Un architetto per lo sport

È in corso al Maxxi di Roma una mostra dedicata a Pier Luigi Nervi, architetto a cui si devono alcune delle più grandi strutture sportive.

«Lo sport è il reparto giocattoli della vita umana», scriveva il giornalista statunitense Howard Cosell. E gli architetti che ne progettano le strutture sono senza dubbio coloro che sono chiamati a dare una forma riconoscibile a spazi di vita sociale in cui gli atleti si mettono in gioco di fronte ad un pubblico, affrontando delle sfide che ne promuovono l’identità sportiva, etica e civile. «Sfida» è un vocabolo molto familiare anche all’architetto-ingegnere Pier Luigi Nervi, che molto ha dato alla realizzazione di grandi strutture per lo sport, a cui il Maxxi di Roma ha dedicato una ricca mostra aperta fino al prossimo 23 ottobre, Pier Luigi Nervi – Architetture per lo Sport.

Un’esposizione che raduna le sue opere in scala maiuscola (ideate e messe a punto, fra le altre occasioni, anche per le Olimpiadi romane del 1960), e che costituiscono un percorso coinvolgente in una cultura sportiva che intendeva allora presentarsi con un mix di idee ardite e fantasia, soluzioni costruttive originali e una cura estetica affatto particolare. Capace di rendere anche un trampolino per i tuffi – quello dello stabilimento balneare Kursaal al Lido di Ostia (1950) – una sorta di totem moderno a favore di macchina fotografica nonché icona del boom economico italiano del secondo dopoguerra.

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Veduta interna del Palazzetto dello Sport di Roma (1956-59)

È la poesia della forma, quella di Pier Luigi Nervi, unita alla puntuale ricerca progettuale/tecnica; l’attitudine matematica che sposa l’intuizione artistica; la sperimentazione sostenuta dalla concretezza imprenditoriale. «Il più geniale modellatore di cemento armato della nostra epoca» (Nikolaus Pevsner) ha applicato il suo estro di costruttore alle “case” dello sport con la stessa attenzione riservata ai grattacieli come alle chiese, ai viadotti come ai teatri o alle stazioni. E il risultato – quest’anno che Roma è candidata alle Olimpiadi del 2024 – è riconosciuto a livello internazionale nei lavori più significativi che gli affidarono in occasione delle Olimpiadi romane del 1960, a partire dal Palazzetto dello Sport (1956/57) in cui sperimentò il ferro cemento e la prefabbricazione strutturale.

Una vera e propria filosofia dello sport, in quegli anni, non era ancora nata (fu battezzata come tale soltanto nel 1969, quando Paul Weiss della Yale University scrisse il saggio Sport: a philosophical inquiry) ma era già chiaro che dietro le geometrie armoniose di Nervi, le sue coperture perfettamente nervate, il ferro cemento da lui brevettato (1943) utilizzato in modo da conferire aereodinamicità alle strutture, c’era un pensiero originale che teneva conto delle esigenze di chi lo spazio condiviso lo abitava non soltanto con il corpo ma anche con la mente.

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Una veduta dello stadio Flaminio di Roma

«Ha avuto il culto della correttezza costruttiva, anche se prima lanciava un’idea e poi la verificava con le equazioni», dirà l’allievo Paolo Portoghesi. Un architetto, la pensava così Nervi, non poteva essere ignorante in materia di statica come un ingegnere non poteva rimanere insensibile rispetto alla ricerca del bello: ingegnere-architetto-poeta, Nervi coglieva bene l’essenza del gioco, che è tensione all’eccellenza, impegno e preparazione ostinata nel raggiungimento di un risultato, confronto con il limite, passione, sfida sempre rilanciata attraverso cui passa il rafforzamento della propria identità.

Lo sport come fatto culturale parte certamente dagli edifici e dalle strutture che lo ospitano. La mostra Pier Luigi Nervi – Architetture per lo Sport – 22 progetti che raccontano un confronto serrato con il mondo sportivo, dal primo stadio a Firenze costruito nel 1929 al Kuwait Sports Centre del 1968 – rimette al centro proprio la ricerca sul senso dello sport, narrato attraverso le sue strutture leggere e funzionali al tempo stesso.

