Il supplizio di Wondolowski

Come uno degli attaccanti più prolifici della Mls si è trasformato in vittima sacrificale dopo un solo errore con la maglia della Nazionale statunitense.

La carriera di uno sportivo è sempre piena di momenti che ne cambiano la storia. “Se solo non fosse una testa calda…”, si dice molto spesso, come se si potesse separare il talento dalla persona che di quel talento ne è beneficiario. Le sliding doors a un atleta si presentano ogni istante della gara, o dell’allenamento. Arriva sempre un momento, però, in cui si decide in maniera definitiva l’impressione che il mondo avrà di te. Non importa quanto tu possa aver fatto bene o male nella tua carriera, e non importa assolutamente quello che accadrà dopo. Verrai sempre ricordato per quello che hai fatto in quell’azione, in quel tiro, in quel passaggio. Sbagliare quel momento sarà la pietra tombale sul proprio sarcofago sportivo. A Salvador de Bahia nel mese di luglio è inverno, così come nel resto del Sud America ovviamente, ma il clima non sembra accorgersene. Anche l’inverno offre ai visitatori del Brasile un grande caldo. Lo stesso caldo di una sera di inizio luglio 2014, quando l’Arena Fonte Nova salutava il nuovo mese con l’ultimo ottavo di finale del Mondiale brasiliano, quello che teoricamente avrebbe dovuto vedere i verdeoro trionfare nel più classico degli happy ending hollywoodiani. In campo il Belgio, risvegliatosi dal coma profondo iniziato dopo il Mondiale 1986, e gli Stati Uniti, che stanno lentamente ma inesorabilmente interessando al calcio.

PORTLAND, OR - JULY 09: Chris Wondolowski #19 of the United States walks on the field against Belize during the 2013 CONCACAF Gold Cup on July 9, 2013 at Jeld-Wen Field in Portland, Oregon. (Photo by Jonathan Ferrey/Getty Images)
Chris Wondolowski durante un match contro Belize durante la Gold Cup 2013 (Jonathan Ferrey/Getty Images)

La partita è un inequivocabile dominio dei diavoli rossi, con Tim Howard impegnato talmente tante volte che alla fine, dopo aver opposto tutte le sue forze come un novello Vercingetorige a Gergovia, entrerà nella storia per il maggior numero di parate (16) in una partita del mondiale. Tutto questo non servirà, perché alla fine, durante i tempi supplementari, De Bruyne e Lukaku piegheranno le mani dell’ex bandiera dell’Everton e con loro le velleità statunitensi di passare il turno. Ma gli Stati Uniti avevano avuto l’occasione per evitare i supplementari e concludere la contesa trenta minuti prima. Su un lancio a campanile in area, Jermaine Jones fa valere il suo fisico e offre la sponda a Chris Wondolowski – attaccante dei San Josè Earthquakes – una delle quattro punte portate da Klinsmann al Mondiale, lasciando fuori la leggenda Landon Donovan. Wondo segue la traiettoria del pallone con gli occhi, lo vede avvicinarsi, apre il piattone e colpisce. Questo è il momento clou della sua carriera, l’occasione che non può essere sbagliata per alcun motivo, se non si vuole diventare vittime di quell’orrendo fenomeno che è la ricerca di un capro espiatorio da parte del pubblico e dei media nazionali. Eppure c’è qualcosa di sbagliato in quel movimento, di innaturale. Wondo non riesce in alcun modo a trasmettersi sicurezza, e appena si vede davanti il faccione del gigantesco Courtois perde definitivamente la sua fiducia. Il pallone si impenna e va a lato. Chris Wondolowski si copre la faccia con le mani, forse non del tutto consapevole di quello che gli sarebbe toccato al ritorno in America. I media e i tifosi americani infatti non hanno dubbi, la colpa è di Wondo. Lui aveva la possibilità di vincerla, lui è stato il colpevole dell’esclusione di Donovan.

