Baggio minore

Importanza di Dino Baggio, centrocampista essenziale e prezioso, vissuto all'ombra di un omonimo troppo ingombrante.

È l’estate del 1994, ho 9 anni e gioco a calcio dalla mattina alle 10 fino a ora di pranzo. Un orario variabile a seconda delle esigenze. Se siamo riusciti a trovare abbastanza gente per imbastire sfide allargate il tempo si estende all’infinito, si dilata come la plastica dei palloni con cui giochiamo, deformati del calore di giornate estive ripetute in serie. Quell’estate reiteriamo un rituale fatto di bibite gassate, partite viste davanti a televisori pesanti.

Italia ’90 era stato il Mondiale dell’incoscienza, vissuto con ansia fino all’inizio delle gare e poi dimenticato nel sonno di sere stanche. Il 1994 è la consapevolezza di sapere amare, è l’intensità di sentimenti ancora acerbi, il terremoto di Los Angeles, l’urlo di Munch trafugato a Oslo, Ilaria Alpi, Mogadiscio. Arriva il Mondiale: l’anno si fa più caldo ancora quando lo spettro di Ray Houghton, in Irlanda-Italia, ci intimorisce. Sui giornali la disputa “Baggio o Signori”, sui campetti invece il “vorrei essere Albertini, vorrei essere Baggio. Dino però”. Prima del settantesimo di Italia-Norvegia abbiamo paura di scomparire, come se il Mondiale diventasse all’improvviso un disastro ineludibile rigettandoci tutti in giornate ancora uguali, belle ma senza quell’ansia dei Bernal, dei García Aspe.

8 Apr 1995: Dino Baggio (centre) of Parma AC takes on Paolo Maldini (left) and Roberto Donadoni (right) of AC Milan during a Serie A match at the Ennio Tardini Stadium in Parma, Italy. AC Milan won the match 3-2. Mandatory Credit: Allsport UK /Allsport
Dino Baggio in uno scontro di gioco con Paolo Maldini e Roberto Donadoni durante una gara di Serie A allo stadio Ennio Tardini di Parma (Allsport Uk/Allsport)

Quando Baggio frantuma di testa i fiordi norvegesi sono sul divano di casa che urlo, almeno credo. Baggio è Dino, perché Roberto è uscito guardando prima Sacchi e poi il campo, quasi a non volerlo lasciare. In porta c’è Marchegiani e il resto della partita è la paura di ogni cross, la paura per le ginocchia di Baresi. Siamo la peggiore delle terze ma interessa poco a tutti; sfogliando avidamente le pagine di un Guerin Sportivo guardo i cancelli che custodiscono i capannoni di fronte casa, cancelli che all’occorrenze diventano porte dove immagino di essere Del Piero, Maldini, Albertini, Baggio: Dino però. Quando ai quarti affrontiamo la Spagna, ancora lontana dai fasti dei centravanti fallaci, del juego de posición, è ancora “l’altro Baggio” a portarci in vantaggio con un destro da molto lontano; fosse esistito Youtube avremmo riguardato quella tecnica di calcio, anelando un goccio di quella precisione. Un colpo secco e sordo che traccia una diagonale perfetta che allarga la rete giusto alle spalle di Zubizarreta. Il resto è già stato scritto nella storia: un racconto di malìa e sconfitta.


Punizione di Signori e inserimento di Dino Baggio: ottavi di finale

Da Camposampiero a Caldogno ci sono una quarantina di chilometri di distanza, nemmeno un’ora di macchina. Da Baggio a Baggio, dalla provincia di Vicenza a quella di Padova, Dino è rimasto incastrato nella mitopoiesi del codino, della divinità calcistica più grande che il nostro paese abbia generato. Per tutti Dino è il Baggio minore, più giovane rispetto al vicentino di quattro anni, e contrapposto all’unicità apollinea di Roberto ha dovuto faticare il doppio per avere il proprio posto negli albi.

