Non è un Paese per portieri

Hart, Green, James, Robinson, Seaman: l'Inghilterra e gli storici problemi dei suoi numeri uno.

Se penso alla Nazionale di calcio inglese, sono tre le associazioni che la mia mente sviluppa in automatico. La prima è in realtà una sensazione olfattiva: l’odore della moquette nei pub. È qualcosa di difficile da descrivere, ma facilissimo da riconoscere; un mix di umidità, alcol, polvere e usura. È una costante delle public houses, istituzioni della vita sociale d’oltremanica. I pub, specialmente quelli con le bandiere dell’Inghilterra appese ai muri tutto l’anno, sono il luogo in cui mi riesce più facile immaginare i tifosi inglesi, gli occhi fissi sullo schermo e una birra in mano. La seconda è il legame tra la Nazionale e la monarchia, con quel logo che, senza piegarsi troppo all’estetica moderna, conserva il suo retaggio araldico, mettendo sul petto dei giocatori tre leoni passant guardant, riprendendo l’emblema di Re Riccardo. L’ultima sono le immagini un po’ sfocate dell’Inghilterra in maglia rossa che, nel 1966, vinse i Mondiali a Wembley, superando 4-2 la Germania Ovest. Quell’impresa resta, a oggi, l’unica grande vittoria inglese in un torneo internazionale, e le immagini televisive dell’epoca, con le esultanze di Bobby Charlton e compagni, vengono tirate fuori ogni volta che occorra rinvigorire il patriottismo calcistico e riportare i sudditi di sua maestà al seguito della Nazionale. Dopo quel trionfo, il fallimento dei tre leoni nei grandi tornei è stato una costante, è spesso arrivato dopo premesse roboanti ed è stato, quasi sempre, accompagnato da una débacle dell’estremo difensore di turno.

Il portiere della Nazionale del ’66 era Gordon Banks, riconosciuto universalmente come uno dei più grandi portieri della storia. Dopo di lui, tra i pali si fece spazio Peter Shilton, il giocatore con più presenze in assoluto con la maglia dell’Inghilterra (125), l’ultima nel 1990. L’uomo che ha portato la maglia numero uno dell’Inghilterra dagli anni ‘90 e oltre la soglia del XX secolo è David Seaman, un giocatore che ricordo, in particolare, per due ragioni: i baffi fuori tempo massimo, e il gol da centrocampo che prese al centoventesimo minuto di una delle prime finali europee che ricordo di aver visto, Arsenal-Real Saragozza del 1995, Coppa delle Coppe. Match point e coppa al Saragozza.

Mohammed Alí Amar, meglio conosciuto come Nayim, nato a Ceuta, eroe di Saragozza

Si può dire che Shilton sia stato il primo a cadere vittima del binomio “eliminazione dell’Inghilterra > errore del portiere”, nell’ottobre 1973. In una gara contro la Polonia decisiva per la qualificazione ai successivi Mondiali, l’allora portiere del Leicester si lascia scivolare sotto il corpo un tiro non irresistibile di Domarski, concedendo il vantaggio agli avversari a venti minuti dal termine della partita. Un’Inghilterra stordita dalla delusione e ipnotizzata dal portiere avversario, l’acrobata Tomasczewski, non riesce a rimontare e deve così rinunciare ai Mondiali del ’74.

Al minuto 2:1o, circa, l’errore di Shilton. Trent’anni dopo ancora indica quel momento come il punto più basso della sua carriera

Seaman, che pur è stato un numero uno storico per l’Inghilterra, ai Mondiali del 2002 subisce un gol che ricorda quello incassato dal Saragozza sette anni prima. Il suo posizionamento ingenuo su una punizione da trentacinque metri calciata direttamente in porta da Ronaldinho regala il 2-1 ai verdeoro nel quarto di finale Inghilterra-Brasile, e sancisce l’eliminazione dei Three Lions. Qualche mese dopo, in una partita di qualificazione a Euro 2004 contro la Macedonia, concede un gol direttamente da corner, errore che di fatto conclude la sua carriera di internazionale.

Seaman e i déjà vu

Seaman è stato, tra la seconda metà dei Novanta e i primi anni Zero, il portiere dell’Arsenal, nonché l’unico portiere inglese che, rovistando nella mia memoria, riesca a collocare tra i pali di una squadra inglese partecipante alla Champions League. Scorrendo rapidamente le pagine di un almanacco mentale della Premier, vedo Schmeichel, Van Der Sar, Barthez, De Gea, Lehmann, Almunia, Čech, Curtois, Dudek, Mignolet. Sembra che all’Inghilterra, negli ultimi dieci anni, sia mancato un portiere di livello europeo, che tutte le squadre inglesi di prima fascia preferissero cercare altrove, lasciando l’ultima linea di difesa in mano alla legione straniera. Mentre le big della Premier si affidavano a portieri stranieri, la Nazionale ha avuto tra i pali, tra il ritiro di Seaman e la maturazione di Hart, una serie di numeri uno provenienti da squadre di seconda o terza fascia, non completamente capaci di garantire affidabilità ad alti livelli. Paul Robinson, Rob Green e David James si sono distribuiti la maggior parte dei caps tra l’Europeo del 2004 e il Mondiale del 2010, con alterne fortune.

