Slalom

La carriera di Antonio Candreva è cambiata all'improvviso, quasi per caso, consegnandoci uno degli esterni più forti d'Europa.

Candreva

Un elemento che sembra quasi imprescindibile in ogni grande storia d’amore è la casualità. Un incontro imprevedibile che intreccia in un nodo due fili che probabilmente non si sarebbero mai toccati in nessuno degli altri presenti possibili. Se John Lennon non fosse andato a un’esibizione dell’artista Yoko. Se Kurt Cobain non fosse andato a un concerto delle L7 a Portland al quale era presente anche Courtney Love. Se il reparto dell’esercito statunitense al quale apparteneva Francis Scott Fitzgerald non fosse stato ricollocato nei pressi di Montgomery, dove durante un ballo incontrò Zelda. Ma anche, spostandoci sulla fiction, se Romeo non fosse andato al ballo a casa Capuleti, o, più recentemente, se il narratore di Fight Club non avesse iniziato a frequentare i gruppi di supporto per malati di cancro, dove poi incontra Marla Singer. Storie che sembrano retroattivamente segnate dalle stigmate della necessarietà, ma in realtà, molto più semplicemente, sono frutto della scelta aleatoria di un’unica strada tra migliaia e migliaia di percorsi possibili.

Il 31 gennaio 2012 la dirigenza della Lazio è disperata. Dopo un’ottima partenza, che nel mese di novembre è valsa ai biancocelesti anche il primo posto a pari merito, prima con l’Udinese, poi con la Juventus, la squadra ha subito una flessione nelle prestazioni che l’ha portata a raccogliere soltanto otto punti nelle ultime sette giornate. Djibril Cissè, chiuso dall’inaspettato rifiorire di Miroslav Klose sulle sponde del Tevere, è già volato a Londra per sostenere le visite mediche con il QPR. Per tutta la sessione invernale di mercato Lotito e Tare hanno cercato di mettere le mani su una seconda punta che potesse essere complementare con il tedesco. I due obiettivi principali sono Keisuke Honda del CSKA di Mosca e Nilmar del Villarreal, ma entrambe le trattative vengono stroncate proprio sul fischio finale del mercato dal rifiuto delle due società proprietarie dei cartellini ad accettare i pagamenti dilazionati proposti da Lotito. Nonostante manchi soltanto qualche giro di orologio alla conclusione della sessione, le ore a disposizione sono comunque maggiori dei milioni di euro presenti nelle casse dei capitolini. A 15 secondi dalla chiusura delle porte dell’ATA Hotel, sede del calciomercato, vengono depositati i contratti che sanciscono uno scambio gratuito di prestiti tra Lazio e Cesena. In Romagna arriva Simone Del Nero, che nelle quattro stagioni e mezzo a Roma ha collezionato appena 22 presenze in campionato. A fare il percorso inverso, invece, è un romano, ma soprattutto un romanista, come se l’insufficienza di tempo e di denaro avesse ridotto a un affare di poco conto un fatto ritenuto invece enorme dai tifosi laziali. Nell’ultima sera del gennaio del 2012, per caso e per disperazione, torna a Roma Antonio Candreva.

Antonio Candreva Lazio
Tiziana Fabi/Getty Images

L’inizio dell’amore impossibile tra la Lazio e Candreva è la trasposizione in un’ambientazione calcistica di un romanzetto rosa in cui l’autore spende le prime cinquanta pagine a raccontare episodi di attrito tra la protagonista e il futuro amato per sottolineare quanto sia improbabile quella che sarà poi la relazione tra i due. Su un forum di tifosi della Lazio, pochi minuti dopo che l’uscita della notizia dell’acquisto imminente di Candreva, appare il thread “Candreva non ti vogliamo”. I primi cinque commenti rendono abbastanza bene l’idea di come sia vissuto da parte della tifoseria biancoceleste l’arrivo di un giocatore che soltanto due anni prima aveva dichiarato in un’intervista di essere da sempre tifoso romanista, e di avere come idoli tottiederossi: 1. Non me ne frega un cazzo se è forte o meno, manco lo conosco; è un romanista de merda e pure convinto, vattene a fanculo a trigoria 2. sta merda andasse a fanculo 3. VATTENE!!!! 4. che acquisto del cazzo 5. Cioè ma ci rendiamo conto che questo infame con la squadra quarta in classifica a due punti dal terzo posto ha fatto un intero calciomercato prendendo solo sta pippa romanista, io non c’ho più parole.

