club di Premier League che schiera stabilmente (più di dieci presenze) il maggior numero di giocatori cresciuti nella sua Academy, sei. Nove, invece, i calciatori che hanno solo esordito o comunque giocato meno di dieci partite con i grandi. Gli Spurs condividono questi due primati con l’Arsenal di Wenger, ma hanno l’età media più bassa dell’intero campionato (24.6 anni). E sono secondi in classifica, nonostante il differenziale di esperienza e quello nel fatturato, decisamente più basso rispetto ai grandi colossi del calcio inglese. Roba da 275 milioni contro i 519 del Manchester United o i 463 del Manchester City. (dati tratti da Deloitte Football Money League 2015).

Tottenham Hotspur v Swansea City - Premier League

La scelta di Pochettino, l’Academy e la fama di mangia-allenatori sono tutte facce di una stessa medaglia, affascinante e discussa: Daniel Levy, presidente degli Spurs. Un chairman che è  un assoluto protagonista del suo tempo, un rivoluzionario innovatore del suo ruolo, soprattutto in un contesto come quello anglosassone, in cui sono i manager a prendere la quasi totalità decisioni e ad assumersi, quindi, la stragrande maggioranza delle responsabilità. Levy ribalta il modello inglese e lo ridisegna su sé stesso: in un articolo pubblicato sull’Independent, nel 2012, viene definito «a Genius»; il Daily Mail, più recentemente, ne ha fatto un ritratto un po’ più controverso, con un titolo eloquente («Daniel Levy is one of football’s fiercest negotiators… here’s how his extraordinary bargaining has infuriated rival teams») ma che riporta pure cifre abbastanza significative riferite alle sue operazioni di calciomercato. Si parte dalla cessione di Bale al Real Madrid, ovviamente: un affare da 86 milioni di sterline in uscita dopo i 7 spesi per acquistarlo dal Southampton, per un mark-up del 1128%. Come il gallese, altri nomi importanti: Michael Carrick (pagato 3.5 milioni di sterline al West Ham, rivenduto allo United per 18,6), Dmitar Berbatov (preso dal Bayer Leverkusen per 10.9 milioni e rivenduto sempre ai Red Devils per 30,75 milioni) e Luka Modric (acquistato dalla Dinamo Zagabria per 16,5 milioni e ceduto al Real Madrid per 33).

Come dire: Daniel Levy, vuoi o non vuoi, è uno che ci sa fare. A modo suo, però ci sa fare. Ha trasformato il Tottenham in un laboratorio che lavora su due livelli: quello dei potenziali campioni da raffinare e rivendere a prezzi altissimi e quello dei giovani da coltivare in casa e poi lanciare in prima squadra. Nell’anno della cessione di Modric al Madrid, sono arrivati a White Hart Lane Hugo Lloris, Jan Vertonghen e Moussa Dembélé. L’anno successivo, con i soldi spesi (ancora) dal Real per Gareth Bale, si sono uniti agli Spurs Christian Eriksen, Nacer Chadli ed Erik Lamela. Nelle ultime due stagioni, un mercato comunque chiuso in attivo ha regalato a Pochettino Ben Davies,  Toby Alderweireld, Heung-Min Son e soprattutto la grande rivelazione Dele Alli, esploso giusto un anno dopo il suo arrivo dai Milton Keynes Dons. Con loro, gioca, cresce e si moltiplica una generazione di talenti allevati nell’Academy: i già citati Kane, Mason e Bentaleb, ma pure il nome nuovo Onomah. Altri spingono da sotto, reclamano spazio e fanno già venire l’acquolina in bocca a Pochettino. Ne ha parlato il corrispondente degli Spurs per Espnfc, Dan Kilkpatrick, in un pezzo abbastanza esaustivo e pure pieno di riferimenti video. Giusto i nomi, in modo che possiate appuntarveli: Cameron Carter-Vickers, Kazaiah Sterling, Shayon Harrison, Kyle Walker-Peters e Harry Winks.

Dele Alli è un giocatore niente male, e lo era pure prima dello splendido gol al Crystal Palace, diventato nel frattempo un po’ troppo mainstream.

