Resistere a Carpi

Sembrava una salvezza impossibile, ma ora è vicina. La quasi impresa del Carpi, raccontata anche dal suo amministratore delegato.

«Si può essere vincenti anche senza cambiarsi d’abito e tradire se stessi». Stefano Bonacini parla con un tono aspro, ruvido come un limone. Ci vuole una certa tigna per non arrendersi di fronte a certe difficoltà, e così ogni domenica il patron del Carpi ripassa a memoria le stagioni scivolate via come tram vuoti, i successi e gli errori, e qualcuno ancora punge. «Ma cosa volete che faccia? Sono uno abituato a sudarmi tutto. Quando ti guardi allo specchio devi valutare ogni cosa, ogni aspetto. Anche gli errori. e qualcuno l’ho commesso. Però una cavalcata così è proprio bella, le soddisfazioni ce le siamo andate a prendere sul campo». Bonacini sorride. In tutto il vecchio continente nessuna società di calcio ha messo in fila le stesse promozioni del Carpi. Sei, dal 2009 a oggi. Fu proprio lui, alla vigilia dell’esordio in Serie A, a dire ai suoi giocatori: «Signori. Le promozioni sono finite. Per noi la salvezza è vincere un altro campionato». Se finisse oggi il Carpi sarebbe salvo. Ma questo è un gioco meschino, da masochisti, così è farsi del male, perché di partite ne mancano ancora cinque ed è con quelle che si fa la storia. Certo, dopo la vittoria contro il Genoa, a ore dalla partita contro il Milan fa specie ripensare al Carpi di qualche mese fa, a quand’era ultimo con una manciata di punti in mano e il destino già segnato. Niente è frutto del caso. Se il Carpi si può salvare è perché le ragioni sono profonde. Prima o poi affiorano, vengono su, e nel raccontarle Bonacini si sfila i Rayban da antico pistolero: «Daremo il massimo fino alla fine perché vogliamo restare in Serie A».

Gaetano Letizia e Stefano Sabelli, nella vittoria contro il Genoa. Letizia, classe 1990, è al Carpi dal 2012. Sabelli è arrivato dal Bari a gennaio, è nato nel 1993 (Gabriele Maltinti/Getty Images)
Gaetano Letizia e Stefano Sabelli, nella vittoria contro il Genoa. Letizia, classe 1990, è al Carpi dal 2012. Sabelli è arrivato dal Bari a gennaio, è nato nel 1993 (Gabriele Maltinti/Getty Images)

 

Insistere, esistere, emergere

La crisi economica nel 2008 è una realtà. A Carpi hanno le industrie tessili, e se la cavano piuttosto bene con le confezioni. Ma i problemi sono diffusi come in ogni altro posto d’Italia e l’economia fa danni anche lì. A peggiorare le cose ci pensa il terremoto. La sciagura del 2012 rischia di mettere in ginocchio un’intera popolazione. Se non fosse per la proverbiale resistenza dei carpigani, probabilmente le cose sarebbero saltate per aria sul serio. «Siamo fatti così, ci rimbocchiamo le maniche», dice Bonacini. Tutto potrebbe essere riassunto nel concetto di “resistenza”, anche Bonacini annuisce, dice sì, «è la parola che calza benissimo addosso al mio Carpi». Ma forse è più di questo. C’è qualcosa nell’esistenza del Carpi che va oltre, bussa alla porta delle realtà e spinge e insiste per emergere.

