La colonna

Sergio Busquets è forse il giocatore meno celebrato della Spagna e del Barcellona: eppure, in qualche modo, ne è l'elemento più indispensabile.

La prima impressione è quella che conta. Nel caso di Sergio Busquets, che una sera di primavera del 2010 al Camp Nou cadde folgorato dopo una mezza manata di Thiago Motta, e tra un rantolo e l’altro si aprì una fessura fra le mani premute sul volto cercando di indovinare attraverso lo spioncino così ottenuto se l’arbitro aveva abboccato alla recita, si può ben capire che la prima impressione suscitata presso il pubblico italiano sia stata pessima. Non lo avevamo ancora visto all’opera così di frequente, prima di allora, e le poche volte che ci era capitato di assistere a una qualche performance del Barça guardioliano i nostri occhi erano tutti per Messi e i «bajitos», non certo per lui. Lui era il giocatore invisibile, l’invitato al party che passa tutta la sera col bicchiere in mano ad aspettare invano che qualcuno lo noti, l’intruso di una trinità di centrocampisti canteranos in cui Xavi era il padre, Iniesta il figlio, e lui uno spirito – avremmo scoperto nell’occasione – tutt’altro che santo.

Quella sera, per la prima volta, ci accorgemmo di Sergio Busquets grazie agli occhi ficcanaso di una telecamera che per un istante inquadrarono i suoi, cogliendo nell’impostura dello sguardo l’immagine definitiva del cattivo perfetto. Da allora il suo nome non manca mai nei vari top-11 dei giocatori più balordi e detestati del pianeta: la simulazione, si sa, è arte che tra gli appassionati gode di bassissima considerazione, al contrario di un virile intervento in scivolata a gambe unite, e Busi ne è abbastanza consapevole da non aver mai finto di non essere uno che finge.

Spain's midfielder Sergio Busquets (R) and Czech Republic's midfielder Tomas Rosicky vie for the ball during the Euro 2016 group D football match between Spain and Czech Republic at the Stadium Municipal in Toulouse on June 13, 2016. / AFP / PASCAL GUYOT (Photo credit should read PASCAL GUYOT/AFP/Getty Images)
In uno scontro con Rosicky, agli ultimi Europei (Pascal Guyot/AFP/Getty Images)

Il fatto è che nel frattempo, al di là di questa indissimulabile e ostinata propensione all’enfasi recitativa, da sotto il mantello dell’invisibilità è emerso un fuoriclasse vero, e continuare a inchiodarlo a quell’iconografia da bastardo di professione rischia quantomeno di distorcere la prospettiva storica. Perché nel Barça che da quasi dieci anni incanta il mondo Busquets è quello che conquista più palloni e ne perde di meno (con la Juve a Berlino appena uno in novanta minuti); quello che fa in modo che la palla transiti pulita e sicura dai piedi del portiere a quelli di Messi e che sa metterla in sicurezza  nelle zone più selvatiche del campo in attesa di rinforzi; quello che copre Piqué quando a questo salta il ghiribizzo di cercare il gol e che si sdoppia quando gli attaccanti sono troppo stanchi per abbassarsi a dare una mano.

Lontani in tempi in cui uno dei più autorevoli giornalisti sportivi iberici, Santiago Segurola, definiva Busquets «il segreto meglio custodito del calcio mondiale», oggi chiunque abbia un minimo di intelletto calcistico – cioè non i compilatori delle liste per il Pallone d’Oro, per essere chiari – sa benissimo che senza di lui il Barça, semplicemente, non è. Lo sa Luis Enrique, che lo toglie dal campo solo quando il risultato lo consente; lo sa Vicente Del Bosque, che a chi gli chiede in quale giocatore vorrebbe reincarnarsi, da anni risponde: «Busquets, sin duda»; lo sa Guardiola, che è stato il suo primo mentore e trovò in lui, più ancora che in Xavi, il punto di equilibrio del tiqui-taca; lo sanno Messi, Suárez e Neymar, a cui senza Busquets non arriverebbero palloni, oppure arriverebbero cocomeri ingiocabili; lo sanno infine negli uffici del Camp Nou, dove gli hanno appena rinnovato il contratto fino al 2021, con una clausola di rescissione da 200 milioni di euro.

L’importanza di Busquets, in un video che ripercorre la scorsa stagione

Il che potrà sembrare un’esagerazione, per un calciatore apparentemente lento, che segna pochissimo e che, a differenza dei compagni di squadra, non è uso decorare il proprio gioco con scenografiche skills da Playstation. E tuttavia, l’unico modo per resistere alla corte del City di Guardiola, «l’unica persona insieme a mia moglie» – così ha confessato Busi – «che potrebbe convincermi a lasciare il Barça». Perché la storia recente dimostra che a Barcellona si può sopravvivere all’addio di Xavi, forse persino a quello di Iniesta, ma il giorno in cui dovesse venire a mancare Busquets sarà impossibile trovare un altro fuoriclasse così abile nel fingersi invisibile.

 

Tratto dal numero 9 di Undici. Nell’immagine in evidenza, un contrasto tra Sergio Busquets e Graziano Pellè in Italia-Spagna di Euro 2016 (Pierre-Philippe Marcou/AFP/Getty Images)