Daniel Levy, quindi, ci sa fare sul serio. Lo leggi nei numeri, lo dicono i risultati. Le persone e le opinioni dei media, invece, non sono altrettanto concordi. Un giro veloce di articoli pubblicati sul web, infatti, fa capire poco sul presidente degli Spurs. Per Pochettino, Levy è «il miglior presidente del mondo», mentre per il suo predecessore Villas-Boas è «uno che non mantiene le promesse». Tormentato anche il rapporto con Franco Baldini, alle sue dipendenze come direttore sportivo dal 2013 fino allo scorso settembre. L’addio, secondo fonti ufficiali, aveva come motivazione la necessità di Baldini di «passare del tempo lontano da una squadra di calcio». Voci più sotterranee, invece, raccontano di un Levy non proprio felicissimo del lavoro fatto dall’ex diesse della Roma in sede di calciomercato e di una sua progressiva marginalizzazione, soprattutto dopo l’arrivo a White Hart Lane di Paul Mitchell, ex del Southampton, come Head of Recruitment. Per l’Independent, il deludente Tottenham dell’inizio della scorsa stagione «era impantanato nella mediocrità costruita dalla coppia Baldini-Levy»

Forse, per capire meglio Daniel Levy, bisogna ricercare qualcosa che rimandi direttamente a lui: le dichiarazioni pubbliche che autoassolvono il suo operato («There’s a perception out there which is actually factually wrong, that perception is that we, on purpose, leave our transfer dealings down to the last part of the window»), ad esempio, oppure la lettera aperta scritta di proprio pugno nel maggio scorso, pubblicata sul sito ufficiale del club e destinata ai supporter degli Spurs. I punti fondamentali: la necessaria pazienza in un periodo di transizione per il club, una promessa di migliorare la squadra, al mercato ma anche attraverso decisioni impopolari, e, soprattutto, la necessità primaria di dare al Tottenham un nuovo stadio. E di farlo senza accusare gli stessi ritardi vissuti dagli acerrimi rivali del North London. Ovviamente, l’Arsenal.

during the Barclays Premier League match between XXX and XXX at

La nuova home degli Spurs sorgerà a pochi passi da White Hart Lane. Giusto una settimana fa è arrivata l’approvazione del progetto da parte del sindaco di Londra Boris Johnson, che ha rilasciato un commento entusiastico al sito ufficiale del club: «WHL è uno stadio iconico, ricco di storia, ma la nuova sede raddoppierà la capacità del vecchio impianto e sarà anche una struttura di classe mondiale per guardare la Premier League o altri sport e per ospitare eventi e concerti nel cuore della capitale. Lo stadio sarà anche il punto di partenza per rigenerare il quartiere, che vedrà sorgere, insieme alla struttura, nuovi posti di lavoro». Più cauto, forse perché è uno sempre controcorrente, il presidente Levy: «Questa notizia rappresenta un grande traguardo per noi, ma adesso bisogna rimanere concentrati sui prossimi step progettuali». Realisti, in ultimo, i membri del THST, Tottenham Hotspur Supporter Trust, organizzazione di tifosi che lavora a stretto contatto con la società: «Siamo contenti – dichiarano i membri dell’associazione sul loro sito ufficiale – che il sindaco abbia approvato il progetto del nuovo stadio, ma siamo certi che le prossime due stagioni saranno difficili per il club e i tifosi. Vivremo un distacco emotivo molto difficile da White Hart Lane, che è sempre stato un luogo molto importante per noi. Lavoreremo con la dirigenza affinché vengano rispettati i diritti dei tifosi, soprattutto in relazione alla necessità di informarli sullo sviluppo del progetto e di rimanere a Londra per le partite che giocheremo in attesa del completamento dei lavori».

 Dieci minuti di gol segnati dal Tottenham di Pochettino.

Nel frattempo, durante quello che per il presidente Levy doveva essere un anno di transizione, il Tottenham è una delle squadre più interessanti e belle da vedere dell’intera Premier League. Lo dicono i numeri, lo rivelano le statistiche: gli Spurs hanno la miglior difesa (22 gol subiti) e il secondo miglior attacco del torneo (49 reti realizzate, solo il Leicester ha fatto meglio con 51). Sono la squadra che tira di più (467 tentativi) e meglio (shoot accuracy del 55%) dell’intero campionato, hanno segnato il maggior numero di gol su situazioni di palla da fermo (19 tra calci di punizione diretti e indiretti, corner e rigori) e creato il maggior numero di occasioni da gol, 358 in totale tra key passes e assist “puri”. Una varietà di soluzioni offensive che nasce dal gioco posizionale voluto da Pochettino, allievo bielsista per definizione dopo gli anni trascorsi insieme al Loco tra Newell’s Old Boys ed Espanyol, ma anche tecnico elastico pronto a modificare schieramenti e assetto in base alle esigenze dell’organico o della partita. Due i moduli utilizzati nell’arco della stagione, il prediletto 4-2-3-1 e il più offensivo 4-4-2, con il coreano Son in appoggio all’intoccabile Kane. Se lo schema è quindi intercambiabile, i principi di gioco sono sempre gli stessi, perfettamente aderenti alle caratteristiche dei calciatori: ricerca del possesso, costruzione dal basso attraverso la creazione, sul campo, di triangoli di giro palla e reparto difensivo sempre alto e sempre coinvolto nella fase d’attacco, con i terzini pronti alla sovrapposizione sugli esterni.