Poco più di ventiquattro ore dopo, a due minuti dalla fine di un Lazio-Milan 2-0 che porta i padroni di casa a soli quattro punti di distanza dal secondo posto, l’atmosfera festosa dell’Olimpico viene squarciata da un’impressionante cascata di fischi, che funge da colonna sonora dell’esordio di Candreva in maglia biancoceleste. Due giorni più tardi, quando si sarebbe dovuta svolgere la conferenza di presentazione, Roma viene ricoperta dalla neve, facendo rimandare così l’appuntamento con la stampa. Quando finalmente riesce ad arrivare davanti ai microfoni è l’8 febbraio, e con lo sguardo basso, dondolandosi nervosamente a destra e a sinistra sulla poltrona, è costretto a sentire Tare presentarlo con una sincerità violenta come seconda scelta: «[..] Nei nostri pensieri nel mercato di gennaio faceva parte del gruppo di giocatori italiani che nel caso che i nostri obiettivi, che sapete tutti molto bene chi sono stati, non dovessero essere andati a buon fine [..]». La sua prima partita dal primo minuto all’Olimpico si conclude all’intervallo di un Lazio-Cesena 0-2 che dopo la sua uscita dal campo si trasformerà in un 3-2 per i capitolini, con gol decisivo di Kozak, il giocatore al quale aveva dovuto lasciare il posto. Nei giorni successivi gioca 180 tragici minuti nella sconfitta per 5-1 col Palermo e in quella casalinga per 3-1 contro l’Atletico Madrid nell’andata dei sedicesimi di finale di Europa League, risultando in entrambe le occasioni uno dei peggiori in campo. Nel ritorno a Madrid, con la Lazio obbligata a segnare tre gol per sperare ancora nel passaggio del turno, viene sostituito a inizio della ripresa per far posto al Tata Gonzalez. Anni dopo confesserà di aver preso, al rientro negli spogliatoi del Vicente Calderón, la decisione di lasciare, seduta stante, Roma e la Lazio. Sono passati soltanto ventitré giorni dal suo arrivo, e già la grande occasione di rilanciare la sua carriera sembra essere affogata in un inizio così tragico da sembrare irreale. Per fortuna di Candreva, e della Lazio, però, non esiste un mercato di riparazione del mercato di riparazione.

Candreva Lazio
(Michal Cizek/AFP/Getty Images)

Quando accetta di saltare nel vuoto oscuro che sembra essere la sua esperienza alla Lazio, Candreva ha venticinque anni e una carriera insolita. Nell’estate del 2007 l’Udinese lo preleva dalla Ternana, in quel momento impastoiata nell’ancora C1, con un’operazione insolita per il club friulano, abituato a navigare in maniera quasi esclusiva sul mare dei mercati esteri. In quel momento l’allenatore è Pasquale Marino, un’integralista del tridente offensivo, e Candreva è considerato a tutti gli effetti un trequartista, ruolo che sta incamminandosi in quegli anni verso l’estinzione. La naturale conseguenza è che gli vengono riservati in un’intera stagione solamente dieci minuti di gioco spalmati su tre spezzoni di partita in campionato più qualche comparsata in Coppa Italia. Nella speranza di valorizzare l’investimento fatto, l’Udinese spedisce Candreva in prestito a Livorno, dove riesce a ritagliarsi uno spazio reinventandosi interno di centrocampo nella linea mediana a tre di Acori, contribuendo con trentaquattro presenze e due reti all’immediato ritorno in massima serie del Livorno dopo una sola stagione di purgatorio. Ruotolo, il nuovo allenatore, decide di valorizzare le sue capacità in fase di costruzione e lo prova per tutta la preparazione come vertice basso di un centrocampo a rombo, essendo l’altro vertice occupato da Diamanti, il fuoriclasse della squadra. Ma quando negli ultimi giorni di mercato, a campionato già iniziato, Diamanti viene ceduto al West Ham, per Candreva si riaprono all’improvviso le porte della trequarti. Liberato finalmente dal peso dell’impostazione ha finalmente l’occasione di esprimere al massimo il proprio talento senza i lacci della giocata facile, e il suo rendimento ne risente decisamente in positivo.

