All’altezza degli altri

Giaccherini è passato dalla tristezza delle bocciature, dovute alla struttura fisica minuta, al ruolo centrale nella Nazionale di Conte.

E ora, caro vecchio Dick, come la mettiamo? «Un bravo giocatore. Non per l’Inghilterra», avevi detto. Avevi detto: «Capisco l’interesse che suscita in Italia: là e in Spagna può essere un grande calciatore. Ha un bel tocco e un grande talento. Ma non per il campionato inglese». Può darsi che Richard Advocaat avesse ragione a voler silurare Emanuele Giaccherini dal Sunderland. L’annata precedente era stata un disastro, poche presenze e troppi perché, un infortunio a mettersi di traverso. Al punto che in una delle conferenze stampa estive, di quelle che servono a riempire le pagine dei giornali, Advocaat non l’aveva tirata tanto per le lunghe: in cinque minuti e due frasi rinsecchite aveva dato il benservito a Giaccherini. «Non è da Premier», e la cosa era finita lì. Per fortuna c’è sempre qualcuno che vede più lontano degli altri. Di questi tempi, un anno fa, Pantaleo Corvino, al tempo direttore sportivo del Bologna, e Furio Valcareggi, l’agente di Giaccherini, si trovarono a cena in uno dei soliti alberghi di lusso di Milano. Ordinarono del pesce, si dissero quel che c’era da dire, e il ritorno di Emanuele in Italia fu un attimo.

Il video di presentazione di Giaccherini al Sunderland

Chi in quelle sere frenetiche lavorava al mercato rossoblù se lo ricorda. Giaccherini veniva accostato al Bologna già da qualche tempo, da alcune settimane, e la sera che Corvino e Valcareggi trovarono l’accordo fu lo stesso direttore a inviarci un sms: «E’ fatta». La soddisfazione per quell’operazione ci parve francamente esagerata. Pensammo: un giocatore di trent’anni, già spremuto dal calcio italiano, di fatto scartato da quello inglese, cosa potrà mai dare ancora di concreto al nostro campionato? Invece una cosa deve aver colpito Corvino più di ogni altra, qualcosa che evidentemente tutti quanti noi avevamo sottovalutato: la convinzione di Giaccherini di voler riconquistare la nazionale. Se l’Italia di Antonio Conte ha trovato in lui un simbolo è perché realmente Giaccherini incarna un particolare momento del nostro calcio, una fase storica ben precisa, e poi un insieme di valori (sì, anche morali) e un talento differente da quello a cui eravamo sempre stati abituati, con cui eravamo cresciuti, e in cui forse ci eravamo cullati e illusi.

PARIS, FRANCE - JUNE 27:  Emanuele Giaccherini of Italy celebrates his team's second goal during the UEFA EURO 2016 round of 16 match between Italy and Spain at Stade de France on June 27, 2016 in Paris, France.  (Photo by Clive Rose/Getty Images)
Emanuele Giaccherini festeggia dopo la seconda rete realizzata da Pellè contro la Spagna (Clive Rose/Getty Images)

 Anche quello di Giaccherini è sopraffino e lieve, un talento che però non salta subito agli occhi come ci capita con un’opera del Caravaggio o del Mantegna. Dobbiamo guardare un po’ più a fondo, un po’ meglio e con attenzione, scendere le scale della bottega, e osservare nella semioscurità il capomastro raschiare il legno con lo scalpello. «Sono alto un metro e sessantasette. Ho sofferto molto, ero proprio piccolo. Lo sono ancora, ma da bambino è stata una fatica. Ai provini mi bocciavano: sei troppo basso. Tornavo a casa in macchina con mio padre, lui guidava in silenzio, io piangevo. Ai ragazzini, a quelli bassi, dico questo: non abbattetevi, tirate fuori la fame, il talento che avete. Nel calcio sono queste le cose che contano». Da vicino la struttura di Giaccherini è proporzionata, armoniosa e solida. Non sembra nemmeno tanto basso (e infatti non lo è). Ma in campo, quasi per magia, è come se tutti fossero dei giganti e lui un vero «bimbo», come lo chiama ancora oggi il suo agente.

