Youth

Luca Toni e Antonio Di Natale, più di seicento gol segnati insieme, si raccontano. Sui giovani, sul calcio del passato e sulle loro carriere.

Sono due capitani di Nord Est distanti due ore di autostrada. Dal casello di Udine Nord – il più vicino al nuovo stadio Friuli – a quello di Peschiera del Garda, dove l’Hellas si allena. Dalla Dacia Arena a un centro sportivo all’interno di un golf club, che quando l’Hellas gioca a calcio si anima di tifosi che stanno in piedi dietro le reti tra i filari delle vigne che salgono sulla collina che domina il campo. Nessuna tribuna, e l’erba battuta dal vento freddo che arriva dal lago di Garda. Un campetto semplice semplice come quelli di Napoli e Modena dove sono nati e cresciuti i sogni di questi due quasi quarantenni, che ancora oggi corrono dietro al pallone. Con un solo scopo: fare gol.

Antonio Di Natale e Luca Toni hanno storie lunghe, storie diverse, storie di oltre 300 gol fatti, e tanti fatti fare. Sono loro stessi storia del nostro calcio. Una storia che ancora si sta scrivendo tra Udinese e Hellas Verona. Luca Toni: «Se mi vedi qua.. E finché mi vedrai qua al campo, è perché ho voglia di giocare. Se dopo l’operazione mi sono rifatto male di nuovo, è perché avevo troppa voglia di esserci, di giocare. Troppa voglia, è quello che ha fatto rallentare il mio rientro». Di Natale: «Adesso però è cambiata la situazione. Ci sono ragazzi che meritano di giocare. A 38 anni come ho io fa sempre piacere giocare, correre, ma è giusto dare spazio ai ragazzi che si mettono in mostra. A Udine ce ne sono tanti di bravi: Duván Zapata, Aguirre, o Perica che sta facendo benissimo. Io in undici anni ne ho visti tanti passare, tanti hanno fatto una grande carriera».  Una carriera lunga l’ha fatta anche lui, emigrato da Napoli prima a Empoli, poi a Udine. E adesso è il più conosciuto nel mondo di questo angolo d’Italia tra montagne e mare, tra Austria e l’Est Europa. Dici Di Natale e pensi a Udine, e anche il contrario. «Questo legame fa tanto piacere a me, alla città e alla società. Devo ringraziare anche la Nazionale che mi ha dato una bella visibilità. Due Europei e un Mondiale non sono da tutti». Un Mondiale vinto poi ancora di meno. «Ma se mi chiedi il ricordo più bello, è troppo scontato che ti dica la notte di Berlino del 2006» racconta Luca Toni. «Non vale, quel titolo è andato al di là di ogni previsione». E allora qual è­ il momento che non si può scordare di uno che è stato capocannoniere in Italia e in Germania? «Torno indietro nel tempo, agli inizi. Venivo da un’annata brutta con il Fiorenzuola dove non giocavo mai, e sono alla Lodigiani. Trovo un allenatore che adesso non c’è più, Guido Attardi, che mi ha dato subito entusiasmo. Lì è stata la svolta della mia carriera. Da lì ho iniziato a fare gol». Ecco cosa accomuna Antonio e Luca, i gol con scelte di vita opposte. Quindici squadre diverse per il primo, in pratica due per il secondo. Sono scelte che rifarebbero entrambi.

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«È bello cambiare», spiega il capitano dell’Hellas. «Quando un giocatore cambia la società riparte da zero. E questo fa parte del mio carattere. Ripartire e riconquistare tutti. Per la mia carriera è stato utile: se uno gioca sempre nella stessa squadra, può esserci l’anno più difficile, ma la piazza ricorda gli anni indietro. Io facendo cosi sono dovuto sempre ripartire da zero. E impormi ogni volta». Anche Totò sa che non ha sbagliato: «Non ci penso un attimo a risponderti. Ho fatto una scelta che qualcuno ha definito matta, ma alla fine ho fatto un mio percorso. Se sono arrivato a 208 gol con questa maglia ho fatto la scelta giusta. Lo scorso anno mi cercavano dalla Mls tre squadre, una di New York. Ci sono andato in vacanza, ma non fa per me, tutti hanno troppa fretta». Una sola squadra ma così tante stagioni e tanti compagni di squadra. «Ho avuto tanti grandi calciatori che hanno giocato con me. Quagliarella, Iaquinta, ma quello che è stato il migliore è stato sicuramente Alexis Sánchez. Il più completo di tutti, grazie a una velocità impressionante. Il più forte di tutti». Anche di te? «Sì. E lo sta dimostrando all’Arsenal e l’ha dimostrato al Barcellona». Il 10 però a Udine l’ha vestito solo lui. Luca Toni invece ha condiviso il suo spogliatoio con i più grandi. «Ho avuto la fortuna di giocare con i più forti numeri 10 del mondo: Baggio a Brescia, Totti a Roma, Del Piero nella Juventus e Ribery con il Bayern. C’è l’imbarazzo della scelta». Poi svela una chat di gruppo di WhatsApp in cui tutti gli italiani appassionati di calcio vorrebbero essere inseriti. «È quella dei campioni del mondo del 2006. Un modo per continuare a sentirci, anche con chi adesso ha smesso.».

