Innamorarsi di Milik

Le doppiette a ripetizione, tre finora, il sorriso e l'empatia: come, in pochissimo tempo, Napoli ha imparato ad amare Arkadiusz Milik.

Sono giorni questi in cui vorrei essere a Napoli. Mi piacerebbe andare in giro e guardare le facce della gente: entrare nei bar, scambiare due parole col fruttivendolo, col macellaio, col cassiere del supermercato. È il modo migliore per capire come cambia la percezione rispetto a qualcosa di nuovo in una città come Napoli, e quindi per capire com’è l’umore dei tifosi, come sta cambiando (o come è già cambiata) la loro attenzione verso il nostro nuovo centravanti. Cosa mi direbbe stamattina un qualunque passante in via Toledo se gli domandassi di Milik? Non posso saperlo con esattezza, ma posso provare a immaginarlo. So bene come funzionano i tifosi, come funzioniamo, come ci appassioniamo, come cambiamo rapidamente idea, come un colpo di testa, o un gol come quello di sabato al Bologna, possano trasformare un minimo di scetticismo (giustificato o meno) in idolatria. È un attimo, siamo tifosi, pazzi e prevedibili. Facciamo così, da sempre e per sempre. Non credo che funzioni così solo per i tifosi del Napoli, ma forse per noi il processo di trasformazione è più rapido, e nel caso di Milik è ampiamente giustificato.

 

Conoscevo poco Milik, ho cercato i video dei gol realizzati con l’Ajax (credo che l’abbiano fatto in tanti), ho letto degli articoli che parlavano di lui e mi sono fatto un’idea. Ho pensato che il Napoli avesse comprato un ottimo attaccante, di soli 22 anni, e che non bisognava perdere tempo con i paragoni. Furono troppi e sprecati quelli tra Higuaín e Cavani, sono addirittura inutili quelli tra il Pipita e Milik. L’argentino è uno degli attaccanti più forti al mondo, non è più un nostro attaccante e non ci riguarda più. Milik è nuovo, è polacco, è altissimo, ha caratteristiche diverse. Intanto, è molto forte di testa, una novità per il Napoli degli ultimi anni. È un attaccante che viene spesso incontro alla palla, partecipa alla manovra, agevola gli inserimenti dei compagni di squadra. Lo stiamo già vedendo, quest’anno ci saranno molti più gol da parte dei vari Callejón, Mertens, Insigne. Tatticamente è un aspetto molto interessante. Milik, però, non è solo questo. Ha un grandissimo piede sinistro ed ha notevoli capacità (e facilità) di inserimento. Il primo dei due gol realizzati sabato scorso è un capolavoro. Taglio perfetto dietro i difensori a suggerire l’assist di Hamsik e pallonetto sull’uscita del portiere. Si è integrato velocemente negli schemi del Napoli, perché è bravo lui ed è bravo l’allenatore. Forse deve migliorare nel primo controllo, dove può sembrare un po’ macchinoso e in qualche altra cosa, al momento di secondaria importanza, ma sono certo che lo farà.

 

Se facessi quella passeggiata scoprirei in pochi minuti che in città lo si ama già, e questo è dovuto a due motivi, uno più immediato, più facilmente individuabile, l’altro meno scontato ma altrettanto importante. Il primo motivo ha a che fare con la maglia. Chi tifa ama la maglia, la possiede, ne rivendica la proprietà e un diritto originario. Quell’amore, che è destinato a durare per sempre, quasi automaticamente viene riversato su chi quella maglia la indossa. Per questo chi se ne va, che lo si ammetta o meno, per un po’ è (deve essere) odiato. Tu togli la maglia che amo, ne scegli un’altra, e io ti odio. La passione vince sempre sulla ragionevolezza, almeno per un po’. La maglia resta lì in attesa che qualcosa di degno arrivi a riempirla, la renda sua, la porti alla vittoria, la indichi battendosi il petto in caso di gol. Questo discorso vale per tutti i ruoli, ma con tempistiche diverse: per un attaccante il processo è molto più rapido. Qualunque fosse la persona a cui farei la domanda la risposta sarebbe una sola, e arriverebbe prima con gli occhi che con le parole: il trasferimento maglia/Milik è già avvenuto, e siamo solo a settembre. È cominciato con la doppietta al Milan, si è fatto luce con in due gol in Champions League, è esploso con forza dopo le due reti segnate, in poco più di dieci minuti, al Bologna. Da piazza Dante al Museo, dall’Arenella ai Quartieri, da via Marina a Fuorigrotta, dal Vomero a Secondigliano, non ci sarebbero dubbi: Milik è il nostro centravanti e lo amiamo già. Questo è l’aspetto romantico della questione, il secondo aspetto è psicologico, quasi scientifico e riguarda il sorriso.