LYON, FRANCE - JUNE 13: Emanuele Giaccherini (C) of Italy scores his team's first goal past Thibaut Courtois of Belgium during the UEFA EURO 2016 Group E match between Belgium and Italy at Stade des Lumieres on June 13, 2016 in Lyon, France. (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)
Emanuele Giaccherini batte Thibaut Courtois nella prima gara del girone di qualificazione di Euro 2016 contro il Belgio (Clive Brunskill/Getty Images)

Anche questo genere di difficoltà ha portato Giaccherini a spingere su altre caratteristiche – l’atletismo forsennato, il tocco di palla, la corsa -, arrivando a credere che il lavoro è sacro per davvero e in qualche modo ti ripaga sempre. L’ostinazione prima di tutto. A Giaccherini glielo ha insegnato la carriera. A 23 anni gioca ancora nel Pavia che fa i play-out in C2. Ha avuto esperienze minori a Bellaria e a Forlì. Nel 2008, a Cesena, sembra dover smettere perché in rosa non c’è posto («Se fosse andata male mi sarei trovato una squadra di Promozione e avrei fatto l’operaio»). Si fa male Bracaletti e Bisoli, l’allenatore, gli concede una possibilità. Non lo toglierà più. Raggiunta la promozione di Giaccherini dicevano: «Non è da B». Poi saltava tutti, faceva gol e portava in A il Cesena. Per sentirsi dire: «D’accordo, ma non è da A». Invece finisce alla Juventus.

Giaccherini non ha l’altezza dei sogni che ha, ma la tigna sì. Li raggiunge tutte le volte con una determinazione incredibile. Un anno dopo l’altro, un campionato dietro l’altro. Tranne nel 2014. Dopo l’Europeo di Polonia e Ucraina, che gioca senza troppa costanza tra una panchina e l’esordio contro la Spagna, Giaccherini decide che l’ora per un’avventura all’estero è arrivata. Il Sunderland gli offre i soldi e la gloria, e lui firma. Peccato che per Prandelli, all’epoca ct azzurro, i confini dell’Italia delimitino anche le scelte delle convocazioni. Quello è un periodo di post-ricostruzione per la nazionale: l’Italia, arrivata seconda al campionato europeo, torna a essere una squadra amata e benvoluta da tutti. Non succedeva dal 2006. Ma per farne parte bisogna giocare in Serie A, su questo Prandelli è stato chiaro.

CESENA, ITALY - MARCH 12: Armand Traore of Juventus competes with Emanuele Giaccherini of Cesena during the Serie A match between AC Cesena and Juventus FC at Dino Manuzzi Stadium on March 12, 2011 in Cesena, Italy. (Photo by Roberto Serra/Getty Images)

Giaccherini affrontato da Armand Traore durante uno Juventus-Cesena del 2011 (Roberto Serra/Getty Images)

Giaccherini viene concessa la Confederation Cup – siamo nel 2013 -, competizione che gioca con qualità e realizzando gol. Ma il Mondiale in Brasile, quello no: non viene convocato, resta a casa. L’uscita di scena e il declino di Giaccherini sembrano, ancora una volta, inevitabili. Dietro l’angolo. Un tramonto annunciato e prevedibile. Dicono: «Non è più da nazionale». Invece nel 2015 l’opportunità del Bologna gli si staglia davanti come un nuovo orizzonte di felicità. Dirà lo stesso Giaccherini, a novembre, dopo aver riconquistato la maglia azzurra: «Conte mi voleva in A. Per me era troppo importante riconquistare la nazionale e sono tornato in Italia proprio per questo motivo».


La rete di Giaccherini in Italia-Brasile. Confederations Cup 2013

Questo amore sincero per la nazionale è l’anticamera del sacrificio. Tra le definizione più azzeccate di Giaccherini, spicca quella del giornalista dell’Unità Marco Bucciantini: «E’ una dinamo». Uno di quegli aggeggi sulle biciclette che si caricano più vai forte, se avete presente. Contro la Spagna Giaccherini non si sarebbe fermato mai. Più i minuti passavano e più dava l’impressione di averne ancora, mentre tutti gli altri avevano finito la benzina da un pezzo. E’ questo tipo di generosità che sta facendo la differenza, rendendo Giaccherini un personaggio da copertina azzurra. Contro gli spagnoli ha toccato il 90 per cento di passaggi completati, ha corso più di 13 chilometri, recuperato palloni, fatto un mezzo assist sul gol di Chiellini, anticipato e contrastato gli avversari.

L’importanza di Giaccherini in questa nazionale è unica. Non soltanto in un contesto tattico ben definito (fa l’interno di centrocampo anziché l’ala), ma proprio come identità. Abituati all’Italia dei grandi talenti, da Rivera a Totti, da Baggio a Del Piero, questa di Conte ci era sembrata una nazionale priva di fantasia, di emozione, di astuzia. Persino di un certo tipo di italianità. Forse è così. D’altra parte, si fa con quel che si ha. E Conte ha costruito intorno a Giaccherini un’idea tattica basata sul sacrificio e sulla volontà. Disse lo stesso Giaccherini: «Questa di Conte è una nazionale diversa rispetto a quella di Prandelli. Qui c’è un gruppo più unito e coeso, ci sono uomini prima che giocatori. Mi spiego: anche quella di Euro 2012 era formata da un gruppo, c’erano dei giocatori che erano grandi campioni, qui grandi giocatori che si sacrificano. Ed è quello che ci chiede il mister. Lo ha anche detto: prima gli uomini, poi i giocatori, che vengono di conseguenza».