Candreva Livorno
Nel 2009, con la maglia del Livorno (Claudio Villa/Getty Images)

A novembre il CT Lippi lo fa esordire in nazionale, subito da titolare, in un’amichevole contro l’Olanda. A gennaio, dopo aver iniziato la stagione come regista precario del Livorno neopromosso, è chiamato a Torino per indossare la maglia della Juventus. Al momento di presentarsi dirà: «Ho quasi sempre fatto il trequartista, ma diverse volte sono stato schierato anche davanti alla difesa. Il mio è un tipo di gioco semplice, mi porta a toccare tanti palloni. Non segno molto, ma sono altruista e mi piace mettere i compagni in condizione di andare a rete». L’esterno offensivo più devastante prodotto dal calcio italiano nell’ultimo decennio, quando ha ventitré anni e già si può considerare ben instradato sulla via della maturità, non ha lui stesso assolutamente idea di quale sia in realtà il suo vero ruolo, ed è quindi difficile criticare a posteriori una lunga serie di allenatori che hanno passato anni a schierarlo mezzala, regista, rifinitore dietro le punte, addirittura centrocampista di rottura in centrocampi a due. Zaccheroni, allora tecnico dei bianconeri, arriva ad affermare: «In futuro potrà diventare anche un centrocampista basso, un giocatore che può arrivare a dettare i tempi di gioco davanti alla difesa. Oggi come oggi il meglio lo dà sicuramente nella trequarti. È un giocatore qualitativo, ma nello stesso tempo dinamico: non ce ne sono tanti con queste caratteristiche». Le caratteristiche di Candreva sono sotto gli occhi di tutti, ma, come ne La lettera rubata di Edgar Allan Poe, non c’è modo migliore per nascondere qualcosa che darle il massimo della visibilità.

Nei suoi sei mesi in bianconero Candreva non delude, ma neanche entusiasma, essendo oltretutto praticamente impossibile entusiasmare in una Juventus che conclude il campionato al settimo posto dopo aver passato tutto il girone d’andata tra il secondo e il terzo e che esce dall’Europa League agli ottavi di finale per mano di un Fulham capace di imporsi 4-1 nella gara di ritorno al Craven Cottage. Il massimo che riesce a fare a Torino è scrollarsi di dosso il soprannome di “timido”, affibbiatogli in gioventù, zittendo il Dall’Ara in un modo esagerato e quasi grottesco, considerando il suo status di giocatore minore (Repubblica il giorno seguente scriverà in merito «Candreva chi?»), in occasione del suo primo gol con la maglia della Juventus e, in occasione del suo secondo e ultimo, mostrare al mondo le sue capacità balistiche infilando da oltre tenta metri un missile terra-aria alle spalle di Curci in un pazzo, pazzo, pazzissimo 3-3 contro il Siena. L’Udinese, nonostante tutto, continua a chiedere otto milioni per la metà del suo cartellino, la Juventus si tira indietro, preferendo offrire più o meno la stessa cifra per l’intero cartellino di Pepe, e Candreva viene mandato in prestito a Parma. Lo stesso scenario si ripete la stagione seguente, con i friulani che si trovano ancora una volta costretti a offrirlo in prestito gratuito, stavolta al Cesena. A ventiquattro anni Candreva ha già percorso tutte le tappe di una normale carriera, ma condensate in cinque anni. L’affermazione in Serie B, la conferma in massima serie, l’arrivo in Nazionale, il picco con l’acquisto da parte di una grande squadra, e poi di nuovo a scendere in una formazione di metà classifica e, infine, in una in lotta per non retrocedere. Non è quindi folle pensare che in quello spogliatoio del Vicente Calderón Candreva abbia pensato di andarsene immediatamente dalla Lazio non per cambiare squadra, ma per smetterla del tutto col calcio giocato, chiudendo così la sua carriera nana, equivalente di un riassunto in tre pagine di un romanzo di cinquecento. Per fortuna di Candreva, e della Lazio, però, questo non succede.

Uno dei due gol, quello bellissimo al Siena, segnati con la maglia della Juve

È il 7 aprile 2012, e, in un Olimpico in cui anche i piloni trasudano cordoglio, si affrontano Lazio e Napoli. Pochi giorni prima è venuto a mancare Giorgio Long John Chinaglia, eroe dello Scudetto 1973-1974 e una delle più importanti bandiera della storia della Lazio. L’atmosfera luttuosa e i fischi dei tifosi napoletani durante il minuto di silenzio distolgono, dopo due mesi, la particolare attenzione dell’ambiente biancoceleste verso la natura romanista di Candreva, che in quel giorno viene schierato per la prima volta come esterno di destra titolare nel terzetto dietro la punta del 4-2-3-1 di Reja. Dopo soli nove minuti Rocchi raccoglie una palla di Konko e scarica verso il lato destra dell’area. Candreva attacca lo spazio come se non avesse fatto nient’altro per tutto il resto della sua vita, e tira a incrociare sul secondo palo. Complice un De Sanctis non impeccabile, è gol. Come se davvero un gol avesse potuto di colpo azzerare il tempo e farlo ripartire da zero, non appena il pallone entra in rete Candreva inizia a correre saltando i tabelloni come un olimpionico dei 110 metri ostacoli, per andare ad abbracciare, metaforicamente e materialmente, la Curva Nord. Il telecronista laziale, apparentemente l’unico ad essere veramente sorpreso, vista la naturalezza della corsa del giocatore e dell’accoglienza positiva dei tifosi, urla: «Incredibile! Candreva sotto la Curva Nord! Candreva sotto la Curva Nord! È cambiato il mondo! Candreva SOTTO LA CURVA NORD! Spezza l’incantesimo». Nella mia vita da appassionato di calcio ho sentito tante telecronache esagerate, tante iperboli, tante frasi assurde beneficiarie della sospensione dell’incredulità causata da un gol troppo bello, o troppo importante. Nessuna di queste, però, mi sembra che abbia colto il punto, con un’inquietante capacità divinatoria, quanto questa. Perché quel giorno, per la Lazio e per Candreva, davvero è cambiato il mondo. Perché quel giorno, per la Lazio e per Candreva, davvero si è spezzato l’incantesimo. Perché quel giorno, di colpo, è finito di esistere un Candreva prima di Candreva.

