Il brand Beckham

Da calciatore a vetrina commerciale: come si inventa il "marchio" Beckham, icona di consumo ed etichetta per infiniti target.

Questo testo è tratto da 91° minuto: Storie, manie e nostalgie nella costruzione dell’immaginario calcistico, di Giacomo Giubilini, minimum fax.

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Per essere Beckham non c’è più bisogno di un passato biografico preciso: quando s’incarna l’icona di una complessa civiltà dei consumi, che per funzionare non può radicarsi nella pesantezza di un apparato valoriale, di un ricordo certo, di uno spigolo reale, non c’è bisogno di un passato. Beckham non è più il calciatore che deve correre e sgobbare, sgomitare dall’inizio alla fine per essere titolare e assecondare i dettami di un vecchio saggio.

Per capire l’importanza simbolica del personaggio, approdo di un processo economico che trova in lui una sintesi, bisogna analizzare le logiche di consumo e di marketing che hanno creato Beckham come brand. Non più l’atleta ma il marchio, non più l’uomo concreto sbozzato dalla vita e dal caso, ma il proteiforme prodotto di un design esistenziale, l’icona intangibile e plastica, utile per i contesti e i mercati più vari. Utile perché in grado di scomparire e riemergere, di marchiare con la sua figura qualunque prodotto. Non si riesce a raccontare Beckham utilizzando la sua biografia di uomo e calciatore, le svolte della sua professione, gli inciampi, i trionfi e le cadute, ma si riesce a capire il successo di Beckham ricostruendo il processo che l’ha portato a essere davvero impersonale, etichetta per merce varia, brand spendibile in un ambiente globale.

NEW YORK - JUNE 1: English soccer star David Beckham kicks soccer balls towards a goal set up on a raft in the East River, with the Brooklyn Bridge and the Manhattan skyline in the background on June 1, 2005 at the Brooklyn Bridge Park in the Brooklyn borough of New York City. (Photo by Ezra Shaw/Getty Images for adidas)

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Il «problema Beckham» è affascinante proprio per la possibilità di vedere in lui il punto di arrivo di un processo. Sebbene si parli ancora nostalgicamente di un calciatore, sebbene si possa raccontarlo cercando di trovare un contenuto biografico fatto di giri di boa, la vita di un atleta e la sua storia, un uomo e il suo vissuto, Beckham può essere davvero inteso soprattutto con un approccio puramente erotico, epidermico ed emozionale. Questo ci chiede Beckham ogni volta che appare in televisione, su un manifesto, su una copertina e in ogni spot o profumo che lo monumenti ed eterni. Il Beckham venduto nel mondo non è l’espressione di un’interiorità, di un’unicità spinosa che possa polarizzare e creare attriti. Non si vende una biografia agonistica che divida tifosi, detrattori, ammiratori, esegeti. Beckham funziona perché ha sepolto per sempre l’idea che il giocatore possa essere in primo luogo bravo nel suo sport. Beckham funziona perché è l’incarnazione del concetto che in una società post-moderna crea riconoscimento reciproco, comunità di valori, argine identitario necessario per facilitare i consumi e le scelte: il brand.

La sua biografia è una narrazione di accumuli merceologici, una stratificazione di marche che lo riguardano, una vetrina che si aggiorna continuamente, in cui la plasticità e spendibilità sono assicurate dal fatto che non c’è alcun riferimento o target specifico e limitante per quella esposizione del simbolo vendibile. Beckham vale ovunque. Lui vale. La merce stessa va e viene ma a restare sempre ben esposto rimane lui: fantasma intangibile. Beckham può ricevere infatti il suo statuto esistenziale solo dallo spettatore che, proprio perché consumatore, lo identifica ogni volta in maniera differente legandolo ai suoi desideri di consumo e alle merci che ha scelto.

KUNMING, CHINA - JULY 29: David Beckham fans wait outside the Yunnan Tuodong Sports Stadium for the team to arrive for a training session on July 29, 2003 at the Yunnan Tuodong Sports Stadium in Kunming, China.(Photo by Alex Livesey/Getty Images)
Tifosi di Beckham con la sua maglia in Cina, nel 2003 (Alex Livesey/Getty Images)

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Tutti i momenti qualificanti della sua carriera agonistica in Nazionale e nella sua squadra di club sono accompagnati da una continua risonanza sulla stampa. Tutto quello che fa in campo diventa la chiave per spiegare la partita e il destino della squadra. La sua espulsione contro l’Argentina, ad esempio, secondo i commentatori costò l’eliminazione della Nazionale inglese. Il giocatore fu apostrofato sulla prima pagina del Mirror con un titolo monumentale, «Dieci eroici leoni e uno stupido», e dal Sun con il gioco di parole «Beck-Home». La vittoria dell’anno successivo con il Manchester in campionato trovò invece una perfetta sintesi mediatica in una copertina di Time Out che lo ritraeva come Cristo e recitava nel titolo «Esclusiva pasquale: la resurrezione di David Beckham». Pochi i gesti tecnici memorabili e tutti legati a momenti emotivi precisi: il gol su punizione contro la Grecia per qualificare la Nazionale ai Mondiali del 2002 che gli varrà l’appellativo di tesoro nazionale in un film con Hugh Grant, Love Actually (2003), e la rottura del metatarso che mise in ansia un’intera nazione.

