L’impresa del Leganés

Come ha fatto la piccola città alle porte di Madrid, una delle più povere della Segunda División, a essere promossa in Liga.

In un passato sconosciuto alla nostalgia, s’è trascinata addosso l’etichetta di ciudad dormitorio: una selva di anime costantemente proiettate altrove, perché lei, Leganés, aveva ben poco da offrire. Dava loro un tetto, ma ogni mattina, riluttante, le guardava partire in massa alla volta di Madrid, dove lavoravano e rincorrevano sogni. E rimaneva sola, vuota nei suoi blocchi di cemento. Erano gli anni ’60 e la città, a 13 chilometri dalla capitale spagnola, ne fungeva da umile base d’appoggio. Così è stato per due decenni, al termine dei quali Leganés ha iniziato a sgusciare fuori dal soffocante cono d’ombra madrileno: le prime industrie, una rete di trasporti autonoma, il vento fresco del riscatto. Quello stesso vento soffia oggi tra le gradinate dello stadio Municipal de Butarque, 8 mila posti a sedere e una folle idea divenuta realtà: la prima promozione nella Liga della storia. Nella Segunda División appena andata in archivio, il Club Deportivo Leganés ha staccato – assieme alla capolista Alavés – il biglietto per la massima serie. E l’anno prossimo, ai nastri di partenza, si troverà fianco a fianco con Real e Atlético Madrid, i cugini dal sangue blu.

Come la città di cui porta nome e speranze, il CD Leganés è stato – per lungo tempo – anonimo crocevia di ambizioni che non poteva soddisfare. Grandi (Samuel Eto’o) e buoni giocatori (Pierre Webó, Vivar Dorado, Catanha, Ariza Makukula), quando ancora non erano tali, sono passati di qui, ma mai per mettere le radici. Una manciata di partite e qualche lampo, prima di riprendere il volo. Era troppo modesto il blasone del Leganés, estraneo alla ribalta e impantanato nelle serie minori.

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Fondato nel 1928, il club pepinero ha vagato per mezzo secolo nei meandri di campionati regionali e Tercera. Poi, sul finire degli anni ’80, ha iniziato l’altalena tra Segunda División B (l’equivalente della nostra Lega Pro) e Segunda División, e in quel limbo galleggiava senza pretese, quasi con umiltà. Il miglior piazzamento, prima d’ora, era datato 1995/96: ottavo posto e 61 punti alla fine, 13 in meno dei 74 messi assieme in questa stagione. Quel record, già a inizio maggio, è stato riposto in soffitta, eppure a Leganés facevano spallucce, per la prima volta pensavano in grande. Nonostante l’inizio di campionato da 14 punti in 12 gare, la quindicesima piazza a novembre e il timore, quasi rassegnata convinzione, dell’ennesima insipida annata. Poi, tra gennaio e febbraio, otto vittorie in nove partite, e il Leganés ha scalato la classifica.

Il Leganés può essere leggero nella testa, ma lo è soprattutto nelle tasche: gli ingaggi dei pepineros sono tutti sotto la soglia dei 200 mila euro annui e la rosa, a cui il sito Transfermarkt attribuisce un valore complessivo di 13,9 milioni, è stata costruita a costo zero. La scorsa estate sono arrivati 11 giocatori a titolo gratuito e 6 in prestito: Unai Bustinza, Guillermo e Iñigo Ruiz de Galarreta dall’Athletic Bilbao, Pablo Insua dal Deportivo La Coruña, Asdrúbal Padrón dal Las Palmas e Gabriel Pires dalla Juventus.

Con i bianconeri, peraltro, è stato formalizzato a marzo un accordo per la valorizzazione di giovani che a Torino difficilmente troverebbero spazio. E il centrocampista brasiliano classe 93, nel giro dell’under 20 verdeoro, rientra in questo progetto: per lui – decisivo nella rincorsa dei pepineros – si va verso il riscatto, con ogni probabilità a cifre inferiori rispetto al milione di euro inizialmente pattuito. Stando ai numeri raccolti da Transfermarkt, il Leganés era la società più povera dell’intera Segunda División, con un budget di appena 4,8 milioni.