NAPLES, ITALY - SEPTEMBER 17: Arkadiusz Milik of Napoli celebrates after scoring goal 3-1 during the Serie A match between SSC Napoli and Bologna FC at Stadio San Paolo on September 17, 2016 in Naples, Italy. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)
Arkadiusz Milik esulta dopo la seconda rete contro il Bologna (Francesco Pecoraro/Getty Images)

Milik sorride, lo fa molto spesso. Sorride quando segna ed esulta, la felicità invece della rabbia. Sorride quando è seduto in panchina. Milik è contento, credo che conosca la fortuna che ha, che se ne renda conto. Sa di avere 22 anni e di giocare in una squadra forte, sa quanto può dare e non ha paura. Non teme paragoni, semplicemente perché non esistono. Lui è Milik ed è venuto a Napoli contando di fare ciò che sa fare, e lo sta facendo. Sorride perché giocare a calcio è un privilegio, sorride perché ha capito che questa è un’occasione importante in una città bellissima. Sì, sorride pure perché è ben pagato. Io credo la capacità di sorridere di Milik agisca inconsciamente sulla percezione dei tifosi. Si chiama empatia, si chiama bellezza. Nessuno penserebbe al sorriso come prima risposta, ma è quella la risposta più importante. Dopo un’estate a dir poco complicata, per i tifosi, ritrovarsi a settembre con un attaccante che manifesta in ogni istante la propria gioia, nel portare la maglia, è come vivere dentro una costante accelerazione sentimentale.

 

Se chiedessi a un passante, ora, se gli domandassi che cosa gli sembra di questo Napoli dal quale è sparito il Sudamerica, di questo Napoli così europeo, di questo Napoli africano, scrollerebbe le spalle, sorriderebbe, ma niente di più. In questa fase il Sudamerica è alle spalle, riguarda i ricordi, è il passato, nessuno dimentica, è tutto scritto, è tutto mandato a memoria. Il passante forse mi direbbe che è bello avere un centravanti polacco, perché un attaccante è prima di tutto un uomo e ogni uomo porta con sé la storia della propria terra. Milik è arrivato qui per giocare e segnare, ma non è arrivato solo, ha portato i suoi anni precedenti, il freddo degli inverni di Tychy, la sua città, e quelli di Zabzre, città del Górnik, una delle sue prime squadre. Milik ci consente di scoprire posti nuovi, con nomi nuovi. Di Buenos Aires e Montevideo sappiamo tanto, sono luoghi di calcio e letteratura, ma non sono i soli. Ci costringe a uno sforzo di pronuncia e di scrittura, rispetto al nome Arkadiusz, ci spinge verso il nuovo. Il tifoso istintivamente ama, ma poi impara. Il tempo ci dirà quanta storia nuova scriverà Milik a Napoli, ma intanto la nostra curiosità ci deve aprire alla sua storia passata, impariamo i nomi delle squadre polacche, immaginiamo quei campionati in bianco e nero di cinquant’anni fa, che di River Plate e Boca Juniors, come Pavese scriveva del mare, ne abbiamo avuto abbastanza.