L’arte della guerra

Serse Cosmi e l'incredibile stagione del Trapani, terzo in Serie B: una rimonta sorprendente nata all'insegna di una sottile strategia psicologica.

Ci sono modi diversi per raggiungere una preda che ti sfugge da una vita. La si può rincorrere sulla sua stessa strada, senza mollare un centimetro, accorciando un passo alla volta la distanza dal traguardo. Oppure si può scegliere un percorso meno diretto, svoltare a una curva, fingere di imboccare una via diversa, per passare inosservati, attaccarla di nascosto e sorprenderla all’arrivo. Serse Cosmi non ha mai ottenuto una promozione in Serie A. C’era riuscito col Genoa, nel 2005, ma gliel’hanno portata via per colpa di quella valigetta da 250 mila euro con cui Enrico Preziosi si era comprato Ruben Maldonado e l’ultima partita di campionato contro il Venezia. In pochi avrebbero pensato che quella prima salita dalla B alla A nella carriera dell’allenatore umbro sarebbe potuta arrivare quest’anno.

A gennaio, dopo due sconfitte consecutive, Serse Cosmi dichiarò: «Ve lo dico sinceramente, mi sto rompendo veramente le palle di questa situazione. Voglio perdere le prossime due, perché voglio lottare per la retrocessione. Almeno tutti si renderanno conto che il giorno che ci saremo salvati avremo fatto un miracolo». Allora, forse inconsapevolmente, scelse la seconda strategia. Perché quelle parole erano lo sfogo di un momento di rabbia, una risposta a un ambiente forse troppo esigente per quelle che erano le premesse di inizio anno, ma anche un messaggio cifrato rivolto ai suoi giocatori. Un po’ bluff e un po’ psicologia inversa. Da una parte il tentativo di tenere nascoste le carte che Cosmi sapeva di avere in mano, dall’altra la volontà di ispirare una reazione d’orgoglio alla sua squadra. Il 25 gennaio, dopo quelle due sconfitte consecutive, un dodicesimo posto in classifica e 5 punti di vantaggio sulla zona playout, il ds Daniele Faggiano fu costretto a un pubblico bagno di umiltà: «Vogliamo la Serie B e faremo in modo di tenercela stretta». Oggi nessuno, a Trapani, ripeterebbe quelle parole. Oggi tutti sono pronti a salutare quel campionato che quattro mesi fa temevano di perdere.

23 aprile: i giocatori del Trapani sotto la curva dopo la vittoria contro il Cesena (Maurizio Lagana/Getty Images)
23 aprile: i giocatori del Trapani sotto la curva dopo la vittoria contro il Cesena (Maurizio Lagana/Getty Images)

È cambiato tutto. Le prospettive si sono ribaltate e dalla paura della Lega Pro si è passati alla voglia di Serie A. Frutto di un finale senza pari, con una sola sconfitta nelle ultime 19 partite di campionato, a fronte di 13 vittorie e cinque pareggi. Anche qui, all’origine di quella serie di vittorie, c’è un piccolo capolavoro psicologico di Cosmi. Il 5 marzo 2016, al Provinciale di Erice arriva il Cagliari primo in classifica. I siciliani vanno avanti sul 2-0 in 11 minuti, reclamano due rigori, subiscono il 2-1 da Farias e vengono ripresi nel recupero da una rete di João Pedro. Cosmi è furioso: «Credo che in assoluto si sia vista la miglior partita della mia gestione. Di solito, con una prestazione così, le partite si vincono. Oggi però non si tratta di due punti regalati, si tratta di due punti sottratti e ci dispiace. Come ho detto ieri in conferenza stampa, la nostra realtà è notevolmente emarginata e sottovalutata». E ancora: «Non voglio essere cattivo profeta, ma temo che da qui in poi faremo fatica a fare nove punti. Il calcio lo conosco, non riguarda il valore della squadra».

Serse Cosmi dimostra di non avere solo il nome da leader. Mette in atto una strategia precisa. José Mourinho, non a caso uno dei tecnici che stima di più, lo chiamava «il rumore dei nemici». Il sociologo William Graham Sumner ne spiegava i meccanismi affermando come l’identificazione col gruppo di appartenenza viene facilitata dal ripudio del gruppo estraneo: la squadra si compatta intorno a quello che viene percepito come nemico, il sistema che favorisce le grandi (come il Cagliari) e ostacola le piccole (come il Trapani). Il risultato è straordinario: nelle successive otto partite, di punti ne arrivano 24, con una serie di successi consecutivi che è la migliore della storia della Serie B alla pari con Juventus ed Hellas Verona. Poi ci sono due pareggi con Novara e Pro Vercelli, la vittoria per 3-0 sul Crotone, quella per 2-1 in trasferta a Bari, e un terzo posto che significa potersi permettere di pareggiare tutte le partite dei playoff e andare comunque in A.

