Quattordici

Johan Cruijff se n'è andato a 68 anni, portato via da un tumore ai polmoni. Visionario, rivoluzionario, epico. Non c'è stato, né ci sarà mai, uno come lui.

Il calcio di Cruijff era controcorrente, come nello stile di chi lo incarnava: prediligeva percorsi rivoluzionari, intangibili, si insinuava in anfratti sconosciuti. La Cruijff Turn è stata la sua finta più famosa, al punto da diventare un marchio distintivo e portarne il nome in eterno, ma come si fa a parlare di semplice finta? Era un movimento rapido, quasi inconsulto, un controsenso che riusciva naturale soltanto a lui. In questa partita del 1974 in Nazionale oranje, contro la Svezia, è pienamente esaltata la tensione del movimento, eppure Cruijff lo esaurisce in un gesto armonioso, come se gli appartenesse sin dalla nascita, abitudine ovvia come respirare. Lo smarrimento del difensore e la perdita d’equilibrio dimostrano perfettamente quanto fosse elegante, inspiegabile, folgorante il calcio che predicava il Profeta.

Abbattere le barriere, anche quelle invisibili. Questo è stato il lascito del calcio di Cruijff, e questo gol segnato al Den Haag nel 1972 ne è il manifesto. Un lancio profondissimo, che gli arriva da una cinquantina di metri. Il Quattordici è isolato, sull’out di sinistra, con un difensore avversario che lo ha già messo nel mirino. Lì non può far altro che stoppare il pallone, ma nel frattempo il giocatore del Den Haag sarà già su di lui, a chiudergli ogni opzione possibile. Invece Cruijff fa una cosa che non si è mai vista prima, uno stop a seguire che non è solo uno stop a seguire: è controllo, dribbling, assist, coordinazione, bellezza suprema. Il pallone scappa verso la porta, Cruijff scappa verso la porta, la squadra con una sola occhiata, è già sua nel momento preciso in cui impatta il pallone, che gira, gira, gira, mortifero, beffardo, imprendibile. Un lancio lungo quasi a casaccio tramutato, con appena due tocchi, in un gol.

In tutta la sua storia, l’Ajax ha vinto quattro Coppe dei Campioni. Tre le ha vinte con Cruijff: 1971, 1972, 1973. Come dire: una sola squadra al comando. Nel 1972, in finale contro l’Inter, Cruijff segnò le due reti che regalarono il trionfo agli olandesi. Non sono le reti più belle del Quattordici, e qualcuno forse potrebbe obiettare che ce ne sono di più importanti. Però spiegano benissimo come Cruijff, come il calcio che rese famoso, fosse un giocatore “totale”: non un innamorato cronico del pallone e dei suoi svolazzi, ma un giocatore presente, anche cattivo quando serviva, decisivo. Con una visione anticipata del gioco fuori dal comune. Nell’azione del primo gol riceve la palla esattamente sui piedi, come se la stesse aspettando da minuti, eppure quando il cross parte si trova dieci metri più indietro. Segna il secondo gol saltando in mezzo a tre, ebbene sì, tre difensori dell’Inter: tempismo, posizionamento, abilità. Anche con la testa.

Nel 1973 Cruijff si trasferisce a Barcellona, dove rimarrà per cinque anni. La prima volta che va a Madrid, contro i rivali di sempre, è già nella storia: i blaugrana vincono 5-0, contro quella che era la squadra di Franco, nello stadio di Franco. A fine anno il Barça vincerà il campionato spagnolo, un traguardo che mancava addirittura da 14 anni. In quella partita del Bernabéu, l’olandese segna il secondo gol, un concentrato di rapidità, controllo di palla, lucidità difficilmente eguagliabile. Cruijff si trova fra tre giocatori del Real Madrid: è come se fosse in mezzo a una rissa, più che in un’azione di una partita di calcio. Come se gli arrivasse da ogni parte una gragnola di colpi, e lui li schivasse tutti, con imperturbabile semplicità, e alla fine ne emergesse vincitore. La capacità con cui elude gli interventi dei giocatori del Madrid, impedendogli non di rubargli, ma persino di sfiorare palla, è da pelle d’oca.

Dopo la Spagna e una doppia esperienza nella Nasl, Cruijff torna all’Ajax nel 1981. Qualche mese dopo, in un’anonima partita contro l’Helmond Sport, si inventa un gesto che rimarrà iconico nella storia del calcio. Quel rigore che, anziché essere battuto direttamente, viene trasformato dallo stesso Cruijff dopo una combinazione con il compagno di squadra Jesper Olsen.

Ogni volta che Cruijff ha segnato, l’Olanda non ha mai perso una partita. I Mondiali del 1974 sono il capolavoro incompiuto della Nazionale oranje, bellissima, superba, con tratti da invincibile, eppure sconfitta dalla Germania Ovest nell’epilogo della competizione. In quel Mondiale, Cruijff segnò una doppietta nel memorabile 4-0 dell’Olanda contro l’Argentina. Eccola lì, la cattiveria di Cruijff, in quel movimento in avanti fatto con i tempi giusti e in quel dribbling rabbioso ai danni del portiere, come se fosse un attaccante puro, e come se, in tutta la sua vita da calciatore, si fosse impegnato a fare solo quello. La dimostrazione che tutto gli riusciva facile, spontaneo. Tanto da far sembrare che non sia stato lui ad aver scelto il calcio. Ma è stato il calcio a scegliere lui.

 

Nell’immagine in evidenza, Johan Cruyff dribbla il portiere dell’Argentina Daniel Carnevali nella vittoria per 4-0 dell’Olanda ai Mondiali del 1974 (Stf/AFP/Getty Images)