L’errore clamoroso di Wondolowski, solo davanti a Courtois

Perché in America senza rivalità non ci sanno stare. Per questo motivo negli anni precedenti era stata montata la notizia di una rivalità tra Wondolowski e Donovan, le stelle rispettivamente degli Earthquakes e degli LA Galaxy, ovvero le due squadre californiane, protagoniste ogni anno del Cali Clásico, il derby della California. Quando Klinsmann dirama la lista dei 23 convocati, l’assenza di Landon Donovan viene vista come una decisione di Wondolowski, che invece sull’aereo per il Brasile ci è partito. Pensare che un giocatore non particolarmente carismatico come lui abbia potuto comandare all’ex allenatore della Germania l’esclusione del più forte giocatore americano di ogni tempo è una forzatura, come lo è anche pensare che la sua convocazione sia dovuta solo alle origini indigene (la madre è una nativa americana, mentre sono evidenti le origini polacche dal lato di padre, come testimonia il cognome), ma poco importa. Il popolo ha trovato il suo agnello sacrificale, e non è disposto ad accettare altra versione. Intanto il video del tiro di Wondo fa il giro del mondo e diventa virale, perché effettivamente è un errore di quelli che si vedono raramente su un campo professionistico, figurarsi a un Mondiale. Chris smette di essere Wondolowski e diventa quello che ha sbagliato contro il Belgio, l’emblema dell’attaccante scarso. Ma Wondolowski non è scarso: è un attaccante vero, di quelli che sanno fare gol, li ha sempre fatti (unico giocatore della MLS ad essere andato in doppia cifra per cinque stagioni consecutive) e li ha fatti fare. È uno pienamente consapevole del proprio lavoro.

 

SALVADOR, BRAZIL - JULY 01: Chris Wondolowski of the United States misses a chance against Thibaut Courtois of Belgium during the 2014 FIFA World Cup Brazil Round of 16 match between Belgium and the United States at Arena Fonte Nova on July 1, 2014 in Salvador, Brazil. (Photo by Robert Cianflone/Getty Images)
Chris Wondolowski e l’errore di fronte a Thibaut Courtois nel match tra Stati Uniti e Belgio durante il Mondiale 2014 (Robert Cianflone/Getty Images)

La carriera professionistica di Chris Wondolowski è stata continuamente scandita da una necessità: quella di dimostrare al pubblico di valere molto di più di quanto stimato dai dirigenti delle varie squadre. Arriva nella MLS all’inizio della stagione 2005, dopo essere stato scelto con la pick numero #41 al draft supplementare di quell’anno dai San Josè Earthquakes, la società di cui diventerà una bandiera. Ma non è questo il momento di svolta della sua carriera. La prima stagione in maglia azzurra la passa infatti sulle comode panchine degli stadi americani, trovando il campo solo due volte, nonostante due anni strepitosi al college con i Chico State Wildcats. Intanto, nella storia di Wondo, ma anche in quella di tutti i suoi compagni di squadra, interviene un meccanismo tipicamente americano: con l’inizio dell’annata 2006 della Mls, la decima nella storia della lega, gli Earthquakes vengono spostati in toto dalla Silicon Valley al Texas, più precisamente a Houston, che accoglie, dopo i Texans della Nfl, i Rockets in Nba e gli Astros nella MLB, la sua quarta franchigia sportiva.

In Texas Bau Daigh (il nome tribale di Chris, che appartiene alla stessa tribù Kiowa della madre) triplica le sue presenze in campionato rispetto alla stagione precedente e sopratutto trova il suo primo gol professionistico, anche se sorge più di qualche dubbio sull’assegnazione del gol. Su una punizione battuta in mezzo, un compagno devia il pallone verso la porta. Il difensore avversario tenta, con una spaccata volante, di liberare il pallone, che sembra essere entrato del tutto. Non è così per l’arbitro che lascia continuare, e in quel momento Wondo approfitta di una fortunosa carambola per segnare, partendo però da una chiara posizione di fuorigioco. Un gol confusionario, come sapevano essere le partite della Mls di quegli anni. Zero organizzazione difensiva e poche idee su cosa fare con il pallone.


La prima rete di Wondo in Mls

Nelle due stagioni e mezzo successive in maglia arancione Wondo non riesce a guadagnarsi molto spazio. Sembra che il suo futuro sia quello di un attaccante di riserva, pronto ad entrare dalla panchina per garantire qualche minuto di qualità. Non sembra neanche particolarmente freddo sotto porta. Ai 2 gol della stagione 2007 non fanno seguito marcature nel corso della stagione 2008, conclusa senza reti, mentre la mezza stagione 2009 lo vede andare in rete una sola volta. Quasi un quadriennio in maglia arancione con pochi successi personali, se escludiamo un gol al Pachuca nella semifinale di Concacaf Champions League 2007, che alla fine vedrà comunque gli americani eliminati in una competizione che è patrimonio esclusivo ormai da anni dei club messicani, con rare eccezioni (vedasi il Montreal che da campione canadese riesce a raggiungere la finale 2015). Intanto, però, nella stagione 2008 San Josè è tornata ad affacciarsi sui radar del calcio americano, anche grazie all’expansion assegnata al proprietario degli Oakland Athletics di baseball Lewis Wolff, che ottiene i permessi per costruire uno stadio specifico per il calcio, come richiesto dalla Lega per ogni possibile nuova franchigia, permettendo così agli Earthquakes di risvegliarsi dopo una pausa di tre anni. Proprio la neonata franchigia della Baia decide di scambiare l’attaccante Cam Weaver per riportare a casa Bau Daigh dall’esilio texano. Wondolowski conclude la stagione del ritorno in California con tre gol, suo massimo bottino in una singola stagione, ma il meglio deve ancora venire.