È il 17 novembre del 1993, l’Italia affronta il Portogallo a Milano e non può perdere. Per qualificarci a Usa ’94 abbiamo bisogno almeno di un pareggio. Siamo a pari punti con i lusitani secondi, mentre la Svizzera, con cui abbiamo pareggiato l’andata in casa e perso al ritorno è a un punto soltanto. Siamo avvantaggiati dalla vittoria in Portogallo del febbraio precedente, anche qui l’ultimo dei tre gol l’ha segnato Dino. All’ottantatreesimo Benarrivo lancia un pallone nel nulla, tanto per perdere tempo. Vítor Baía, Couto e Paulo Sousa, la palla risale in verticale. Su rinvio ancora di Benarrivo il pallone arriva a Dino Baggio, Mancini – in un’inusuale posizione di mezz’ala – serve di esterno un pallone che corre in profondità verso il limite dell’area portoghese. Baggio ha tagliato il campo in diagonale per andare a recuperare la palla che aveva toccato pochi secondi prima, un’azione da centrocampista boxtobox in anticipo sui tempi. Baggio 2 per Baggio 1, tirato ribattuto ma è ancora Baggio 2 che segna. Siamo al Mondiale.


Da Baggio a Baggio, l’Italia batte il Portogallo

Dino Baggio, nonostante il declassamento a “Baggio di ripiego” ha sempre avuto quella capacità di risultare decisivo senza apparire sotto i riflettori. Archetipo dello scudiero fidato che ogni allenatore si porterebbe volentieri con sé. Mondonico lo fa debuttare in A nella stagione 1990/91, dove segna la rete decisiva in un Torino-Cesena 2 a 1 giocato da terzino, o almeno così lo colloca tatticamente il telecronista Rai. È un Toro risalito in A vincendo il campionato di Serie B. Ci sono Fusi, Cois, Martín Vázquez, Gargo, Scifo, Casagrande, Vieri e un Lentini lontano ancora da una triste cupio dissolvi. Un’annata felice in cui la lucentezza di Baggio è tale che si interessa a lui la Juventus. Prima di arrivare dall’altro lato della Mole Baggio funge da conguaglio per l’arrivo di Trapattoni sulla panchina bianconera. I giornali titolano “L’Inter s’accontenta“, un ragazzino dal veneto operaio e che si lascia dietro pochi ricordi, un depauperamento di aspettative. Quando arriva definitivamente in bianconero Dino è subito decisivo. Centrocampista meno euclideo di Albertini ma con altre qualità: Baggio sa correre in verticale e attaccare lo spazio alle spalle delle difese avversarie, è fondamentale per l’allora imperante gioco di rottura, sa leggere perfettamente le situazioni di gara. Ha le gambe infrangibili e la corsa sicura: soprattutto, sa segnare. Bearzot arriva a definirlo “un fenomeno”.

Nella doppia sfida contro il Borussia Dortmund segna tre volte tra andata e ritorno, ancora oggi è il record di una finale Uefa. Fondamentale nel pareggiare il gol di Rummenigge in Germania, a Torino segna su assist di tacco di Vialli praticamente subito, di sinistro. Se provassimo a risolvere l’equazione del centrocampista perfetto di quegli anni, Dino Baggio sarebbe tra i primi, senza dubbio. Quella Uefa 1992/93 porta il suo nome inciso ovunque. In un pantano acquitrinoso di Olomouc ha realizzato una rete a coefficiente di difficoltà inverosimile, da 40 metri coordinandosi rapidamente con il destro; a Torino segna il momentaneo due a zero staccando di testa altissimo, con il tempismo di chi ha provato gli inserimenti in maniera ossessiva. È la sua Coppa Uefa. A 21 anni ha già vinto una coppa europea e un Europeo Under 21.