Il riassunto della partita decisiva, la vittoria contro il Mirandés

Briciole in confronto a squadre che dettano legge per disponibilità economiche ma poi si sciolgono alla luce dei risultati. Emblematico è il caso dell’Almería: con una disponibilità da 13 milioni di euro in cassa e dopo una campagna acquisti da 1,35 (in entrambi i casi un record in questa Segunda), s’è trovato a boccheggiare alle porte della zona retrocessione, salvandosi soltanto all’ultimo respiro. Il Real Zaragoza, unico club a poter vantare lo stesso budget degli andalusi, ha mancato l’obiettivo dei playoff, bruciato in una corsa serratissima che – a 90 minuti dal termine – vedeva sei pretendenti stipati in cinque punti. In quella calca hanno sgomitato negli ultimi quattro mesi anche il Córdoba (12,4 milioni di budget), l’Oviedo (11), l’Elche (10,3) e l’Osasuna (10,2). E mentre loro sgomitavano, il Leganés scappava via.

Primo in solitaria dalla ventisettesima giornata, ha silenziosamente fatto il vuoto dietro di sé. E, alla trentaseiesima, i sei punti di vantaggio sulla terza piazza ne legittimavano i pur cauti sogni di gloria. Poi, inesorabili, sono affiorati i sintomi della vertigine. Due punti in tre gare. E il Gimnàstic in corsia di sorpasso. Che pareva averne di più, per slancio e qualità. E invece è stato cacciato indietro dalle tre vittorie con cui il Leganés ha sigillato la promozione. Un piccolo miracolo, economico e sportivo, che ricorda quello dell’Eibar nel 2013/14. Il club basco, anch’esso ultimo per budget con i suoi 4 milioni di euro mal contati, vinse il campionato di Segunda, salutato da applausi ed echi di stupore. Due anni più tardi è ancora in Liga, e gareggia bene anche con i più grandi: dopo la grande paura della stagione passata, quando solo i guai fiscali dell’Elche e il conseguente ripescaggio lo salvarono dall’immediata retrocessione, ora veleggia a metà classifica, a debita distanza dalla palude.

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Al Municipal de Butarque sperano dichiaratamente di ripercorrerne le orme. A partire dalla presidente María Victoria Pavón, che l’anno prossimo sarà l’unica donna alla guida di un club calcistico nei massimi campionati di Spagna, Inghilterra, Germania e Italia. Quando a marzo glielo facevano notare, lei diceva: «Se dovessimo giocare in Liga, sarei felice per i miei giocatori, per lo staff, non certo per me». Ma nell’ascesa del Leganés c’è tanto di suo. Divenuta presidente nella stagione 2008-09, ha preso una società fortemente indebitata e l’ha trasformata in una realtà-modello, la più trasparente della Segunda División stando al rapporto di Transparency International, quinta dietro Eibar, Real Madrid, Siviglia e Deportivo la Coruña se si considerano anche le squadre di Primera.

In questo lotto di 42 club che compongono la Liga de Fútbol Profesional, il Leganés è in assoluto il più “popolare” in termini di prezzi: gli abbonamenti vanno da un minimo di 75 a un massimo di 175 euro. Stabili da anni, nonostante i risultati delle ultime tre stagioni potessero giustificare un seppur modesto rincaro. Una politica aggressiva che, complice il rendimento della squadra sul campo, sta pagando i dividendi: dai 1.895 spettatori di media del 2013/14 si è passati ai 4.759 del 2014/15, fino ad arrivare ai 5.395 di quest’anno.

 

Ormai i discorsi motivazionali pre-impresa sono diventati un generone a sé

Il sito del club, sulla pagina dedicata agli abbonamenti, invita le masse a sostenere la «grande familia pepinera». E non è necessariamente un modo di dire. Ai vertici della società, infatti, accanto alla Pavón siede il marito, Felipe Moreno Romero, vicepresidente nonché massimo azionista del Leganés. Fu lui, imprenditore locale con investimenti nel settore edile in Spagna e Brasile, a investire per primo nel 2008, saldando i debiti e lasciando le redini alla moglie. Un gradino più in basso, in veste di segretario tecnico, si trova Felipe Moreno Pavón, il figlio. Una sorta di club a conduzione familiare, il cui successo, tuttavia, affonda radici importanti anche al di fuori del focolare.