Fabrizio Castori, nella vittoria contro il Genoa (Gabriele Maltinti/Getty Images)
Fabrizio Castori, nella vittoria contro il Genoa (Gabriele Maltinti/Getty Images)

La stessa vita di Bonacini è così. Una volta tornato dal servizio militare trova un lavoro in fabbrica, fa anche i turni di notte. Poi un imprenditore della moda gli offre un campionario da vendere, ha 22 anni, voglia di fare e la provvigione del 6 per cento è un bell’incentivo. «Mi comprai subito un Mercedes bianco», ha raccontato. «Ma forse guadagnavo troppo». Un giorno il titolare lo chiama e gli dice che gli dimezza la provvigione. Bene, fa lui, me ne vado. Sceglie di mettersi in proprio insieme all’amico di sempre, Roberto Marani, con un furgone delle poste usato e un piccolo magazzino come quartier generale. Quando i grandi gruppi cominciano a fare approvvigionamenti in Cina per i costi bassi, Bonacini è costretto a scegliere di esistere creando un brand tutto suo. Oggi Gaudì è un marchio internazionalizzato. «Entro il 2022, nell’ambito di un progetto di sviluppo di ampia portata a livello globale, sono in cantiere 110 negozi solo sul territorio cinese», fanno sapere dell’azienda. Tutto questo è avvenuto con il calcio. Nel 2009, dopo la fusione della società con la Dorando Pietri, c’è un momento preciso in cui il club biancorosso decide di voler insistere per emergere: la debacle contro il Rovigo in Serie D. È un momento fondamentale perché dopo sconfitte consecutive Bonacini, che come adesso fa l’azionista di maggioranza, promuove direttore sportivo Giuntoli, un altro che spinge per ritagliarsi uno spazio d’esistenza. Da lì il Carpi non si è più fermato. Lega Pro, Serie B, l’anno scorso la vittoria del campionato e la prima volta in A nella storia. «Il pensiero, la filosofia di vita e il calcio sono un tutt’uno. Non può essere che così. Ci sono giocatori che arrivano da società lontane, piccole, qualcuna addirittura non esiste più», aggiunge Bonacini. Alcuni dei ragazzi che fanno parte della rosa sono gli stessi che giocavano in C. Calciatori che si sentivano di categoria superiori e hanno spinto per venire su. Per esistere, appunto. Lo stesso allenatore, Fabrizio Castori, che, dice Bonacini, «rappresenta la classe operaia», è uno arrivato a 60 anni in Serie A, dopo una gavetta lunga tutta la vita e una squalifica di due anni per una rissa finita male. «Facciamo le cose che possiamo fare. Io spendo quello che posso spendere. Niente passi più lunghi della gamba. Non ce l’ho nel dna e non mi interessa dire, il resto sono chiacchiere da bar».

La vittoria migliore di questo campionato, 4-1 al Genoa

 

«Il possesso palla mi annoia»

Così come la storia del catenaccio. Il gioco del Carpi è l’elogio del calcio essenziale, privo di estetica e brutto per lunghi tratti. Coi calcioni e la palla sparata via. Un calcio antico? «Non direi», dice Bonacini, «anzi, è un modo nuovo di fare calcio. Con quello che abbiamo a disposizione». Un calcio che ha senso, scrutato negli occhi di Bonacini. I risultati, poi, gli stanno dando ragione. «Abbiamo cercato di leggere in modo analitico e preciso le caratteristiche di questo gruppo e abbiamo adattato il gioco ai nostri giocatori, al loro carattere. Questo calcio viene da lontano, noi lo facevano in C2, anche prima. Sostituendo ogni anno giocatori con valori tecnici un po’ più alti. In Seconda divisione abbiamo tenuto quelli coi valori da Prima, e lo stesso abbiamo fatto in B». Il nucleo comunque resta la parte difensiva. Castori gioca con un baricentro molto basso (48-50 metri), la squadra è mediamente compatta, e anche il recupero della palla inizia nella propria porzione di campo. Ai tempi di Nereo Rocco e Gipo Viani l’avrebbero considerato d’avanguardia. Nell’era del tiki taka è superato, non può essere che così.

