La mala reputación

Viaggio a Molenbeek, il municipio di Bruxelles considerato il vivaio dei terroristi islamisti. Dove anche giocare a calcio è diventato un problema.

Un’etichetta tanto pesante quanto funesta. Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, le due definizioni che tornano più spesso sulla stampa per indicare il comune belga di Molenbeek sono “rifugio di jihadisti” e “base del terrorismo in Europa”. Perché? Perché l’inchiesta seguita agli attentati del Bataclan e agli attacchi kamikaze allo Stade de France ha ben presto condotto le autorità sulle tracce di uno degli assalitori in fuga, Salah Abdeslam, e ad interrogare cinque persone di questa banlieue del nord-est di Bruxelles. Ma anche perché i kamikaze degli attentati di Bruxelles dello scorso 22 marzo sono tutti transitati da lì. Inoltre, perché essa conta diciannove moschee, di cui solo quattro sono riconosciute dallo Stato, e perché il 40 per cento della sua popolazione si dichiara di confessione musulmana. Da qui il suo soprannome di “Molenbeekistan”. Nonostante ciò, otto giorni dopo gli attentati di Parigi, se lo stadio Machtens della squadra locale, il Racing White Daring di Molenbeek (RWDM), non fosse desolatamente vuoto nel weekend e se non ci fosse stato quel furgone di polizia parcheggiato davanti alla tribuna principale, non si sarebbe capito che Bruxelles era passata al livello quattro di allerta su una scala di quattro. Mentre il cielo si incupisce e c’è una fastidiosa acquerugiola, in città tutto continua a scorrere normalmente. Dalle costruzioni senza fine di tipo popolare ai vecchi quartieri industriali, da queste case signorili del XIX secolo agli appartamenti residenziali di Sippelberg, passando per gli stagni neri, Molenbeek-Saint-Jean, il suo vero nome, è una grande illusione. Si potrebbe pensare che il secondo comune più densamente popolato della regione di Bruxelles – 16.357,56 abitanti per chilometro quadrato – abbia deciso di fare come se niente fosse.

Il fisioterapista di Salah Abdeslam

I giornalisti di tutto il mondo irrompono nelle abitazioni e nei negozi porgendo microfoni e registratori. Spesso sperano di sapere se la squadra di calcio locale è anche luogo del comunitarismo e del radicalismo islamico. «Io non ho mai fiancheggiato queste persone, nemmeno ne ho sentito parlare. È stato un vero choc», assicura Karim El Ouahidi, giocatore franco-marocchino musulmano del RWDM, che gioca ormai in Promozione, l’equivalente della quarta divisione. «Non ho mai sentito parlare di terroristi. Non penso che ci siano stati casi di giocatori che si siano radicalizzati…», sostiene anche Thierry Dailly, presidente del club. Così come nessuno dei terroristi implicati negli attacchi del 13 novembre è mai stato legato ai club calcistici del comune. Neanche indirettamente. «L’ultima volta che sono andato dal mio fisioterapista mi ha detto che Salah Abdeslam in passato era stato a curarsi da lui… Sono notizie che fanno paura», ricorda Jérome Nollevaux, il capitano. «Il luogo dove sono avvenuti le perquisizioni e gli arresti è a cento metri da uno dei nostri campi di allenamento, ma stiamo per tornarci senza alcun timore».

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Prima di essere percepito come un nido di potenziali terroristi dal resto del mondo, Molenbeek in Belgio faceva principalmente rima con football. Una vera città del calcio, capace per esempio di riunire quattromila persone per assistere a una partita di dilettanti del RWDM. Un club che ha conosciuto degli alti prima di precipitare in basso, da Raymond Goethals a Michy Batshuayi, dal primo titolo nel 1912 al fallimento del 2002, passando per un’ultima partecipazione non così lontana in Coppa Uefa nel 1997. Un risultato poco sorprendente poiché, con i suoi 95.000 abitanti, Molenbeek è l’undicesimo comune più popoloso del Belgio. E anche quello con uno dei tassi di immigrazione più elevati: circa il 30 per cento della popolazione è di nazionalità straniera. Cosa che altrove costituirebbe un’opportunità e un vivaio immenso per il calcio locale.

Un reddito annuale medio di 9.000 euro

A trent’anni dai suoi esordi, Momo Lashaf, il pioniere del calcio maghrebino in Belgio che ha giocato per l’Anderlecht e lo Standard, si chiede: «Com’è possibile ci siano tre o quattro selezionati stranieri in una massa di diecimila giocatori? Il problema, forse, è d’identità. A Liegi i nati dagli immigrati indossano la maglia dello Standard. A Bruxelles questo non accade». Affermare che a Molenbeek l’assenza di giocatori di origine straniera nella prima squadra sarebbe dovuta alla discriminazione che favorisce i belgi non nati da immigrati è un falso pretesto secondo Seth Nkandu, allenatore del RWDM, che collega questo fattore all’attuale modesto livello del club: «Esistono numerosi giocatori che hanno sfondato dopo essere passati per il centro di formazione di Molenbeek. E nel tempo sono stati ceduti all’Anderlecht o allo Standard, come Adnan Januzaj o Michy Batshuuayi… Se Molenbeek avesse un club di prima divisione e maggiori mezzi, sarebbe equipaggiato tanto quanto i maggiori club belgi».