Il suo trasferimento al Real nel 2003 e il progressivo impoverimento delle sue prestazioni agonistiche, però, paradossalmente, corrispondono a un rafforzamento del suo valore commerciale. Più si indebolisce come giocatore, più si rafforza come brand. La sua presenza nel Real permette alla squadra di all-star, alcune bollite, di conquistare i mercati asiatici e al club di diventare il più ricco al mondo con un incremento del merchandising del 67%. Gli esperti del settore cominceranno a parlare di Beckonomics, economia legata al brand Beckham, che non è più un giocatore.

BARCELONA, SPAIN - DECEMBER 6: David Beckham of Real Madrid closely watched by the media during the Spanish Primera Liga match between Barcelona and Real Madrid at the Nou Camp Stadium on December 6, 2003 in Barcelona, Spain. (Photo by Shaun Botterill/Getty Images)
Il primo Clásico da madridista, nel dicembre 2003 al Camp Nou (Shaun Botterill/Getty Images)

Le regole di quest’economia sono semplici. In primo luogo la perdita dell’identificazione monolitica con l’atleta, e cioè con i valori di agonismo e mascolinità. Per venderlo per quello che non è più, Beckham deve diventare un packaging, deve acquisire personalità differenti. In secondo luogo il personaggio deve avere una biografia nuova e multidimensionale. Quindi una vita in campo – l’atleta della working class che ha una storia di redenzione vittoriosa e ideali virili e individualistici – e una vita fuori dal campo che incarni valori simbolici: il padre amoroso, il marito fedele, l’icona gay. Una figura camaleontica che unisce la sua fama a quella della moglie diva, coprendo così una fascia di mercato potenzialmente immensa. I giornali e le televisioni utilizzano il marchio Beckham per riempire pagine e pagine di infotainment e ore di palinsesto che lo legano ai temi più disparati: la moda, l’economia, lo sport, il pop. La sua casa, una reggia da milioni di dollari, diventa Beckingham Palace. La coppia giocatore-cantante crea un sodalizio commerciale per sostituire la coppia reale inglese nei sogni di riscatto e di consumo di milioni di inglesi. Beckham ormai ha la plasticità di un allestimento mobile e cambia look a seconda della situazione di vendita, diventando una fiera itinerante. Questo mutamento è sempre garantito da un’androginia sostanziale: il Beckham che piace alle minoranze di colore grazie al suo abbigliamento e ai suoi accessori, soprattutto anelli e collane, non è il Beckham che posa nel 2002 per la rivista GQ, a target omosessuale. Qui è a torso nudo, ha le unghie laccate e il petto unto, diventando icona metrosexual.

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L’ex calciatore moltiplica i suoi affari firmando un contratto da 250 milioni di dollari con i Los Angeles Galaxy della Major League Soccer, la lega calcistica americana. Il suo carisma dovrebbe mandare a buon fine l’ennesimo tentativo di valorizzare il calcio nel mercato statunitense, restio a questo spettacolo con così pochi punti a partita, vero limite strutturale per gli americani di uno sport che folli innovazioni regolamentari, volute dalla poi fallita Nasl (North American Soccer League), avevano già provato a risolvere. Per tesserarlo nel campionato americano viene inventata una nuova regola, la Designated Player Rule, anche detta «Legge Beckham», in cui si concede a due giocatori per squadra di essere pagati più del tetto massimo di 400.000 dollari all’anno. Herbalife, sponsor dei Galaxy, offre 20 milioni di dollari per averlo tra i suoi sponsor in America e i Galaxy hanno un’impennata del merchandising del 700% appena l’uomo-merce firma per la squadra.

CARSON, CA - JULY 19: David Beckham #23 of the Los Angeles Galaxy runs out to the pitch as fans cheer him on before the MLS game against AC Milan at The Home Depot Center on July 19, 2009 in Carson, California. (Photo by Kevork Djansezian/Getty Images)

L’ex giocatore, padre, marito, metrosexual, atleta, è quindi un enorme centro commerciale che copre target diversi. La televisione americana intuisce il fenomeno e gli affida un programma settimanale, il David Beckham’s Soccer Usa, mentre anche la moglie ha un suo show, il Victoria Beckham: Coming to America, un orrido reality di infotainment dove le telecamere la seguono dovunque nel suo tentativo di ambientarsi in America e cioè fondamentalmente fare shopping, posare in mezzo al deserto con il marito in un improbabile set fotografico, tagliarsi i capelli, scegliere la piscina, prendere multe. La coppia ha anche una propria fragranza per Coty, Intimately Beckham, con due profumi, uno per lui e uno per lei senza specificare chi usa cosa tra i due. Quindi aprono un proprio brand, DVb, con un negozio nel centro commerciale Harrods, dove Victoria può esporre la sua linea di moda fatta di borse e gioielli per poi esordire come stilista alla New York Fashion Week.

Beckham è ormai un oggetto per collezionisti e i suoi gadget sono feticci. Per lui viene ad esempio creato uno scarpino dedicato, le Adidas Predator Pulse, in un’edizione limitata di soli 723 esemplari, vendute all’interno di un cofanetto contenente un libro a 700 sterline. Lettura obbligata e cara che mescola la poesia di un plantare, l’arte di un tacchetto, la scultura di una tomaia all’eccezionalità di un piede feticcio, il suo.

 

© Giacomo Giubilini, 2016 – © minimum fax 2016 – Tutti i diritti riservati.
Nell’immagine in evidenza, David Beckham guarda una partita dei Galaxy, agosto 2016 (Jayne Kamin-Oncea/Getty Images)