Una scommessa sulla Croazia

La Croazia è una squadra con una quantità di talento formidabile: può arrivare fino in fondo all'Europeo?

Oggi torna in campo la Croazia. Che è stata, forse, la miglior Nazionale di tutta la prima giornata di Euro 2016. Quella che ha impressionato di più per qualità, che in qualche modo ha confermato il suo destino di essere, sempre o comunque quasi sempre, la squadra con più hype dei tornei internazionali cui partecipa. Abbiamo voluto scomporre il fenomeno-Croazia in diversi punti, che siano storie da raccontare o dettagli tattici e tecnici che ci hanno colpito di questa formazione. Che è splendida da veder giocare e anche da raccontare. Quasi quanto la maglia a scacchi bianchi e rossi ormai diventata un’icona di calcio, stile e bellezza.

La grande stella. Ovvero, uno che ti ruba gli occhi ovunque

Avevo voglia di vedere com’era e cosa era Luka Modrić da giovane. Dopo una prestazione come quella contro la Turchia, mi sentivo in torto e in debito verso di lui, essendo pure uno dei più fedeli più ferventi del culto pagano di Ivan Rakitić. L’unica cosa da fare in casi come questo è cercare di capire. E io sono riuscito a trovare un video che mi ha aperto gli occhi. È un’intervista del 2007, Modrić gioca ancora nella Dinamo Zagabria ma ha già partecipato al Mondiale di Germania. Il montaggio è finto-esistenziale: Modrić parla alla camera inquadrato in primissimo piano, poi ci sono dei momenti in cui viene ripreso mentre cammina per una città del suo Paese con un’espressione seria, quasi corrucciata, palesemente costruita e voluta. Le frasi che mi hanno colpito sono due. La prima è dello speaker, che già dieci anni fa (Modrić compirà 31 anni tra qualche mese) indicava Modrić come «uno in grado di arrivare allo stesso livello dei calciatori della golden generation croata, come Robert Prosinečki e Zvone Boban». La seconda, invece, è di un calciatore che ha giocato con lui alla Dinamo, il brasiliano (naturalizzato croato) Eduardo Da Silva, quello che tutti ricordano per il video dell’infortunio più cruento dell’ultimo decennio e che invece era soprattutto un grande attaccante. Dice una cosa bellissima, soprattutto quando il tuo mestiere è quello di lanciare i compagni per il gol: «Abbiamo un’intesa telepatica nel gioco offensivo, sa metterti in porta come nessuno. Può facilmente arrivare a giocare nei top club europei».

Niente male pure l’intesa con Cristiano Ronaldo

Nella partita contro la Turchia, Modrić è stato il calciatore perfetto. Non “perfetto” in senso comune, come si dice di solito quando uno gioca una gran partita. No, così non basta: è stato qualcosa di più, di diverso. Lo vedi innanzitutto nella sua heatmap, che è praticamente a tutto campo e non concentrata nella sola zona di raccordo tra centrocampo e attacco. Questa è stata, con tutta probabilità, una scelta precisa del ct Čačić: che per l’area di creazione primaria del gioco, volgarmente detta “cabina di regia”, ha scelto il più elementare Badelj; se Rakitić ha avuto il compito di collegare alla manovra gli uomini offensivi (il cursore del Barça è stato il migliore in campo per numero di kay passes, 4), a Modrić è toccato fare tutto il resto. Chi pensa a un ingeneroso ruolo di recuperatore di palloni, non si sbaglia di molto, perché Modrić è addirittura il secondo calciatore in campo per numero di eventi difensivi, 8 (5 palle intercettate e 3 rilanciate). A questo, poi, va aggiunto il compito che amo definire “impostazione illuminata”. Quello in cui eccelle Modrić, ex trequartista che ha capito prima di tutti come sopravvivere nel calcio moderno pur possedendo i cromosomi del numero dieci: adattare la fantasia, l’abilità nel controllo e nel tocco di palla, a una fascia di campo più lontana dall’area avversaria, anche molto più ampia. In Croazia-Turchia, Modrić era ovunque. E ovunque ti rubava gli occhi, anche con un semplice passaggio: alla fine, ne ha sbagliati solo 7, per una percentuale di accuratezza dell’88%.