La vittoria a Bari nell’ultima giornata di campionato

Nel vocabolario della stampa sportiva c’è una parola precisa per ciò che ha fatto il Trapani: miracolo. Ma è Cosmi, in controtendenza rispetto a quanto diceva a gennaio, il primo a spiegare che non c’è niente di soprannaturale nelle prestazioni dei suoi ragazzi: «Definire miracolosa questa squadra è troppo, perché il Trapani esprime dei valori reali impossibili da definire casuali». Però, sì, è «qualcosa di sensazionale». Quei «valori reali» di cui parla Cosmi sono espressi da giocatori che nessuno si aspettava a certi livelli. L’acquisto top del mercato estivo, Felipe Sodinha, ha giocato 28 minuti, prima di arrendersi a ginocchia incapaci di sorreggerlo e ritirarsi a 27 anni. Ci ha pensato Igor Coronado a prenderne il posto, cancellando i dubbi di chi era scettico sulle capacità di un brasiliano con nome russo, cognome spagnolo e un passato non troppo glorioso nel campionato maltese. Poi, a gennaio, dalla Virtus Entella è arrivato Bruno Petkovic, si è messo la maglia numero 10, e dall’alto del suo metro e 92 centimetri ha cominciato a trascinare il Trapani. Un trequartista intrappolato nel corpo di un centravanti. A Chiavari aveva segnato un gol, proprio al Provinciale di Erice, in 13 partite. A Trapani 7, con altrettanti assist, in 16. La Virtus Entella ha perso il treno dei playoff all’ultima giornata, Petkovic e la sua nuova squadra ci sono saliti sopra su una carrozza di prima classe.

Un po’ di giocate di Petkovic nel Trapani

C’è poi, nel Trapani, qualcosa che ricorda il Perugia 2000-2004, inevitabile termine di paragone per qualsiasi squadra di Cosmi. Se il Grifone aveva il “Romario del Salento” Fabrizio Miccoli, i siciliani rilanciano con il “Messi di Fisciano” Nicola Citro, attaccante piccolino e di provincia, miglior marcatore della squadra con 12 gol. Se al Curi non era raro vedere segnare Marco Materazzi, al Provinciale di Erice succede altrettanto con Gennaro Scognamiglio, già quattro reti in stagione.

Per quasi tutti, poi, si tratta del momento più alto della carriera. Pochissimi hanno già messo piede in Serie A: Maurizio Ciaramitaro l’ha assaggiata col Parma e il Palermo; Antonino Barillà con la Reggina, finendo pure per indossare la maglia della Nazionale Under 21 prima di imboccare nella sua Reggio Calabria una parabola discendente tra annate mediocri in B, una promozione mancata in A ai playoff e una retrocessione in Lega Pro; Mirko Eramo ha alle spalle una sola presenza nel massimo campionato con la Sampdoria; Christian Terlizzi, il più esperto, 131, ma quest’anno ha giocato appena 128 minuti. Una squadra costruita così non poteva che far leva sulla voglia di rivalsa dei suoi giocatori. Ma a Serse Cosmi la definizione di motivatore sta stretta. Lui è un amante del bel calcio e gli piace che le sue squadre lo pratichino. Da giocatore era un 10, e la tesi con cui si è diplomato a Coverciano ha un titolo decisamente eloquente: “Il trequartista”. Quest’anno ha chiuso il campionato con 64 gol all’attivo, il terzo attacco della B alle spalle di Cagliari e Pescara.

Nicola Citro, 12 gol stagionali

È come se dentro di lui si scontrassero in continuazione il senso pragmatico perfettamente sintetizzato in quel 3-5-2 che all’occorrenza diventa 5-3-2, e l’idea di un calcio romantico in cui i piedi buoni contino ancora più di ogni altra cosa. Traspare anche dalla lettera che ha scritto a Sodinha, dopo il suo ritiro dal calcio: «Il problema vero è che i mediocri hanno sempre detestato il talento, magari pensando che fosse un dono che avrebbero meritato solo loro», scriveva ricordando le prese in giro subite dal giocatore per i chili di troppo. «Con me hai giocato 213 minuti. Ti giuro, sono stati molto più belli di campionati interi giocati da altri».

Siamo stati abituati a pensare a Cosmi come la caricatura fatta da Maurizio Crozza: il sergente di ferro che minaccia i suoi giocatori di spaccargli la gamba se sbagliano un cross. Ma dietro quell’aspetto burbero, il cappellino da baseball e la tuta da ginnastica, si nasconde molto di più. C’è un uomo che ha una naturale predisposizione per l’insegnamento, eredità di quel diploma all’Isef e degli anni da istruttore di nuoto. Una persona che rimpiange i tempi da allenatore tra i dilettanti, a Pontevecchio, quando si andava a mangiare tartufo, tutti insieme, in un ristorante – e siccome portava bene, poi, si inseriva il cuoco nello staff – o ci si trovava per guardare un film hard. Cosmi è l’unico allenatore di Serie B che possa dire di essersi seduto su una panchina del Camp Nou e di aver mancato gli ottavi di finale di Champions League con l’Udinese solo per una questione di differenza reti, eppure sembra continuare a trovarsi più a suo agio nei contesti di provincia, dove la dimensione umana non ha ancora ceduto tutto il suo spazio a quella mediatica. «Il calcio è cambiato, e i giocatori sono più diffidenti», raccontò in un’intervista del 2013 a TuttoMercatoWeb. «Oggi un rapporto diretto è impensabile, ma secondo me è una perdita, perché il calcio non è solo quello che si vede in campo. La tattica ormai la possono spiegare tutti, ma è l’aspetto psicologico che fa la differenza». È così anche a Trapani, dove sogna di acchiappare quella preda che gli sfugge da una vita.

 

Nell’immagine in evidenza, Serse Cosmi esulta in un Lecce-Inter del 2012, ai tempi dell’esperienza da allenatore dei salentini. (Alberto Pizzoli/AFP/Getty Images)