LOS ANGELES - JULY 17: Romario of Brazil takes the ball past Dino Baggio of Italy during the FIFA World Cup Finals 1994 Final between Brazil and Italy held on July 17, 1994 at the Rose Bowl, in Los Angeles, USA. The match ended in a 0-0 draw after extra-time, with Brazil winning the match and final 3-2 on penalties. (Photo by Mike Hewitt/Getty Images)
Dino Baggio contro Romario durante la finale di Coppa del Mondo del 1994 (Mike Hewitt/Getty Images)

La carriera di Dino Baggio è stata scritta sull’alternanza con il Baggio maggiore e dai passaggi di piazza in piazza unendo dove l’odio divideva. Dalla Juve arriva a Parma, dove ancora oggi è ricordato come uno dei giocatori più importanti passati in Emilia. Qui pianta radici spesse dopo la seconda stagione bianconera chiusa con sole 17 presenze, per Trapattoni è un giocatore sacrificabile e nonostante Dino abbia scelto il Milan si ritrova al fianco di Benarrivo, Apolloni e Mussi. Una scelta che risulterà capitale per una parte della storia calcistica italiana. Nell’autobiografia Gocce di Baggio racconta dell’incredulità di Roberto, l’altra metà del dittico dei Baggio anni’90, che l’avrebbe voluto ancora a Torino con sé. Gli anni ducali sono la sublimazione del concetto di culto. Sei anni in cui Baggio vince due volte la Coppa Uefa, sfiora la vittoria di un campionato e soprattutto domina in Italia e in Europa. Da Scala a Malesani passando per Ancelotti, da Minotti e Asprilla a Cannavaro, Thuram, Almeyda, Crespo e Chiesa. Mentre il tempo scorre, Dino continua a fare da legante, da trait d’union tra eoni calcisticamente così lontani. Tra la Uefa del ’94 e quella vinta nel 1999 contro il Marsiglia di Porato e Gourvennec soltanto lui e Sensini partono titolari in entrambe le gare, Stefano Fiore subentrerà in tutte e due le occasioni.

Di Dino Baggio a Parma ricordiamo un gol in tuffo di testa contro l’ormai odiata Juventus (la vendetta), uno al Milan in rovesciata con i piedi quasi a lambire il limite dell’area di rigore e la gara di Cracovia contro il Wisla, portata a termine nonostante un coltello aperto schiantatosi sul suo cranio. Dino silenzioso, il Baggio umile e minore che difficilmente ha fatto parlare qualcosa che non fosse il campo. Dino è stato il Baggio multitask, di lotta e governo; di rovesciate e piedi cortesi, inserimenti e forza esasperata. Un concentrato di caratteristiche che anche oggi risulterebbero fondamentali.


Dino in rovesciata, al Tardini contro il Milan. Il povero Taibi fatica a capire cosa sia appena successo

Intorno al trentesimo di un Parma-Juventus che può valere una stagione, entra duro su Zambrotta, un intervento carico di rabbia, Farina gli mostra il rosso e Dino si trasforma: fa il gesto dei soldi, dice qualcosa all’arbitro. In un’intervista di ormai dieci anni fa accusa la Juve di avergli rovinato la carriera: il sistema lo ha emarginato dopo quel gesto, troppo plateale. Arriva alla Lazio che sta vivendo gli ultimi raggi dell’era Cragnotti, colleziona un totale di 61 gare e una solo rete, potente e perturbante ancora contro il Milan. Ma sono gli atti conclusivi di una carriera chiusa con il mobbing di Lotito, uno degli ultimi reduci dell’epoca cragnottiana, messo fuori rosa perché non intenzionato a “moralizzare” il proprio stipendio. Passa per l’Inghilterra e per Ancona, chiude la carriera a Trieste, in B, dopo tre partite soltanto cede al volere del proprio corpo. Il Baggio minore si è arreso mentre più o meno negli stessi anni l’altro Baggio, quello iridescente e splendido continuava a giocare e mostrare magie sui campi di A. Mentre l’idea che abbiamo di Dino sbiadisce con il passare del tempo, resta l’immagine sicura di uno dei centrocampisti più capaci della propria generazione. Il Baggio minore che avrei voluto essere.