Highlights personali

La forza di Modrić è stata quella di adattare il concetto di calciatore con tanto hype, pieno di talento ma anarchico e tipico dei popoli slavi e della Croazia in particolare, a un calcio che non poteva più permettersi giocatori così. La bravura nell’ultimo passaggio ha saputo evolversi in capacità di lettura, di anticipare e prevedere la giocata. La tua, ma anche quella dell’avversario, così da recuperare palla pur senza possedere un fisico da gladiatore. È successo in Croazia-Turchia, succede con il Real Madrid (75 azioni difensive nell’intera Liga). Succede sempre, in realtà, e da un bel po’ di anni. Perché Modrić è il calciatore prefetto perché è perfettamente calato nel suo tempo. In tutto questo, non ho menzionato il gol. Che è una perla (pur con la complicità di Babacan), ma che non c’entra nulla con tutto il resto. È solo un di più, un’aggiunta che non mette e non toglie al Modrić-calciatore-perfetto. Al massimo, lo fa diventare Modrić-calciatore-perfetto-e-pure-decisivo.

 

Il capitano. Ovvero la fedeltà, la riconoscenza, l’anonimato

Se Luka Modrić non fosse stato in campo, Darijo Srna sarebbe stato il migliore della partita d’esordio contro la Turchia. Una prestazione impressionante per continuità, intensità, tecnica, intelligenza tattica. Lo leggi nei dati, che sono incredibili per essere quelli di un terzino destro: 14 cross tentati, 3 key passes riusciti (solo Rakitić, che fa questo come lavoro e ne ha messi insieme 4, ha fatto meglio), la traversa su punizione. Poi ci sono le stats difensive, che in qualche modo dovrebbero essere la normale amministrazione del ruolo e invece fanno parte di un pacchetto completo, ben più ampio: 3 tackle riusciti, 4 palloni intercettati oppure sottratti al possesso avversario. Cioè: Srna sa fare tutti e lo sa fare meglio degli altri. Da sempre.

Però, in qualche modo, c’è un anonimato perenne che caratterizza la sua narrazione. Lo vedi anche in questa occasione, in cui non basta una partita fantastica per essere il migliore in campo perché c’è un altro che ha giocato meglio di Srna. È un destino, quello di Srna, che lo stesso Srna ha contribuito ad alimentare. Facendo scelte che “chiamano” la retorica calcistica della bandiera. Roba che fa bene, comunque, ma che trasforma il suo racconto in una autonarrazione consapevole del calciatore fedele e riconoscente. In un’intervista del 2014 , Darijo ha raccontato dei suoi no a offerte pure faraoniche arrivate da Bayern e Chelsea. Nella stessa intervista, ha dichiarato di aver preso questa decisione dopo aver «ascoltato il cuore» e perché ha deciso «di non lasciare la squadra che mi ha cresciuto» e di «assecondare il volere della famiglia, che voleva rimanere a vivere in Ucraina».

Ha fatto una scelta che l’ha portato a diventare il calciatore con più presenze nella storia della Nazionale croata (131 dal 2002) e in quella dello Shakhtar Donetsk (492 dal 2003). Che però ha limitato la sua scalata al grande calcio, un traguardo probabilmente meritato viste le sue doti. Dopo aver visto e rivisto la sua prestazione contro la Turchia credo che abbia fatto una stupidaggine: sono felice che Darjo Srna dica, pensi e creda di aver fatto la scelta giusta, perché ha indosso il travestimento del romantico. Però che diamine: cosa doveva essere un terzino così dieci anni fa, quando l’età diceva 24 e non 34? Cosa avrebbe potuto essere un terzino così con una maglia royal blue, blanca o rot (rossa in tedesco)? Forse lo so: uno che è il migliore in campo anche se Modrić gioca obiettivamente meglio e segna un gol al volo e appaga insieme gli amanti dell’estetica e i feticisti della tattica. Uno che non resta anonimo, mai. Perché non l’ha nemmeno voluto, mai.