Dal punto di vista invece sportivo, i demiurghi del gioiello Leganés sono due: rispondono ai nomi di Txema Indias e Asier Garitano. Indias, direttore sportivo strappato in estate al Toledo, dove aveva fatto bene per quattro anni, ha rovistato nella spazzatura di campionati e serie minori e tra gli scarti della Primera, andando a pescare giocatori come il terzino Víctor Diaz, il mediano David Timor, la punta Guillermo o l’esterno offensivo Alexander Szymanowski, prima ai margini e oggi protagonisti.

«Un partido loco»

Non iniziò bene, appena sbarcato al Butarque, quando non riuscì a trattenere Chuli, attaccante da 11 gol in sei mesi. Il Leganés offrì 500 mila euro al Betis, proprietario del cartellino, e 300 mila all’anno al giocatore, il quale però preferì i soldi e le ambizioni dell’Almería: nella stagione appena conclusa, Chuli s’è fermato a sei reti e la sua squadra ha a lungo flirtato con le vette sbagliate. «Questo episodio dimostra che con alcuni team della categoria semplicemente non possiamo competere», disse allora Indias. «Dobbiamo puntare  su uomini che abbiano potenziale ma anche la voglia di mettersi in gioco e crescere per dare l’assalto alla Liga». Quelle parole, che tanto avventate parvero a luglio, ora suonano come premonitrici e danno la misura del lavoro svolto dal direttore sportivo. Che se è a Leganés lo deve, in primis, a Garitano. Fu proprio l’allenatore a spingere con la proprietà per il suo ingaggio. E i fatti oggi danno ragione a entrambi.

Se Indias ha selezionato i tasselli giusti, Garitano li ha assemblati alla perfezione, in un 4-2-3-1 ordinato e votato al sacrificio, dove nessuno è esente dalla fase difensiva. Quella pepinera è stata la seconda squadra meno battuta del campionato, con 34 gol subiti, eppure la mano di Garitano – cui ora un movimento popolare vuole intitolare una via della città – già si vedeva nella stagione passata, chiusa sì al decimo posto, ma con 42 reti incassate, solo due in più del Betis primo in classifica.

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«Asier ti fa capire che il calcio non dipende da un giocatore solo, bensì da tutto l’undici in campo», dice di lui il difensore argentino Martín Mantovani, capitano del Leganés. «Ha una filosofia diversa rispetto alla maggior parte degli allenatori in Spagna. Nel nostro gioco c’è tanto attendismo, tanta difesa, ma sappiamo che le chance di segnare prima o poi arrivano». E, in linea di massima, vengono sfruttate. Il Leganés, infatti, ha il miglior attacco del campionato, con 59 gol segnati, in coabitazione col Córdoba. Ed è proprio questo, per quanto “secondario” nella filosofia di Garitano, l’aspetto del gioco in cui la sua squadra ha mostrato i progressi più evidenti, se si considera che l’anno scorso le reti messe a segno furono 48 (quattordicesimo miglior attacco).

Le pedine rivelatesi strategiche in questo salto di qualità sono i tre esterni offensivi, intercambiabili negli schemi dell’allenatore basco: Omar (cinque gol e sette assist), Rubén Peña (otto gol e quattro assist) e soprattutto Alexander Szymanowski. L’argentino, arrivato in estate dal Brøndby, ha messo a referto 12 gol e 11 assist, segnalandosi come una delle rivelazioni più intriganti della Segunda División. Le sirene del “calcio che conta” suonano ormai da settimane. Ma lui ha già fatto sapere di non essere interessato dicendo che «il mio futuro è a Leganés». In quella città e in quella squadra un tempo aride di opportunità, dove l’ambizione non è più uno straniero con la valigia in mano.