Nel nome del padre

Come Giovanni Simeone è riuscito a emanciparsi dalla figura ingombrante di un padre troppo importante. Gol, tecnica e allenamento costante.

Il 5 luglio del 1995 Diego Pablo Simeone è a Paysandú, Uruguay, con la Nazionale argentina. In serata la Celeste inaugurerà la trentasettesima edizione della Copa América contro il Venezuela e il Cholo sta aspettando con i compagni di esordire contro la Bolivia. Lo stesso 5 luglio del 1995, a novemila ottocento chilometri da Simeone, Carolina Baldini, moglie del Cholo, è in un ospedale di Madrid per mettere al mondo il suo primo figlio: Giovanni. Quasi venti anni dopo, il 14 gennaio 2015, Diego Pablo Simeone è a Madrid, alla Ciudad Deportiva, che studia come battere il Granada, dopo aver perso pochi giorni prima in casa del Barcellona. Lo stesso 14 gennaio 2015, ai soliti novemila ottocento chilometri di distanza, Giovanni è negli spogliatoi dell’Estadio Profesor Alberto Suppici di Colonia, Uruguay, che aspetta di esordire con la Nazionale argentina nel Sudamericano Under 20. Quella sera segnerà tre gol e a fine competizione sarà capocannoniere con nove reti, proprio come Neymar quattro anni prima.

La storia intrecciata dei due Simeone ricorda l’accezione circolare del tempo di Gabriel García Márquez in Cent’anni di solitudine. Il tempo che porta padre e figlio negli stessi luoghi, alla stessa distanza, ma in tempi diversi. Cent’anni di solitudine racconta anche di come ciascun essere umano sia condannato a vivere, lottare e soffrire in solitudine. Simeone, finché il padre è in Argentina, agogna questa lotta in solitudine, così da potersi allontanare da un paragone contraddittorio dal quale non può fuggire. Il confronto con Diego è stato molto pesante da affrontare per Giovanni che, soltanto dopo aver vinto da capocannoniere il Sudamericano Under 20, si è sentito legittimato a parlare del duro rapporto che ha avuto con il suo cognome e tutto quel che rappresenta. «Da quando sono nato sono sempre stato “il figlio di”. Nel corso del tempo ho voluto dimostrare che io sono Giovanni. Quando ero più giovane ho avuto problemi per questo, a tredici anni tutti pensavano fossi al River per via di mio padre. Mi ha infastidito molto».

Uno dei post su Instagram di Giovanni recita: «La chiamano fortuna invece è costanza, la chiamano casualità invece è disciplina, li chiamano geni però è sacrificio. Gli altri parlano, tu allenati». Credo che questa frase rappresenti le fondamenta sulle quali si basa il cholismo: la cultura del lavoro, del sacrificio e della disciplina. Diego, conscio di essere la causa della pressione sul figlio, ha cercato di emarginarsi il più possibile dalla sua vita calcistica, ma la sua influenza è chiara sia nella sua vita privata, sia nell’atteggiamento in campo: tre falli commessi, un cartellino giallo e dodici contrasti aerei nei suoi primi 154 minuti giocati in Serie A danno l’idea di quanto la tipica garra sudamericana del Cholo sia geneticamente presente in Simeone junior. Giovanni sintetizza la complessità del rapporto padre-figlio in una frase: «Se mi chiamasse il Real Madrid? Per chiunque sarebbe un sogno, un traguardo. Io però per tutto quello che devo a mio padre e alla mia famiglia non mi metterei nemmeno a trattare, sarebbe un tradimento». E Diego, di rimando: «Ha fame, voglia ed è un ragazzo che ascolta, e lavora molto per la squadra. Gli voglio molto bene, di calcio però parliamo poco. Non mi è mai piaciuto intervenire sugli aspetti del suo gioco. Parliamo della vita, che è molto importante».