Darijo Srna ai Mondiali in Brasile (Emmanuel Dunand/AFP/Getty Images)
Darijo Srna ai Mondiali in Brasile (Emmanuel Dunand/Afp/Getty Images)

 

Il talento. Ovvero, quello che non cambia mai

Non riesci a costruire 19 conclusioni verso la porta, in una partita dell’Europeo, se i tuoi calciatori non sono forti. Se non c’è una quota di talento spaventosa nel tuo organico. L’undici titolare schierato da Čačić contro la Turchia è potenzialmente da semifinale. Almeno da semifinale. Modrić e Rakitic giocano titolari, nel delicato ruolo di interni, nel Barcellona e nel Real Madrid. Mandžukić, Brozovic e Perisic sono il meglio del meglio, o quasi, del campionato italiano.

La tecnica di questa squadra è talmente elevata che riesci a leggerla persino nei numeri: 15 dribbling in 90′, da 7 calciatori diversi; una percentuale di passaggi riuscita dell’80%, un totale di 19 possessi perduti su 570 palloni giocati. Se non vogliamo farne solo un’esperienza di solo controllo palla, analizziamo anche i numeri difensivi: 32 tackle (a 21), 23 palloni intercettati (a 11) e 23 interventi difensivi riusciti (a 20).

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I giocatori della Croazia si allenano in vista della Repubblica Ceca (Joe Klamar/Afp/Getty Images)

Se non bastano cifre e suggestioni e club di appartenenza, basta dare una lettura alla panchina per capire cosa sia e cosa possa diventare la Croazia (e quanto sia incomprensibile il meccanismo del Fifa World Ranking, che vede la nazionale vatrena al 27esimo posto, dietro a squadre come l’Irlanda del Nord, l’Ecuador, il Costa Rica e la Bosnia): Čačić, guardandosi accanto durante la partita contro la Turchia, si è trovato Kalinic, Kovacic, Jedvaj. Più Pjaca, Ćorić e Rog, trequartisti o attaccanti esterni, ovviamente di fantasia, che non sono ancora altrettanto famosi ma che presto lo diventeranno. Ah, dimenticavo: nell’Under 21 gioca Alen Halilovic. Uno che sulle pagine di Undici ci finisce spesso, e che ha già 7 presenze in Nazionale. Il talento che non cambia mai, un hype destinato a ricaricarsi per sempre.

 

Il tecnico. Ovvero, quando meno te l’aspetti

Ante Čačić è il ct della Croazia, ma non c’entra assolutamente nulla con questa Croazia. Anzi, non c’entra assolutamente nulla con la Croazia, in senso assoluto. Per capire questa frase, basta guardare i suoi calciatori e subito dopo lui, e poi confrontare la differenza di sensazioni suscitate. Oppure puoi ricordare le due grandi edizioni precedenti della Nazionale vatrena, Mondiali 1998 ed Europei 2008: i calciatori con la maglia a scacchi biancorossi (che bella la maglia della Croazia) erano tutti fantastici e in qualche modo fuori dagli schemi. Lo erano per il loro talento, per la loro dimensione calcistica quasi anarchica. Roba tipica dei popoli slavi, che si vede bella chiara anche nella squadra di oggi. Come loro, così i loro allenatori.

Il primo, Miroslav Blažević, era una specie di Harry Potter incarognito e invecchiato, sia dal punto di vista dell’aspetto (caschetto, occhiali, sorriso beffardo) che come narrativa e autorappresentazione: un mago e zingaro della panchina con un soprannome italiano (Ciro), un folle hater che va in conferenza stampa (insieme a Boban, che indossa un insensato paio di occhiali scuri) e dice «Jebo Batistuta!». Google Traduttore (non parlo il croato) mi conferma che, in inglese, questa frase significa “Fuck Batistuta!”. L’altro, quello del 2008, è Slaven Bilic. Uno dei difensori della Croazia di Blažević, e basterebbe questo. Il tipo lo conosciamo, ricorda più un agente di gruppi heavy metal che un allenatore solo apparentemente rispettabile. Dannatamente bravo, l’ha dimostrato al West Ham quest’anno. Ma questo è un altro discorso.