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L’interno dell’icearena del Darthmouth college di Hanover, New Hampshire

Emblematico il Good Hope Center di Cape Town, in Sud Africa (1964-80), struttura monumentale con una delle cupole di cemento più grandi del mondo, che fra le opere di Nervi si distingue per essere il primo impianto sportivo multirazziale creato fino ad allora. Rivoluzionario soprattutto perché nell’epoca della sua costruzione l’apartheid incoraggiava ancora la segregazione razziale e la messa a punto di percorsi unici fra bianchi e neri appariva davvero come una sfida sociale. Più di cento fotografie, disegni originali, documenti provenienti dall’Archivio Pier Luigi Nervi “tuffano” il visitatore nel dietro le quinte dello spettacolo sportivo, svelando tutto quello che c’è dietro l’ideazione e la progettazione degli scenari della messa in scena della performance agonistica.

Per riportare l’attenzione sulla originalità dell’opera di Nervi, si comincia con l’alzare lo sguardo al soffitto, lì dove l’occhio del tifoso difficilmente arriva: una proiezione su uno schermo rotondo regala a chi segue il percorso creativo di Nervi tre cupole “plissettate”: il Palazzetto dello Sport a Roma (1956-59), il Palazzo dello Sport dell’Eur (1955-59), il Cultural and Convention Center a Norfolk (1965-71). Dall’alto, dall’opera monumentale, al particolare, l’Album 19, da sfogliare per curiosare fra vari provini, fonti personali che fornivano a Nervi interessanti suggestioni per i progetti a venire.

L’esterno del Good Hope Center di Cape Town

Tre sezioni ordinano il percorso lavorativo di Nervi secondo un criterio cronologico e stilistico: Sperimentazioni e innovazioni (1929/49), periodo fertile caratterizzato da innovativi metodi costruttivi, ben simbolizzati dal progetto dello stadio di Firenze Giovanni Berta (1929-32); Campione del cemento (1950/60), periodo in cui forma e costruzione trovano un perfetto equilibrio; dall’Italia al mondo (1961/79), periodo che consacra Nervi come artista affermato a livello internazionale, puntando soprattutto l’accento sulla progettazione degli stadi di calcio, templi moderni del Gioco globale.

Se è vero – come affermano in molti – che lo sport in questi anni sta vivendo “in un contesto di crisi di identità”, la mostra capitolina affascina nel restituire la capacità del creativo Nervi di affrontare volta per volta la sua ambientazione, per donargli una sua esatta fisionomia, un suo preciso carattere. Il “reparto giocattoli della vita umana” merita infatti la massima cura, un investimento sociale che dovrebbe incentivare la crescita personale e lo scambio relazionale. Così almeno sembrano raccomandare i progetti sportivi di Nervi che – come scriveva Leonardo Benevolo – era solito associare «il gusto classico con una avanzata pratica costruttiva».

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Un disegno preparatorio al lavoro per lo stadio di Novara

Una sintesi fra riferimenti imprescindibili del passato e tecniche moderne, che è una lezione attuale di sguardo lungimirante ricco di sapienza e studio. A ben vedere, Nervi nella sua attività creativa è disciplinato e metodico proprio come un atleta, alle prese con la fisica applicata alle costruzioni invece che al corpo umano, ma tant’è: quanti sono oggi i progettisti che come lui riescono ad avere un controllo pressoché totale su tutto il processo di progettazione? L’insegnamento di Nervi è anche quello relativo all’ottimizzazione delle risorse per conseguire il massimo risultato possibile (cosa che ogni sportivo ha ben presente): il Palazzetto dello Sport di Roma (1956/57) costò soltanto 200 milioni delle vecchie lire, e a sorpresa diventò uno dei simboli più celebri delle opere olimpiche.

La domanda che sorge spontanea, dopo i dovuti tributi alla genialità di un architetto-costruttore del Novecento riconosciuto a livello internazionale è: in che stato versano oggi le opere di Nervi, come per esempio lo stadio Flaminio? La manutenzione degli impianti è certamente un tema caldo, visto che tutta l’attenzione mediatica sembra invece assorbita internamente alla costruzione di nuovi impianti, come il nuovo stadio della AS Roma, che fra continui rinvii prosegue il suo travagliato iter costruttivo.

 

 

Nell’immagine in evidenza l’esterno del Palazzetto dello sport di Roma