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Era una generazione di fenomeni, che adesso non trova continuità. Un problema anche per la Nazionale di Conte, e per il futuro del calcio italiano. «Adesso gli attaccanti non vanno più di moda. Non ci sono più le prime punte come me o come Ibrahimovic. Adesso ci sono tutti questi falsi nove, e pochi italiani che vengono fuori. Non so dirti il nome di un mio erede. Quando ero in Nazionale, tutti gli attaccanti erano titolari e facevamo dai 20 ai 25 gol, adesso non ce ne è uno che gioca titolare in una grande squadra, e se arrivano a 15 gol in società fanno festa. Io pensavo che il problema fosse dei tanti stranieri. Ma allo stesso tempo vedo giovani diversi da quello che ero io da giovane. Una volta avevi più fame, adesso i giovani con tutta l’attenzione che c’è, con i social network, fanno due partite e si sentono giocatori… sono molto distanti dai mei tempi. È un problema di una generazione che va oltre al calcio». Di Natale pensa a una soluzione. «Si deve ricominciare a lavorare presto con i settori giovanili, prima che diventi troppo complicato. Non c’è pazienza nemmeno con quei giovani bravi, non riusciamo farli crescere, c’è da lavorarci sopra». Chi è il nuovo Di Natale? «Lorenzo Insigne è quello che si avvicina di più a me. Grandissimo giocatore. Ci sentiamo spesso. Quando è venuto a Udine a giocare con il Napoli è entrato nello spogliatoio a cercarmi. E  gliel’ho detto: “Per diventare un campione completo devi incominciare a fare gol, non puoi solo farli fare, ma devi farli tu”. E adesso sta iniziando a segnare con continuità».

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Si torna al gol, il parametro del grande attaccante che quando sceglie la sua rete speciale non ha dubbi. «I più belli sono due, entrambi segnati al Friuli: quello con il Chievo e quello con la Reggina. Un gol difficilissimo, una palla difficile, mi arriva il pallone, lo stoppo, e poi il colpo sotto. Il più importante invece quello contro la Spagna agli Europei 2012 a Danzica. Pensa che prima di arrivare allo stadio mi avvicino a Gigi (Buffon) e glielo dico. “Se Prandelli mi fa giocare anche due minuti faccio gol”. Me lo sentivo. E così è stata la rivincita su Iker Casillas, contro cui avevo sbagliato il rigore nel 2008». Italia-Spagna sarà anche l’amichevole che si giocherà nella nuova Dacia Arena di Udine, lo stadio gioiello della Famiglia Pozzo, che dall’esterno ricorda l’Allianz Arena. Solo in versione mignon. «L’Allianz è il più bello in assoluto» sorride Toni, «ed è bello farci gol dentro. Il calcio è uguale dappertutto, in Italia e in Germania. Ma essere capocannoniere al Bayern Monaco è un obbligo. Devi esserlo per forza, perché giochi nella squadra più forte. Come in Italia, se giochi nella Juve e nel Napoli è normale essere il capocannoniere. I tifosi mi vogliono ancora tanto bene. Ci sono ancora tifosi che vanno allo stadio con la mia maglia. Tanti tedeschi che vengono al centro sportivo dell’Hellas Vengono a chiedermi foto e autografi, mi dicono che gli manco. Sono stato un giocatore diverso dagli altri. Mi piaceva scherzare. Ridere. A differenza dei loro giocatori, più seri. Del Bayern continuo a sentire Franck (Ribery) e anche Hitzfeld per anni mi ha scritto via sms. Ed è sempre stato un piacere».

Bundesliga, Serie A, Champions League, grandi allenatori ma con chi avrebbero voluto lavorare due giocatori cosi? «Non ho mai avuto Ancelotti, tutti me ne hanno parlato benissimo», la risposta di Toni. «Nel 2010 volevo affrontare e conoscere Maradona, ma quel Mondiale non andò bene a nessuno dei due. Quando smetterò mi piacerebbe andare a vedere un allenamento di Mourinho», quella di Totò.

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Lo Special One è transitato dall’Italia in una Serie A che oggi invece sembra più povera. Di Natale: «Negli ultimi anni la qualità si è abbassata. Quest’anno però è più bello. Ci sono diverse squadre che lottano per lo scudetto, e in zona salvezza, il Verona a parte che è più in difficoltà, le altre se la giocano». Luca Toni: «C’è stato un periodo in cui la Serie A era anche peggio. Adesso si sta riprendendo. Stanno tornando i grandi campioni. Due, tre anni fa andavano via tutti dall’Italia, ma adesso stanno tornando». Anche il numero 9 dell’Hellas sta tornando. Perché uno così quando manca si sente eccome. Un’assenza pesantissima per il Verona e per Mandorlini quest’anno. Adesso c’è Del Neri, gli allenamenti sono tornati a essere aperti ai tifosi e da alcune settimane i video che prepara il match analyst vengono riprodotti a loop sugli schermi nello spogliatoio mentre ci si cambia. In modo da buttarci sempre un occhio. Dettagli per provare un’impresa che sarebbe miracolosa. «Fino adesso è stato un anno molto difficile. Vediamo se riusciamo a fare questo miracolo, che sarebbe eccezionale; poi a giugno parlerò con la società e decideremo il mio futuro».  Chi ha già deciso invece è Di Natale: «Non voglio che la 10 dell’Udinese venga tolta dalla società. È bello che qualcuno la possa indossare. Il presidente Pozzo è convinto di farmi continuare come allenatore, vediamo a fine anno cosa succederà parlando anche con Colantuono, vedremo se ci sarà la possibilità di iniziare a stare vicino al mister». La storia continua: è la storia di due attaccanti, due quasi quarantenni.
 

Articolo tratto dal numero 8 di Undici. Ritratti di Andy Massacesi