Paul Robinson è il portiere del Tottenham quando si ritrova a difendere i pali dell’Inghilterra ai Mondiali del 2006, durante i quali riesce a mantenere la rete inviolata per quattro incontri sui cinque disputati. Pochi mesi dopo, però, commette un errore che gli costerà la reputazione e, in seguito ad altre imperfezioni, il posto: durante una partita valida per le qualificazioni agli Europei del 2008, manca clamorosamente il pallone che Gary Neville gli ha passato all’indietro per invitarlo al rinvio lungo. La palla finisce in rete, e nel video che testimonia questa disavventura, si può vedere Robinson accanirsi ripetutamente sulla zolla rea di averlo tradito. L’Inghilterra non riesce nemmeno a centrare la qualificazione a quell’Europeo, e Robinson diventa una riserva. Per i Mondiali del 2010, non è nemmeno convocato.

Robinson nel 2012, con la maglia del Blackburn (Laurence Griffiths/Getty Images)
Robinson nel 2012, con la maglia del Blackburn (Laurence Griffiths/Getty Images)

 

In Sudafrica, alla prima partita dell’Inghilterra di Fabio Capello, in porta si presenta Robert Green, destinato ad andare incontro a un traumatico esordio in Coppa del Mondo. Sul punteggio di 1-0 per contro gli Usa, Green si lascia infatti scappare in rete un tiro piuttosto fiacco di Dempsey, dopo aver avuto il pallone praticamente tra le mani. Se si cerca «Rob Green» su Youtube, la terza parola chiave più associata al suo nome è «mistake». Dalla seconda partita di quei Mondiali, a Green subentra David James, esperto estremo difensore passato dal City pre-Emirati, al Portsmouth, al Bristol. James, pur avendo totalizzato poche presenze nelle coppe europee con squadre di club, e pur avendo macchiato a sua volta la propria carriera di internazionale regalando un gol all’Austria durante le qualificazioni ai Mondiali 2006, resta il portiere con più caps in Nazionale durante il «periodo di transizione» intercorso tra David Seaman e Joe Hart.

A sua discolpa va detto che la zolla c’è, e fa il suo lavoro

Hart, che in Nazionale non ha raccolto un’eredità pesante, in quanto i suoi predecessori erano riusciti a dare il peggio di sé, si presenta per la prima volta come titolare in un grande torneo agli Europei del 2012, dopo la prima vittoria in Premier del City degli Emiri. È ormai da due anni titolare in Premier, ma è proprio a partire da quegli Europei che il grande pubblico italiano inizia a conoscerlo meglio. Ai quarti l’Italia incontra l’Inghilterra. La partita finisce zero a zero e, tra gli interventi di Hart, spicca la parata decisiva su una girata da posizione ravvicinata dell’allora compagno di squadra Balotelli. Gli azzurri passano il turno dopo i calci di rigore, e Andrea Pirlo, nell’autobiografia pubblicata nel 2013, ha dichiarato di aver tirato il panenka proprio per punire l’atteggiamento irriverente del portiere avversario, che faceva smorfie ai rigoristi azzurri, cercando di distrarli. Ai tifosi italiani, dopo quella partita, resta il ricordo di un portiere biondo con l’aria da sbruffone.

Pochi mesi dopo quell’Europeo, un’Inghilterra opaca prende quattro gol dalla Svezia. Tra queste reti, tutte messe a segno da Ibrahimovic, c’è la rovesciata dalla distanza diventata celebre. Uno dei gol più belli di sempre nasce con la complicità di Hart che, uscito dalla propria area per allontanare il pallone di testa, finisce per alzarlo maldestramente a campanile anziché allontanarlo. Con il 2013, si apre per Joe Hart un momento durissimo. Un portiere che sbaglia si trasforma facilmente in un bersaglio, sia per la stampa che per i tifosi. Un portiere che sbaglia ripetutamente, può essere messo da parte, trovarsi deresponsabilizzato del proprio ruolo di custode ultimo, cadere in una spirale negativa, col rischio di non riuscire a rialzarsi.