Sono i diciotto gol della stagione successiva, che portano San Josè alla post season, a dare vita a un filotto che per Wondo ancora sembra lontano dal finire. Sono stagioni e stagioni consecutive in doppia cifra, fino al punto massimo del 2012, in cui segna ventisette reti che, unite ai dieci assist serviti ai compagni, lo rendono il giocatore ad aver partecipato a più gol in una singola stagione – record poi battuto con lo sbarco in Canada di Sebastian Giovinco. Possiamo ragionevolmente dire che Wondolowski non è un attaccante moderno, lo crede lui stesso quando, su The Players Tribune, scrive che un attaccante può pure giocare bene, ma se non riesce a segnare sarà comunque una partita negativa, dimenticandosi che l’evoluzione del calcio permette di rendersi utili come attaccanti anche creando spazi per gli inserimenti dei compagni o pressando in maniera efficace favorendo il recupero del pallone. Wondo non è alto né grosso, non è particolarmente tecnico e veloce, direi addirittura che è un giocatore poco riconoscibile e appariscente, che si perde nelle pieghe della sua maglia nerazzurra. Vedendo una sua partita non sarei in grado di riconoscerlo, se non fosse per la fascia di capitano che indossa orgogliosamente da quattro anni. Quello che veramente sorprende di Wondolowski, e che sono convinto gli avrebbe permesso di costruirsi un’ottima carriera anche nei più celebrati e competitivi campionati europei, è la sua forza a livello mentale.

 
La stagione monstre di Wondolowski nel 2012

Ogni partita si presenta a Wondo come una grande partita a scacchi tra lui e il difensore. Chris ci spiega come il suo compito principale nel corso dei novanta minuti sia di mentire: il suo marcatore deve essere convinto di avere tutta la situazione sotto controllo, mentre lui deve tenere un occhio sull’avversario e uno sui compagni che attaccano, per capire quale sia il punto in cui il pallone arriverà. Ogni mossa fatta è come una pedalata in più verso la cima del Mont Ventoux, che sembra ininfluente ma alla fine risulterà decisiva per la vittoria. Anche nella fase del riscaldamento pre partita Chris agisce in maniera particolare: si presenta in campo molti minuti prima, e passeggia sull’erba (spesso sintetica) degli stadi americani con la musica nelle cuffie. Questo passaggio, che a vederlo dall’esterno sembra inutile, serve invece a Wondolowski per immaginare quello che succederà in campo. Ogni istante della partita viene preventivamente analizzato dalla sua mente, e gli serve per capire che cosa potrebbe fare per superare la difesa e il portiere avversario. A suo avviso il metodo funziona talmente bene che si è detto sorpreso di quante volte una giocata immaginata viene replicata quasi identica nella realtà.

Chris Wondolowski, per la sua metodologia di lavoro, è uno studioso del ruolo dell’attaccante. Non è importante per lui avere il pallone tra i piedi, è fare in modo di ottenerlo nel punto più facile e più adatto per segnare. Per questo i suoi gol spesso sono semplici, avvengono su una ribattuta o su un rimpallo. E anche quella sera a Salvador de Bahia Wondolowski aveva fatto il movimento esatto. Chissà se se l’era immaginata nella sua passeggiata pre-partita, quell’occasione al novantatreesimo minuto degli ottavi di finale contro il Belgio.

SAN FRANCISCO, CA - MAY 27: Chris Wondolowski #18 of the United States in action against Azerbaijan during their match at Candlestick Park on May 27, 2014 in San Francisco, California. (Photo by Ezra Shaw/Getty Images)
Chris Wondolowski in azione contro l’Azerbaijan (Ezra Shaw/Getty Images)

Chris Wondolowski non è un attaccante scarso, sicuramente non  è quello dell’errore davanti a Courtois, ma aver sbagliato in quel momento ha reso inutili tutti gli anni di fatica, tutte le reti servite a dimostrare di valere di più di quanto stimato. Ancora adesso molti americani non sembrano avergli perdonato del tutto quel tiro. Sotto ogni post o video che la MLS dedica ad uno dei suoi attaccanti più prolifici, anche quelli celebrativi, come quello in cui vengono mostrati i suoi primi 100 gol da professionista nella lega, ci sono decine, se non centinaia di commenti, dedicati a quel maledetto primo luglio 2014, quando il Belgio ha fatto piangere una Nazione che si era letteralmente innamorata del calcio. Wondo è il colpevole dell’eliminazione americana, e non sembra possa fare nulla per togliersi di dosso un’etichetta pesante come il piombo.