La battaglia del Kosovo

La nuova vita della Nazionale kosovara, all'esordio in una qualificazione mondiale. Tra problemi di cittadinanza, orgoglio, politica.

Quella che si disputerà stasera allo stadio di Turku, in Finlandia, è una partita speciale: la sfida tra Finlandia e Kosovo segnerà l’esordio ufficiale in una competizione Fifa e, quindi, nelle qualificazioni alla Coppa del Mondo per la squadra nazionale ex Jugoslava.

Qualche appunto di storia e di geografia per contestualizzare il discorso in cui questa partita va a inserirsi. Il 15 giugno del 1389 il principe di Serbia Lazar viene trucidato durante la battaglia della Piana dei Merli contro l’esercito ottomano, alla guida di una coalizione di miliziani cristiani. La Piana dei Merli, in lingua serba, si chiama Kosovo Polje. Nonostante si sia trattato di una sconfitta, i serbi hanno sempre visto quella battaglia come l’atto fondante della loro nazione, e l’episodio principale di quella che si può definire epica fondativa della nazione serba. Il condottiero Giorgio Castriota Scanderbeg il 10 ottobre 1445 libera Kosovo e Albania dall’invasione ottomana nella battaglia di Prizren. Da quel momento inizia la dicotomia che ci trasciniamo fino a oggi, che ha portato a spargere tanto sangue e a creare acredini, compromessi e veti incrociati nelle pieghe della storia e, di riflesso, anche in tutto ciò che concerne lo sport. Il Kosovo, infatti, una regione vasta come l’Abruzzo, con poco più di 2 milioni di abitanti, è sempre stata in bilico tra il nazionalismo serbo, che l’ha sempre sentita come parte integrante (ancora di più, fondativa!) della propria nazione, e l’identità albanese, visto che la maggioranza della popolazione è, appunto, schipetara.

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Il 17 febbraio 2008 il Kosovo si dichiara indipendente, status non riconosciuto, però, da 82 stati Paesi dell’Onu, prima fra tutti la Serbia che si sente privata unilateralmente di una parte del proprio territorio. Nonostante le resistenze serbe, il Kosovo prosegue la sua strada e usa anche lo sport, come accade spesso in situazioni simili, per legittimare maggiormente il proprio status di indipendenza e, in qualche modo, pubblicizzare la propria immagine nel mondo e cercare altro consenso. Così nel 2009 mette in piedi una Federazione calcistica e una Nazionale, guidata da Albert Bunjaku, che inizia a disputare partite amichevoli con altre formazioni kosovare. Fino al 14 gennaio 2014, quando la Fifa autorizza la Nazionale del Kosovo a disputare amichevoli internazionali contro altri Paesi, esclusi quelli della ex Jugoslavia.

Gli Europei del 2016 sono stati un altro passaggio importante nella vicenda calcistica del Kosovo, anche se c’entra l’Albania: la anch’essa storica qualificazione albanese ha portato una squadra piena di kosovari a disputare la massima competizione continentale, e moltissimi abitanti del piccolo stato ex jugoslavo si sono sentiti rappresentati dall’aquila bicefala in campo rosso. Quando ho parlato con Lorik Cana, capitano dell’Albania, per una vecchia intervista apparsa poi su Four Four Two alla vigilia della competizione europea, mi ha detto: «Ho scelto di indossare come una missione questa maglia, questo simbolo che portiamo sul petto, la bandiera che unisce tutti gli albanesi. Io provengo dal Kosovo e il nostro sogno è che un giorno il nostro intero popolo possa vivere unito nello stesso Paese. Questo è qualcosa che la storia e la politica non sono riusciti a fare, ma noi con la nostra squadra di calcio lo abbiamo reso possibile». A Euro 2016, in realtà, c’erano kosovari in molte Nazionali. Soprattutto in quella Svizzera.