Ahmed El Khannouss, di origine marocchina, assessore allo Sport a Molenbeek, ammette che la città è rimasta un po’ indietro a causa del boom demografico di questi ultimi anni. «Si è passati da 76.000 a 100.000 abitanti in meno di dieci anni. È necessario prevedere più alloggi, posti nelle scuole e infrastrutture sportive. Il problema è che c’è una storica mancanza del Comune a stanziare fondi per lo sport».

(Thierry Monasse/AFP/Getty Images)
(Thierry Monasse/AFP/Getty Images)

Il giovane di Molenbeek che vuole giocare a calcio si trova a dover sborsare una somma che va da 350 a 500 euro all’anno per affiliarsi a un club. In una popolazione in cui il tasso di disoccupazione è del 28 per cento (ma raggiunge il 50 tra i giovani con meno di 26 anni) e dove il reddito medio annuo si aggira sui 9.000 euro, questo si paga. Quindi i giovani, pur essendo molto numerosi a Molenbeek, non si indirizzano comunque verso il RWDM, che conta solo due settori, e cioè la prima squadra e quella giovanile. I ragazzini sono stati assorbiti negli ultimi anni dal più attrattivo White Star (D2), il club di Woluwe-Saint-Lambert, a qualche chilometro di distanza. Messo insieme da John Bico, l’ex agente di Eden Hazard, ha avuto la buona idea di associarsi con la Jeunesse Molenbeek. Un bacino ipoteticamente vantaggioso per consentire al White Star di accalappiare i migliori giovani del centro di “Molen”.

Inseguendo la normalità

Tuttavia, al RWDM si sostiene che non ci sia immobilismo e che il club ha l’obbiettivo di accogliere da tre a quattrocento giovani nella prossima stagione. «Vogliamo un radicamento locale. Oggi il novanta per cento dei giocatori del club è già bruxellese: essi sono gialli, neri, maghrebini o bianchi, ma sono bruxellesi», precisa Thierry Dailly, l’investitore di Bruxelles che ha ripreso il club. «Non c’è una particolare volontà di appoggiare il lato multiculturale, è nel DNA stesso del club».

Paradossalmente, la maggioranza dei tifosi che assiste alle partite del RWDM è composta da belgi venuti da altri comuni bruxellesi piuttosto che da Molenbeek. «Ad un certo punto in squadra si potevano contare nove nazionalità diverse, ma non era quello il motivo che poteva attrarre un pubblico figlio dell’immigrazione, i tifosi che vengono sono sempre gli stessi», testimonia Jerome Nollevaux, che gioca nel Molenbeek dal 2008. «Non c’è mai stata nel club la volontà di adottare una politica di apertura», premette Ahmed El Khannouss, che assicura di essere stato testimone di comportamenti scorretti. «Nel momento di approvare il rilancio del RWDM, ho subito minacce e accuse di “sporco arabo da parte di tifosi del club. Capite che si sia dubitato della capacità di apertura di chi ha ripreso il RWDM».

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Nickelodeon e la “partita del giorno dopo”

Mercoledì 18 novembre i 685 ragazzini della Jeunesse Molenbeek riprendono la routine dell’allenamento. Come ogni mercoledì, Leila accompagna suo figlio: «Sono cinque giorni che sono sofferente, che ho in me un senso di tristezza inestricabile che si trasforma in rabbia, ma mai trasmetterei a mio figlio simili atrocità. Lui ha nove anni, non può capire che cosa succede e non voglio che, a causa della sua religione, si senta legato a tutto questo. Quando guarda la televisione, è per vedere Nickelodeon e nient’altro». Per molti genitori l’intento è smettere di parlarne per evitare di sprofondare nell’angoscia. Come spiega Adil: «Il mio (7 anni, ndr) vede moltissimi giornalisti e crede si stia girando un film a Molenbeek. Questa sera andremo insieme alla cerimonia commemorativa in piazza del Comune, gli ho detto che c’è una festa». Su questa piazza ci sono parecchie migliaia di bruxellesi venuti a manifestare il loro sostegno a un Comune che non è propriamente il loro, ma al quale tengono. In occasione di quel momento di raccoglimento Icham, allenatore dei ragazzini sotto i quindici anni, ha distribuito una candela a ciascuno dei suoi giocatori adolescenti. «Ne parlano tra di loro e trasmettono le loro emozioni. Sono un po’ persi riguardo la loro religione e i loro valori, al punto che alcuni sono venuti da me dicendo che non avevano più voglia di restare a Molenbeek per paura di essere associati a questo terrore che li circonda».

 

Tratto dal numero 9 di Undici (© Undici/So Foot). Nell’immagine in evidenza, decorazioni natalizie a Molenbeek (James Arthur Gekiere/AFP Photo)