Negli anni della Lega Pro era lo stesso. Nel 2011 ci fu il record di 5 gol subiti in 15 partite, per dire. E così è oggi. Il Carpi gioca molto sulle verticalizzazioni, sui lanci, i palloni lunghi. Quasi il 60 per cento del gioco passa sulle fasce, le vie centrali supportano. La media delle azioni d’attacco non supera le quindici a partita, e questo ovviamente limita il numero dei gol. Quello del Carpi non è un calcio arrembante, ma ha una sua efficacia. Non è solo fisico, muscolare, è anche intenso. Emblematica la partita contro il Bologna di un anno fa, quella che di fatto segna lo sprint del Carpi verso la promozione nel massimo campionato. I rossoblù giocano una gara spavalda, a tratti spocchiosa. E infatti il Carpi, mordendo in contropiede, ne segna addirittura tre. La Serie B è ovviamente diversa, ma in A Castori sta applicando lo stesso, identico gioco. «Il possesso palla mi annoia», ha detto una volta l’allenatore rompendo la monotonia delle mode. «lo sto vivendo questa stagione come uno che nuota e vede la riva. Poi arrivano due onde grosse che ti riportano indietro». Dopo cinque risultati utili di fila (3 pari con Torino, Atalanta e Bologna, e 2 successi con Frosinone e Verona) e un crollo verticale del Palermo che sta compensando la corsa delle altre, la pesante sconfitta col Sassuolo ha rimesso in allarme il Carpi. «Questi ragazzi stanno facendo il massimo», va avanti Bonacini, «eravamo ultimi con dieci punti. Adesso stanno lottando per riuscire a mantenere questa categoria. Vogliamo resistere».

Il rigore di Jonathan De Guzman per vincere contro il Frosinone (Maurizio Lagana/Getty Images)
Il rigore di Jonathan De Guzman per vincere contro il Frosinone (Maurizio Lagana/Getty Images)

 

Identità come resistenza

Per questo Bonacini parla spesso di identità, perché Carpi ne ha una precisa, «unica e tutta nostra». Fatta di difesa e voglia di emergere. Celebre l’intercettazione telefonica del 2015 in cui Lotito indicava le ascese di Carpi e Frosinone in Serie A deleterie per lo spettacolo del nostro calcio. Quella volta il Carpi rivendicò il diritto a essere provinciale, rivendicò il diretto a essere se stesso. L’identità è servita in generale per creare 1 impresa ogni 8 abitanti (contro la media nazionale di 1 a 12). L’identità è fatta di tessuti, 2.700 aziende di abbigliamento pari al 2 per cento del Pil. L’identità è dei tifosi carpigani, che spesso hanno sventolato lo striscione «Carpi provincia di Carpi» in giro per gli stadi italiani. Questo ha permesso al club, alla città, alla gente di realizzare un sogno sportivo. È il tentativo di snaturarlo che ha fatto disastri.

Dopo la promozione Castori voleva tenere la squadra della Serie B, l’intero blocco: nessuno escluso. L’addio di Giuntoli (andato a Napoli) e l’arrivo di Sean Sogliano hanno reso la possibilità un’utopia. Quell’amalgama miscelato nel tempo a inizio stagione si sgonfia come un soufflé. «Non poteva funzionare perché noi abbiamo un certo tipo di mentalità e un certo tipo di gioco». Così, dopo la parentesi di Sannino in panchina, a gennaio Bonacini ha richiamato Castori e molti dei giocatori che in estate erano stati lasciati partire troppo in fretta. Si è preferito dare via la stella Borriello (ceduto all’Atalanta) e rimettere in circolo la tradizione. A casa sono tornati Poli e Porcari, per esempio, giocatori pienamente inseriti nel contesto Carpi. Da lì è ricominciata la favola interrotta. «Io credo nel lavoro. Dietro c’è una grandissima storia di sacrifici, di rinunce, cose così. La vita non mi ha dato le doti del pittore, dell’artista, e non posso nemmeno fare l’astronauta», dice Bonacini. Ognuno è quello che è. È in questo modo che si porta a casa la pelle e ci salva».

 

Nell’immagine in evidenza, Romagnoli, ex Milan, vince un contrasto contro Matri (Tiziana Fabi/Afp/Getty Images)