Per affermarsi, per emanciparsi da un cognome così pesante, El Cholito è stato costretto ad aspettare che l’ombra di suo padre fosse abbastanza lontana, in modo da poter finalmente vivere sotto luce propria e non più sotto una riflessa. I ventisei gol in ventidue presenze nell’accademia del River sono il biglietto da visita per il quale Ramón Díaz gli consente di allenarsi con la prima squadra a soli sedici anni ed iniziare un percorso di crescita che lo porterà ad essere l’attaccante che è oggi. La stagione e mezzo in cui si allena con la prima squadra significa moltissimo nella sua formazione calcistica e di uomo. Lucio Dalla, in una delle sue canzoni più belle e irriverenti, Disperato erotico stomp, cantava «L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale»: l’impresa diventa ancora più eccezionale se normali non si è per niente. L’essere figlio del Cholo e la media di quasi 1,2 gol a partita nella stagione precedente avrebbero potuto far sentire Giovanni al di sopra dei suoi compagni. Così non è stato, ma Diego ha imparato comunque a essere un leader: lo ha dimostrato, per esempio, alle ultime Olimpiadi, quando si è preso la responsabilità della brutta figura insieme a tutta la squadra, pur avendo giocato solo trentotto minuti.

BUENOS AIRES, ARGENTINA - MARCH 28: Diego Simeone pauses with his children Giovanni (L) and Gianluca (R) after he received a silver plate for playing 100 matches for Argentina in the Monumental Stadium of Buenos Aires, Argentian, after a match against Venezuela for the Japan-Korea 2002 World Cup qualification. Diego Simeone posa con sus hijos Giovanni (I) y Gianluca (D) luego de recibir la placa recordatoria que le entregaron al cumplir cien partidos con la camiseta de la seleccion Argentina con el partido frente a Venezuela el 28 de marzo de 2001 en el estadio Monumental de la ciudad de Buenos Aires. Argentina vence 3-0 a Venezuela al promediar el segundo tiempo del partido por la decimoprimera fecha de las eliminatorias sudamericanas para la copa del mundo Corea-Japon 2002. (Photo credit should read MIGUEL MENDEZ/AFP/Getty Images)

Uno scatto di famiglia: Diego Simeone insieme ai figli Giovanni (a sinistra) e Gianluca (a destra) (Miguel Mendez/Afp/Getty Images)

Federico Buffa dice che ad un argentino non si possono togliere due cose: la parrilla e il centravanti. Nell’anno e mezzo che precede il suo esordio, Giovanni in allenamento ha la possibilità di studiare come diventare un vero nueve da Cavenaghi, Trezeguet e Teo Gutiérrez. Imparerà da tutti e tre, fondando il suo gioco sullo spirito del padre e sulle caratteristiche dei compagni che troverà nel corso della carriera. Il primo gol lo segna l’8 settembre 2013, a diciotto anni e due mesi, dopo un anno e mezzo di apprendistato. È il 2-0 contro il Tigre: Giovanni sfrutta il recupero al limite dell’aria e l’assist nello spazio, con tunnel magnifico, di Lanzini e di destro colpisce forte e preciso insaccando sotto la traversa. In fase di possesso Simeone galleggia spesso sulla linea dei difensori per ricevere l’assist in profondità: in quella situazione, aiutato da una grande capacità di coordinarsi nel breve, dal fatto di essere ambidestro e da una grande velocità sullo scatto (con il Napoli ne ha fatto registrare uno a 32km/h), la prima opzione è sempre il tiro in porta dopo massimo uno-due tocchi.

Nella stessa stagione in cui suo padre vive il momento più alto da allenatore, con la vittoria della Liga, Giovanni vive emozioni diverse da calciatore. Con la partenza di Ramón Díaz e l’arrivo di Marcello Gallardo, il grande spazio avuto nella stagione precedente diminuisce sensibilmente. Giovanni colleziona appena quattordici presenze, delle quali dieci da subentrato, ma trova anche il modo di rendersi protagonista nella sua prima vera, grande vittoria nel club. Tra il 17 e il 23 ottobre 2014 Simeone Jr segna all’andata e al ritorno contro il Libertad agli ottavi di Copa Sudamericana, portando la squadra ai quarti. Il River vincerà la Copa in finale contro l’Atlético Nacional, dopo aver eliminato anche il Boca Juniors. Diego, a cui chiedono come abbia visto il figlio contro gli Xeneizes, risponde col distacco con il quale ha sempre cercato di aiutare suo figlio: «Bene, come tutta la squadra». Niente di più, niente di meno che i suoi compagni.

