Il giorno più lungo

Mourinho contro Guardiola, ancora, stavolta a Manchester: una chiacchierata con Paolo Condò, che racconta la rivalità nel suo nuovo libro "Duellanti".

Probabilmente, mai derby di Manchester fu più atteso, ispezionato, chiacchierato di quello che si giocherà domani all’Old Trafford. Perché mai aveva avuto, uno contro l’altro, due personaggi di tale spessore: José Mourinho e Pep Guardiola. Gli allenatori più iconici, vincenti, tridimensionali del nostro tempo: così la loro rivalità, che ha assunto toni epici, bellici, dall’impressionante forza narrativa. Quella che Paolo Condò racconta in maniera impeccabile nel suo nuovo libro “Duellanti” (Baldini & Castoldi, 256 pp., 16 euro), concentrandosi su 18 giorni del 2011, quando i due allenatori, alla guida di Real Madrid e Barcellona, si affrontarono per ben quattro volte. Ne abbiamo parlato con lui, per prepararci al meglio al bellissimo scontro tra Red Devils e Citizens.

Francesco Paolo Giordano: Paolo, com’è nata l’idea del libro?

Paolo Condò: Da una chiacchierata con Michele Dalai, che non è un editore come gli altri, ma è un grande appassionato di calcio. Lui mi premeva perché gli portassi qualche idea, allora ho pensato a Mourinho contro Guardiola, non c’è niente di più romanzesco. Condensando la narrazione in quei 18 giorni del 2011 in cui si disputarono quattro Clásicos, che io seguii da vicino. Proprio “18 giorni” era il titolo originale, che poi è diventato “Duellanti” in omaggio al libro di Conrad e al film di Ridley Scott, che io amo moltissimo. Stavo portando avanti la stesura con pigrizia, quando, nella scorsa primavera, si diffuse la notizia che Mourinho avrebbe firmato con lo United, ed era già noto l’accordo tra Guardiola e il City. Perciò accelerai, per raccontare quella che è la prima fase di questa rivalità.

Un libro bellissimo, coinvolgente, puntuale, che si conclude con una riflessione: che l’uno abbia migliorato l’altro, e viceversa.

È una concezione alla base dello sport, che poi travalica anche nella vita: avere un rivale di alto livello è un bene, perché ti costringe a dare il meglio. Loro lo hanno dimostrato. Anche se hanno vissuto la competizione, nei giorni spagnoli, in modo molto diverso. Mourinho ha trascorso quel periodo con intimo divertimento: le polemiche, lo scontro, sono il suo campo. Su Guardiola, ti racconto un aneddoto molto indicativo.

Prego.

A Mourinho e Guardiola ho inviato una copia: per lo spagnolo, mi sono messo in contatto con il suo amico e braccio destro Manel Estiarte, ex pallanuotista che compare spesso nel libro. Ci stavamo mettendo d’accordo sulla spedizione, e lui mi ha chiesto: «Di cosa parla il libro?». Gli ho risposto, e all’altro capo del telefono è calato il silenzio. Poi mi ha detto: «Quelle partite vanno dimenticate, non perpetuate attraverso un libro». Questo fa capire quanto Guardiola abbia vissuto quel periodo come un incubo, tanto da andare “fuori di testa”, per così dire, e prendersi successivamente un anno sabbatico. Oggi penso sia più attrezzato psicologicamente per reggere lo scontro: non credo sia felice di ritrovare Mourinho, ma non è più restio a calarsi nella battaglia.

Real Madrid's Portuguese coach Jose Mourinho (L) and Barcelona's coach Josep Guardiola react during the Spanish League "El clasico" football match Barcelona vs Real Madrid at the Camp Nou stadium in Barcelona on April 21, 2012. AFP PHOTO / LLUIS GENE (Photo credit should read LLUIS GENE/AFP/Getty Images)
Aprile 2012, Mourinho e Guardiola di fronte al Camp Nou (Lluis Gene/AFP/Getty Images)

Al di là della rivalità sportiva, quello che affascina dei due è l’essere filosoficamente agli opposti. In “Democrazia e commercio agli Us Open”, David Foster Wallace parlava di Sampras come Atene, perché democratico, riflessivo, mentre il suo avversario, Philippoussis, aveva una volontà più marcata, da imporre con decisione, come Sparta. Lo scontro Guardiola-Mourinho ricalca questi assiomi?

Sì, ma con una differenza. Wallace dice che Sampras si muove con una sicurezza che è propria di chi, usa un’espressione bellissima, «è in cima alla catena alimentare». Mourinho e Guardiola, invece, sono alla stessa altezza, anche se con una loro filosofia.

E cioè: uno guarda alle idee, l’altro agli albi d’oro.