Godersi lo spettacolo (Charly Tribellau/AFP/Getty Images)
Godersi lo spettacolo (Charly Tribellau/Afp/Getty Images)

Dopo questo piccolo excursus storico, (ri)eccoci a Čačić. Non è facile passare da quelli di sopra a uno tanto impeccabile, tanto normale, che solo in occasione di questi Campionati Europei ha aggiunto un po’ di barba incolta a un solido e irrinunciabile paio di baffi. La nomina di uno che, a livello di immagine, rinnega così tanto i suoi predecessori più illustri, e che a questo aggiunge un curriculum tutto sommato modesto (la collezione dei suoi trionfi conta solo un campionato croato e una Supercoppa di Slovenia), doveva per forza innescare il meccanismo della polemica. Una cosa pure abbastanza aspra: una ricostruzione sul sito besoccer racconta del vecchio mestiere di Čačić (tecnico riparatore di apparecchi radio e tv) e delle perplessità di giornalisti e tifosi in merito al suo passato (inesistente) da calciatore e alla sua parabola appena sufficiente da allenatore. Famoso anche il litigio-quasi-rissa con Dejan Lovren, il difensore del Liverpool fatto riscaldare e poi non entrato in campo in occasione di un’amichevole contro l’Ungheria. Una frattura mai  ricomposta, con il calciatore deciso a non presentare le sue scuse e poi pronto a dichiarare il suo disinteresse per l’Europeo  nel caso fosse stato convocato senza la garanzia di un posto da titolare.

Čačić non si è fatto pregare: l’ha lasciato a casa. Però non si è fatto pregare neanche prima, portando la Croazia agli Europei con due vittorie nelle ultime due partite di un gruppo di qualificazione che un pericoloso blackout, costato la panchina a Niko Kovac, stava per compromettere. E non si sta facendo pregare ora, in Francia: la sua Croazia è stata senza dubbio la squadra migliore, per gioco e qualità assoluta, della prima giornata del torneo. Čačić potrebbe essere l’uomo giusto nel posto giusto. Anche se non c’entra nulla.

 

La novità tattica. Ovvero, la disponibilità al sacrificio

Sarà che Modrić, come già scritto, ha avviato un percorso nuovo per il calcio croato e slavo in generale. Sarà che adesso vogliono fare come lui, imitarlo nella partecipazione a tutte le fasi di gioco. Anche se magari ti senti una stella, e hai tutte le credenziali tecniche per farlo senza apparire eccessivo, presuntuoso. Come Luka, così gli altri talenti in maglia a scacchi bianchi e rossi (che bella la maglia della Croazia), anche se in misura pure minore. Un compromesso accettabile, date anche le differenze fisiche e di caratteristiche tra i soggetti in questione.

Così finisce che Brozovic, schierato come tornante dal lato di Srna, finisca per spremersi lungo tutta la fascia con 6 cross e altrettanti conclusioni all’attivo; oppure che Perisic (ma questo succede anche all’Inter, bisogna dirlo), faccia su e giù sull’out mancino e collezioni 3 interventi difensivi riusciti, il 100% di duelli aerei vinti e pure 4 cross e 2 key passes. O che Badelj, regista vecchio stampo, accompagni e supporti Modrić nella fase di interdizione con addirittura 7 azioni difensive portate a termine (4 palloni spazzati, 2 tiri bloccati e un possesso intercettato).