Argentina's forward Giovanni Simeone, celebrates his goal against Paraguay during their South American U-20 football match at the Centenario stadium in Montevideo on February 4, 2015. AFP PHOTO / PABLO PORCIUNCULA (Photo credit should read PABLO PORCIUNCULA/AFP/Getty Images)
Giovanni Simeone festeggia un gol contro il Paraguay durante il Sub 20 (Pablo Porciuncula/Afp/Getty Images)

A fine stagione, Simeone vuole più spazio. Rifiuta l’approdo in Serie A, destinazione Palermo, preferendo misurarsi in prestito al Banfield: «Ero molto entusiasta dell’interesse dei rosanero, ma non credo fosse il momento giusto per arrivare in una piazza simile. Un giorno comunque sarò in Italia, mi sto già esercitando con la lingua. Ora penso a far bene con il Banfield». Con il Taladro Giovanni trova finalmente il minutaggio e la fiducia di cui ha bisogno, grazie anche alla presenza in panchina di Matias Almeyda, uno dei più grandi amici del padre e suo compagno di squadra nella Lazio dello scudetto, che Giovanni ringrazia segnando subito all’esordio con una delle specialità di casa Simeone: il colpo di testa.

Se accumunare i due Simeone in campo sembra al limite dell’impossibilità, il colpo di testa è una delle doti tramandate di padre in figlio in famiglia. Giovanni, pur non avendo a disposizione i centimetri di molti suoi pari ruolo (è alto “solo” 181 centimetri), annovera tutte le skills che lo portano ad essere un problema per le difese avversarie sui cross alti. Simeone riesce molto bene ad anticipare il marcatore, sfruttando una buona vista periferica, che gli permette di guardare anche il movimento dell’avversario; riesce anche a rendersi pericoloso in situazioni di calci da fermo, evitando il contatto con il marcatore prima della battuta e scattando, solitamente sul primo palo, al momento del calcio. 

Minuto 1:19, il colpo di testa di papà.

Nella conferenza di presentazione in biancoverde, Giovanni ammette con molta sincerità di come il padre gli abbia consigliato di andare al Banfield, ma dà moltissima importanza anche al fatto che la decisione finale sia stata sua. Sua e sola sua. Con Almeyda, Giovanni gioca molto spesso in un 4-4-2 come attaccante in coppia con l’ex Fiorentina Santiago Silva. Se Almeyda è importante per essere il primo allenatore a puntare sulle doti di Simeone, chi lo renderà ancora più adatto al calcio italiano ed europeo sarà Julio Falcioni, che sostituisce l’ex compagno di Diego a metà stagione. Con Falcioni, Simeone si trova a giocare in un contesto di squadra perfetto per esprimere al meglio le sue doti. Il Banfield, al contrario di molte squadre sudamericane, gioca un calcio di possesso nel quale le due punte devono soprattutto cercare di non dare riferimenti agli avversari e sfruttare le imbucate dei compagni. Simeone è nel suo habitat naturale e arriva a giocare trentuno partite, nelle quali mette a segno dodici reti. Nell’occasione della sua unica doppietta a vederlo ci sarà anche Almeyda, ormai ex allenatore, ma che tiene così viva la connessione con Diego.

Osservandolo giocare, la caratteristica che più colpisce di Gio è la costante presenza in area di rigore. Il Cholito ha la capacità di intuire sempre con anticipo lo sviluppo dell’azione offensiva, e quindi la direzione che prenderanno le seconde palle arrivando per primo alla deviazione sotto porta. Inoltre ha la capacità innata di farsi sempre trovare al posto giusto quando un compagno ha la possibilità di crossare e servirlo in profondità, grazie al continuo movimento sulla linea dei difensori avversari, dedito sia a confondere il marcatore sia a trovare lo spazio giusto dove infilarsi. 


Stop morbido, corsa potente: un’azione da vero numero nove

Il prosieguo della carriera di Simeone è in Italia, come se un’altra volta il tempo circolare di Cent’anni di solitudine spingesse troppo forte perché il figlio segua le orme del padre. Giovanni preferisce Genova, dove sa di trovare una folta colonia argentina, a Pescara. Nella conferenza stampa di presentazione, le domande sul Cholo si sprecano. «Stessa voglia e stessa grinta? Impossibile fare diversamente, lui vive il football tutto il giorno, dal campo alla tavola». Ammirazione che esprimerà anche dopo aver segnato la sua prima rete in campionato: «Se mi avesse marcato lui? No, probabilmente non avrei segnato».

 

Nell’immagine in evidenza, Giovanni Simeone in acrobazia durante le Olimpiadi brasiliane (Matthias Hangst/Getty Images)