Un video crudele che raggruppa molti errori di Hart nel 2013, con la musica fin troppo ovvia del Benny Hill Show

Hart sbaglia per la prima volta nel febbraio del 2013. Commette un errore esteticamente piuttosto buffo: non trattiene un tiro sul proprio palo, forte ma abbastanza telefonato, il pallone gli passa tra le gambe e rispunta davanti alla linea di porta, facile preda di un avversario che lo spedisce in rete. Una disavventura simile gli capita di nuovo due mesi dopo, contro il West Ham. Il suo 2013 è costellato da sbavature, gol subiti sul palo più vicino, palloni non trattenuti e uscite fuori tempo, e puntuale arriva anche l’errore con la maglia della Nazionale, in amichevole contro la Scozia, quando non riesce a respingere un tiro dalla distanza all’apparenza ammaestrabile. Nei commenti al video di quella rete, postato dal canale ufficiale della Nazionale inglese, il pubblico sembra diviso: alcuni giustificano Hart, scrivendo che l’intervento non era facile perché il tiro era forte e per lui era impossibile veder partire la palla, altri lo criticano e lo qualificano senza pietà come overrated. In chiusura all’annus horribilis, arriva un clamoroso gol concesso al Chelsea nel corso di una sfida a Stamford Bridge, con Hart che esce dalla propria area a vuoto, complice un retropassaggio killer di Nastasic, e Torres che si ritrova lanciato verso la porta sguarnita. Questa rete, nonostante le responsabilità del suo difensore, spedisce Hart in panchina.

Il periodo nero vissuto da Hart è però un turning point della carriera. Nelle immagini in cui il portiere impreca e si dispera dopo ogni errore, sembra di vedere l’ombra dell’inevitabile “Maledizione del Portiere Inglese”. Mentre la stampa coglie ogni occasione per affossarlo, e i tifosi perdono fiducia in lui, all’inizio del 2014 Hart riesce a tirare la testa fuori dall’acqua e a tornare a offrire buone prestazioni. Il posto da titolare in Nazionale per i Mondiali 2014 non è dunque compromesso, ma l’Inghilterra si rivela poca cosa e non va oltre la fase a gironi.

Che ci fai lì, Joe? (Shaun Botterill/Getty Images)
Che ci fai lì, Joe? (Shaun Botterill/Getty Images)

 

Nel corso delle ultime due edizioni di Champions League, Hart para tre rigori di fila, facendo due vittime illustri: Messi e Ibrahimovic. La parata contro Ibrahimovic dello scorso aprile è allo stesso tempo vendetta personale contro la quaterna subita dallo svedese quattro anni fa, ed evento chiave del quarto di finale Psg-City. Chiaramente destabilizzato dall’errore commesso dal dischetto, lo svedese nel corso del primo tempo fallisce anche un’occasione uno-contro-uno, mentre Hart accede alle semifinali con il suo City, per la prima volta nella storia degli Sky Blues.

Con rinnovata sicurezza, Hart affronta in semifinale il Real Madrid facendosi nuovamente notare, soprattutto per la rete mantenuta inviolata nella gara d’andata. La sua parata su Pepe all’82’ finisce su molte copertine: il difensore portoghese si ritrova solo a pochi metri dalla porta, Hart gli si getta davanti, braccia e gambe spalancate, in quello che sembra un invito disperato a tirargli la palla addosso, cosa che puntualmente avviene. Le immagini di quella parata non rendono giustizia a un gesto forse non bello, ma che denota grande prontezza e sangue freddo.

Due interventi decisivi contro il Real Madrid, su Casemiro prima, su Pepe poi

Dopo un paio di annate in crescendo che gli hanno permesso di guadagnarsi visibilità positiva e la benedizione di Gianluigi Buffon, che prima della doppia sfida di Champions League tra la Juventus e il Manchester City, nell’autunno 2015, lo omaggia collocandolo tra i migliori portieri del mondo, Hart si è preparato a disputare l’Europeo francese da titolare indiscusso di un’Inghilterra gasata dalla presenza di due attaccanti reduci da exploit personali notevoli, Vardy e Kane.

Mentre si sviluppava l’ennesimo fallimento dei Three Lions, la Maledizione del Portiere Inglese è tornata per abbattersi su Hart, in maniera spietata. Il portiere del City ha delle responsabilità su tutti e quattro i gol subiti dall’Inghilterra durante il torneo: troppo statico sul colpo di testa di Berezutski che regala il pareggio alla Russia allo scadere del primo match, mal posizionato e poco reattivo sulla punizione da lontanissimo di Bale nella partita contro il Galles, indeciso nell’uscita su Sigurdsson e incapace di respingere il debole tiro di Sigorthsson nella gara decisiva contro l’Islanda. Dopo questa partita, cosciente delle critiche che sono pronte a riversarsi su di lui e sui compagni, Hart ammette di avere delle responsabilità personali per il deludente Europeo disputato dall’Inghilterra.

«Avrei dovuto evitare almeno due gol»

L’estate del 2016, che avrebbe potuto consacrarlo dopo le buone prestazioni in Europa con il City, ha invece rappresentato per Hart una ricaduta, che può trasformarsi, con l’arrivo di Guardiola, in un momento molto critico della sua carriera. Il catalano neo-allenatore dei Citizens ha dimostrato di non aver mai avuto grande fiducia nel portiere inglese, giudicato troppo poco abile con i piedi e pertanto poco adatto al suo gioco. Si può chiamare Maledizione, da un lato, ma serviranno misure concrete per arginarla.