Ed è questo che rende universale il confronto. Vent’anni fa, quando ero un giovane cronista imbevuto di sacchismo, avrei sposato in toto la concezione di Guardiola, e così la pensava una generazione di giornalisti. Oggi mi sento sì più vicino al catalano, ma l’esperienza mi ha fatto rinsavire: lo scopo del gioco è vincere. Se il risultato non è importante non è più calcio, diventa, non so, balletto: ma anche lì, ci vai e, se quello che vedi non è all’altezza, non ci torni più. Il risultato conta, e nello sport è alla base della competizione.

In un passaggio del libro, scrivi: «Quando si affrontano, è come se ciascuno indossasse una corazza che ne estremizza le virtù e i vizi, finendo di definire il proprio ruolo in commedia». Ecco, quanto sono costruiti Mourinho e Guardiola?

Molto costruiti. Mourinho dice di avere due vite: una privata, che nessuno conosce a parte la sua famiglia, e quella da allenatore, che vediamo tutti, con quella sua maniera forte di presentarsi. In quel periodo del 2011, Mourinho alzò molto il livello dello scontro, creando un contesto caldo dove trovarsi a suo agio e, nel contempo, mettere pressione agli avversari per indurli a passi falsi. E penso che, proprio in quel periodo, Guardiola sia cambiato.

In che senso?

A Barcellona Guardiola recitava il ruolo di capitano della sportività, il portabandiera dei valori del Barcellona, perché lì era cresciuto come giocatore, era stato capitano. Nella famosa conferenza del «puto amo» affibbiato a Mourinho, quando risponde alle parole del portoghese, anche in quella occasione Guardiola fa riferimento ai valori del Barcellona, ed è un modo per dire a Mourinho “guarda che li conosci anche tu, non puoi tacciarci di non essere sportivi”. Dal Bayern in poi, non è più così: oggi Guardiola è un professionista fatto e finito.

Ecco, quella conferenza famosa, dove Guardiola risponde direttamente a Mourinho. Scrivi che per il catalano quella fu una “discesa agli inferi”.

Guardiola aveva bisogno di reagire. E infatti, dopo aver parlato in conferenza, entra nel ristorante dove c’è la squadra e tutti si alzano in piedi ad applaudirlo. Come dire, era ora che gli rispondessi. Non credo che Guardiola avesse preparato con cura quel discorso, anche perché parlò solo qualche ora dopo Mourinho. Penso che quella fu una conferenza sincera, di getto, fu, per così dire, la “rabbia dei buoni”. Oggi Guardiola, dovesse ripresentarsi una cosa di questo tipo, sarebbe più pronto, e al tempo stesso non sarebbe una cosa straordinaria come allora.

Barcelona's coach Josep Guardiola (L) and Real Madrid's coach Jose Mourinho shake hand before the Spanish Cup "El clasico" football match Real Madrid vs Barcelona at the Santiago Bernabeu stadium in Madrid on January 18, 2011. AFP PHOTO/ DANI POZO (Photo credit should read DANI POZO/AFP/Getty Images)
Stretta di mano, ma senza sorrisi (Dani Pozo/AFP/Getty Images)

Quando Mourinho vince la Coppa del Re battendo il rivale, leggiamo che è un «vincitore con l’animo ancora in tumulto». Di Guardiola, invece, scrivi che è uno «sconfitto sereno». Cos’è questa serenità?

Era la serenità di chi sapeva di aver fatto il massimo, e che subito dopo si complimenta in campo con quelli del Real – lui e Piqué, nessun altro – e poi in conferenza stampa. Ma è una serenità che non stempera la sofferenza. Nella sconfitta, Guardiola soffre quanto Mourinho, ed è una prerogativa dei più grandi. È il rapporto con la sconfitta che aumenta la dimensione dei vincitori. Ferguson ripeteva: «Non voglio giocatori che perdano e siano tranquilli, voglio giocatori che stiano male dopo una sconfitta, che non dormano la notte, perché poi ci riprovino e diano tutto perché quel sentimento di frustrazione non si ripeta».

Arriviamo all’attualità, alla sfida inglese. Quale dei due progetti ha le premesse migliori?

Sono due progetti trasparenti. Quello dello United è vincere subito, quello del City nel triennio. E non mi meraviglierei se andasse proprio così. Mourinho ha giocatori più pronti di Guardiola: a giocatori come Gabriel Jesus e Sané va concesso tempo per inserirsi. Ma in potenza sono fortissimi.

Nelle prime settimane, chi ha avuto maggior presa sul gruppo?

Entrambi. Il City esibisce già il classico gioco di posizione di Guardiola, e a tratti ha giocato in modo splendido. Lo United nelle prime giornate ha già dimostrato una capacità chirurgica di colpire, tipica delle squadre di Mourinho.