L'allenamento prima della prima amichevole del Kosovo, nel 2014 (Armend Nimani/Getty Images)
L’allenamento prima della prima amichevole del Kosovo, nel 2014 (Armend Nimani/Getty Images)

 

E anche oggi, dopo che la Fifa nel maggio 2016 ha accolto il Kosovo ufficialmente come 210mo membro, le grand star che potenzialmente potrebbero rendere grande il Kosovo come Shaqiri o Behrami non hanno optato per rappresentare la giovane repubblica, ma hanno deciso di continuare a giocare con le loro rispettive nazionali. Granit Xhaka, neo acquisto dell’Arsenal, ha pubblicato una lettera aperta, martedì, dichiarando che continuerà a giocare per la Svizzera. Xhaka ha aggiunto che la Fifa non autorizza calciatori che hanno disputato Euro 2016 a cambiare maglia. La situazione, quindi, è complessa, ingarbugliata e confusa. In linea generale, infatti, non è consentito dai regolamenti della Fifa a giocatori che abbiamo disputato almeno una partita con una determinata Nazionale di giocare per una Nazionale diversa (regole opposte a quelle di una volta, che consentivano a Di Stefano di giocare per Argentina, Colombia e Spagna o all’Italia di schierare Altafini e Sivori); ma in casi particolari, come l’affiliazione di una nuova Nazionale, il massimo organismo del calcio consente ai singoli giocatori che si trovino nella condizione di voler rappresentare la nuova Nazionale, pur avendo già militato in un’altra, di chiedere un’autorizzazione.

Ci sono 6 calciatori che ancora non hanno ricevuto questa autorizzazione e ancora non sanno se stasera potranno essere in campo contro la Finlandia. Tra essi il portiere Samir Ujikani, in forza al Pisa, capitano del Kosovo che, però, ha collezionato 20 presenze con la nazionale albanese: «Non vedo l’ora di iniziare la partita», mi ha detto, «anche se ancora devo aspettare il permesso della Fifa». Comunque sia Ujkani, con una carriera pluriennale in club italiani, ha le idee chiare sulla situazione della Nazionale del Kosovo, delle sue prospettive e di questa particolare fase transitoria: «Per me è un orgoglio essere il capitano di questo gruppo, formato da giocatori giovani e forti. Il gruppo con Croazia, Ucraina, Islanda, Finlandia, Turchia è molto difficile e noi dobbiamo essere realistici: questi due anni di qualificazioni devono servirci a crescere, devono aiutare i nostri giovani a fare esperienza perché hanno un grande futuro davanti». Non ha nessun rimpianto né nessuna illusione rispetto ai grandi nomi di stelle kosovare: «Non credo che gente come Xhaka, Shaqiri o Behrami tornerà a vestire i colori del Kosovo».

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La costruzione del nuovo stadio a Mitrovica, Kosovo settentrionale (Armend Nimani/Afp/Getty Images)

C’è tanto orgoglio in campo. Al punto che uno come Hetemaj, kosovaro di nascita ma finlandese di Nazionale, ha chiesto di non essere schierato dalla Finlandia stasera contro i suoi fratelli compatrioti. E la geopolitica entrerà con entrambi i piedi ancora una volta in questioni sportive e forse lo farà a gamba tesa: il Kosovo è nel girone con l’Ucraina che, però, è tra quei Paesi che non ne riconoscono l’indipendenza. Con tutta probabilità, quindi, la squadra allenata da Shevchenko disputerà la sfida casalinga contro il Kosovo all’estero in campo neutro: ospitarli a Kiev significherebbe riconoscerli.

Del resto se la minuscola Gibilterra ha dovuto attendere fino al 2013 per entrare nella Uefa è stata colpa dello storico ostracismo spagnolo: temevano che una Nazionale sulla Rocca avrebbe funzionato da cavallo di Troia e apripista per le stesse velleità da parte di baschi e catalani. In quel caso, l’unico naturalizzato fu Higginbotham, inglese che si avvalse di parentele materne per perorare sul campo la causa del possedimento britannico, a 34 anni. Anche Gibilterra ha esordito in questi giorni nelle qualificazioni mondiali, dopo l’ammissione contestuale alla Fifa con quella kosovara, perdendo 5-0 contro il Portogallo.

Questa sera, in concomitanza con Finlandia-Kosovo, si disputerà anche Albania-Macedonia. E anche la Macedonia è ricca di kosovari, tanto per complicare il quadro.

 

Nell’immagine di testata, il presidente Hashim Thaci incontra la Nazionale nel 2014 (Armend Nimani/Afp/Getty Images)