Finisce, infine, che il centravanti di una squadra slava riscriva completamente la narrazione di un ruolo che di solito rimanda ai ricordi di Davor Suker, meraviglioso e raffinato attaccante d’area di rigore. Mario Mandžukić, oggi, è l’esemplare perfetto del numero nove tattico, che gioca per la squadra più che per il gol. Lo leggi nelle mappe della sua partita, quella dei duelli aerei e quella dei passaggi effettuati: eventi avvenuti tutti, o quasi, ben lontano dall’area di rigore. E poi lo vedi nell’azione simbolo della partita dell’attaccante della Juventus: palla per lui, sul fondo, e cross al centro per Perisic. Un bel cross, che in qualche modo ti racconta storie tipiche di calcio plavo per come arriva docile sulla testa del compagno. Ma che, allo stesso tempo, ti dice che siamo in una nuova era. Anche per la romantica Croazia dei piedi buoni e del talento, anche in questa squadra, c’è un centravanti che si fa in quattro per assecondare i compagni e il contesto tattico. C’è un centravanti disponibile al sacrificio.

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Le prospettive. Ovvero, superare il concetto di hype

Prima di Croazia-Turchia, non sapevo sinceramente come approcciarmi alla squadra con la maglia a scacchi bianchi e rossi (che bella la maglia della Croazia). Sono fondamentalmente un indeciso, quindi non so mai se mettermi a cavalcare quell’ondata hype che prima di una competizione sportiva fa pendere i giudizi, pure quelli obiettivi, verso le squadre più ricche di talento. In realtà impazzisco per squadre come la Croazia, con calciatori come quelli che ha la Croazia; ma nel mio intimo resto convinto che la Croazia non può vincere proprio perché è la Croazia. Resto convinto che alla fine vincerà la Germania, o al massimo (abominio) l’Italia. Tanto da non riconoscere, nella mia mente, che l’albo d’oro dell’ultimo decennio è praticamente monopolizzato dalla Spagna.

Dopo Croazia-Turchia, ho cambiato idea. Questa Croazia ha tutte le qualità per poter battere anche la Spagna. Soprattutto la Spagna. (Digressione: in questo cambio di vedute mi ha molto aiutato anche l’aver visto Spagna-Repubblica Ceca, ma questo non lo diciamo a nessuno). E quindi di arrivare prima nel girone, e pure di vincere finalmente questo benedetto Europeo. Perché la qualità è elevatissima, perché persino un calciatore che non amo (solo tecnicamente, tatticamente è fenomenale) come Mandžukić ci sta perfettamente insieme agli altri. Perché Perisic e Brozović esterni di un tridente che in realtà non esiste sono fantastici, perché una coppia di interni Rakitić-Modrić è poesia pura per chi ama vedere giocare a calcio. E permette addirittura a uno come Badelj di rivestire, pure bene, un ruolo importante nella costruzione della manovra.

Marcelo Brozovic gioca a ping pong (Charly Triballeau/Afp/Getty Images)
Marcelo Brozovic gioca a ping pong (Charly Triballeau/Afp/Getty Images)

Anche il tabellone di questa squadra è meraviglioso, dice che questa è la volta buona: il primo posto nel girone creerebbe un’autostrada verso la semifinale, dati gli incroci facili agli ottavi (con una migliore terza) e ai quarti (con la vincente di una sfida tra seconde). Volessi fare il veggente, azzarderei che questo match sarà Svizzera-Polonia. Quindi, come dire: se la Croazia gioca come sa, e per qualche attimo dimentica di essere la Croazia, c’è speranza. Dimenticare di essere la Croazia vuol dire esorcizzare il proprio passato e il proprio dna, buttare quella maledetta palla in porta per un numero di volte giusto più proporzionato alla bellezza del tuo talento. Vuol dire superare il concetto di hype e riconoscersi finalmente come una squadra sì condannata alla bellezza, ma non per questo perdente per partito preso, per configurazione storica e non ribaltabile. Quello che è successo alla Spagna a partire dal 2008, anche se io ancora non riesco a farmene una ragione, e a riconoscerlo. Con la Croazia, per la Croazia, giuro che non mi farei di questi problemi.

 

Nell’immagine in evidenza, Modric poetico (Joe Klamar/AFP/Getty Images)