Manovra fluida, gioco spettacolare, risultati. Roba da 15 vittorie, 9 pareggi e appena 4 sconfitte in campionato, più 7 successi nelle altre competizioni. E poi una qualità generale altissima, soprattutto sull’asse centrale Dembélé-Eriksen-Alli. Se l’ex Dons è «una boccata d’aria fresca» (parole dell’ex calciatore ed opinionista del Mirror Stan Collymore), gioco tra le linee e capacità di inserimento, il doble pivote voluto da Pochettino è un inno al matrimonio impossibile tra eleganza e concretezza, tra grazia e funzionalità. Moussa Dembélé, gemma poco reclamizzata dell’incredibile generazioni di fenomeni belgi, rappresenta la prima e più continua fonte di gioco della squadra: suo il primo compito di impostazione, una sorta di salida lavolpiana ad appoggiare la costruzione a palla bassa dei due centrali difensivi; sua anche la percentuale più alta di pass accuracy dell’intero organico, un 89% che vuol dire 805 appoggi riusciti su 866. Più avanti di qualche metro agisce il regista offensivo Christian Eriksen, appena 24 anni ma già da sei protagonista assoluto con le maglie di Ajax, Nazionale danese e, ovviamente Tottehnam. Il numero 23 è il cervello pulsante della squadra, l’uomo di raccordo perfetto per lanciare gli attaccanti: le 83 occasioni prodotte solo in campionato, 75 key passes e 8 assist, dicono che Eriksen è il secondo miglior creatore di gioco offensivo della Premier, dietro solo il mostro sacro Özil. Roba da lustrarsi gli occhi, davvero.

Cose belle sparse di Christian Eriksen.

Il resto lo fanno la conferma e le reti di Harry Kane – già 18 in stagione tra campionato, coppe nazionali ed Europa League – e la fantasia ritrovata del Coco Lamela, rimesso a nuovo dalla cura-Pochettino dopo il primo anno interlocutorio con Villas-Boas e Sherwood. Un cambiamento radicale quello dell’ex romanista, che ha rivelato al Daily Mail come l’incontro col suo attuale allenatore gli abbia, semplicemente, «fatto svoltare la carriera». La trasformazione di Lamela è una storia che è possibile adattare un po’ a tutto l’ambiente-Tottenham. L’ex tecnico dell’Espanyol è riuscito, con la forza delle idee e dei risultati, a tranquillizzare l’atmosfera e a resistere al suo pittoresco presidente. Forse proprio per questo, Pochettino è pure diventato l’idolo assoluto dei tabloid d’Oltremanica, tanto da spingere Neil Moxley del Mirror, uno tra i tanti, ad avviare una vera e propria crociata affinché Levy lo trattenga sulla panchina degli Spurs. Roba da titoli enfatici come «Tottenham’s title dream is fuelled by Mauricio Pochettino – Daniel Levy MUST keep hold of him», con tanto di caps lock attiva sulla parola MUST. Come dire: Pochettino o muerte.

Il Tottenham di oggi trasmette sicurezza, ispira certezza. Anche dopo una sconfitta, come quella di ieri sera ad Upton Park contro il West Ham. Non era una partita come le altre, e non solo perché era uno dei tanti derby londinesi. Vincendo in casa degli Hammers, il Tottenham avrebbe potuto agganciare il Leicester e tornare in testa alla classifica trentuno anni dopo l’ultimo primato nel girone di ritorno. È andata male, 1-0 per la squadra di Bilic con gol di Antonio e prima sconfitta dopo sei vittorie consecutive in campionato, ma Pochettino non si è scomposto. Forse è lui, più che la sua sqadra, a trasmettere sicurezza e a ispirare certezza. Lo leggi nell’intervista postpartita raccolta dal Guardian: «Il West Ham ha giocato meglio di noi, abbiamo commesso errori che non ci appartengono. La Premier è il campionato più competitivo del mondo, e veniamo da un periodo pieno di impegni e partite. Però nel secondo tempo abbiamo giocato bene, forse avremmo meritato anche il pareggio. Ci è mancato solo il gol, ma non esistono partite facili. I ragazzi hanno dato tutto e combattuto in maniera fantastica, abbiamo mostrato di nuovo il nostro gioco e quindi dobbiamo essere positivi. Perché no?». Sicurezza, certezza, la forza di idee e risultati. Probabilmente, il modo migliore per avvicinarsi a un’altra partita che non è, non può essere come le altre. A un Arsenal-Tottenham in programma sabato, decisivo nella corsa al titolo. Quel titolo che a White Hart Lane manca dal 1961. Gary Lineker, all’epoca, aveva solo sei mesi, quindi non può ricordarselo. E forse, è meglio così.

 

Nell’immagine in evidenza, Harry Kane festeggia con i compagni il gol contro il Manchester City, lo scorso 14 febbraio. Alex Livesey/Getty Images