Gol e corsa sotto la Curva Nord

Candreva fa parte della famiglia di giocatori per i quali ha senso parlare di esplosione. Non è maturato, o almeno non tutto insieme, non ha beneficiato degli insegnamenti di un particolare allenatore, non è cresciuto.  Un giorno, per caso, ancora una volta per caso, è stato messo a fare l’esterno offensivo di destra, un ruolo che neanche lui sapeva essere il suo. E improvvisamente tutto ha iniziato a funzionare, proiettando un calciatore sul punto, se non di smettere, di fare un passo indietro probabilmente irrevocabile nella sua carriera a essere uno dei protagonisti del calcio italiano del suo tempo. Dal 2008 al 2012, nelle sue prime quattro stagioni complete giocate tra A e B, Candreva ha messo a segno 12 gol. Nelle successive quattro stagioni complete disputate con la maglia della Lazio, nessun centrocampista in Serie A ha segnato più di lui (38 reti), e nessuno di questi è andato in doppia cifra per tre stagioni consecutive. Nello stesso lasso di tempo ha servito 33 assist, andando quindi a partecipare attivamente ad oltre il 30% dei gol segnati dalla Lazio in Serie A dal 2012/2013 a oggi. Da quando Conte si è seduto sulla panchina della Nazionale, inoltre, ne è un punto fermo. Tra i giocatori con più presenze nell’ultimo biennio azzurro, ha le caratteristiche ideali per coprire la fascia destra nel 3-5-2: esplosività, dinamismo, buona capacità nei cross e un’abnegazione totale se stimolata nel modo giusto (emblematica in tal senso una sua dichiarazione dopo Croazia-Italia 1-1 nel girone di qualificazione agli Europei decisa da un suo cucchiaio su rigore: «Conte ci aveva chiesto di fare una partita di personalità e coraggiosa, e io ho obbedito»).

Candreva Nazionale
Candreva salta Vertonghen nella gara degli Europei contro il Belgio (Claudio Villa/Getty Images)

Dopo un inizio di sottotono, anche a causa di dissidi mai veramente chiariti interni allo spogliatoio della Lazio, che hanno portato la fascia di capitano lasciata da Mauri sul braccio di Biglia invece che sul suo, Candreva, soprattutto dopo il cambio di allenatore nel finale, è riuscito anche quest’anno a confermarsi come uno dei migliori giocatori nel suo ruolo presenti in Italia. L’onda lunga di un’eccezionale finale di stagione è emersa anche in questi Europei, soprattutto nella partita d’esordio contro il Belgio nella quale è stato unanimamente apprezzato come uno dei migliori in campo. Oggi Candreva si trova di fronte al secondo snodo fondamentale della sua carriera. Tornato dalla Francia, dove ha fatto intravedere la sua compatibilità con il calcio contiano prima di trovarsi costretto ad alzare bandiera bianca, è arrivato per lui il momento di decidere cosa sarà del suo futuro. Da un lato ha la strada che porta ad un’Inter ambiziosa allenata da un suo grande estimatore, che difficilmente non lo metterebbe in condizione di esprimersi al meglio. Dall’altro lato si snoda invece la strada che porta ad un Milan misterioso e precario, pericoloso e allo stesso tempo intrigante come tutte le cose misteriose e precarie. Al centro la strada è più grande, ma anche più insidiosa, e porta al Chelsea di Antonio Conte e, soprattutto, ad un campionato difficile e diverso, per il quale sembra avere le caratteristiche giuste, ma allo stesso tempo nel quale ogni anno falliscono puntualmente molti dei giocatori provenienti dalla Serie A. Stavolta però, qualsiasi cosa accada, il caso si farà da parte, lasciandolo finalmente padrone del suo destino.