Dzeko è tornato a segnare

Buona parte del merito ce l'ha Spalletti: la capacità di far gol passa anche, e soprattutto, da un maggior coinvolgimento nella manovra.

Quando si giudica l’operato di un centravanti non si può non partire dai numeri e dai gol. E, da questo punto di vista, l’Edin Dzeko 2016/17 si è già portato avanti con il lavoro: sette reti in otto partite (a fronte delle otto in 31 dello scorso campionato), primo giocatore della Serie A per numero di tiri a partita (5,8 di media, il secondo è Belotti con 3,6) con una shot accuracy del 56% (23 tiri su 41 finiti nello specchio della porta), lo zampino in altre 10 occasioni create per i compagni (un assist e nove key passes), il 57% di duelli vinti (66% se consideriamo quelli aerei, per una media di oltre 5 a gara), ampio coinvolgimento in fase di costruzione della manovra (73% di pass accuracy: non male per uno che cerca spesso la sponda di prima spalle alla porta), grande aiuto anche in fase di non possesso (due azioni difensive di media a partita, per un totale di 4 intercetti e 12 recuperi decisivi). Dati inequivocabili che testimoniano il ritorno a grandi livelli di un giocatore che si credeva perduto nei meandri dei tatticismi del campionato italiano.

La vittoria della Roma a Napoli, con doppietta di Dzeko

Non è, tuttavia, una mera questione numerica o statistica. Il Dzeko straripante e decisivo di queste ultime partite è figlio della nuova impostazione tattica della Roma spallettiana, il cui centro di gravità permanente è proprio il bosniaco: basti pensare che, contro l’Inter, è stato il secondo giocatore giallorosso ad aver toccato più palloni (51, secondo soltanto a Juan Jesus), mentre sabato con il Napoli, a fronte di un minor numero di tocchi (34), il suo impatto sulla partita si è tradotto in una serie di movimenti con e senza palla che Koulibaly e Maksimovic non hanno sempre letto nella maniera corretta. Siamo di fronte, quindi, al vero e proprio cardine offensivo del 4-3-3 romanista, l’elemento che, spesso, conclude positivamente la transizione che lui stesso ha contribuito ad avviare con una sponda piazzata al posto giusto nel momento giusto.

Ma come è stata possibile una trasformazione così repentina? E quali sono le differenze rispetto alla scorsa, disastrosa, stagione? Per capirlo occorre ritornare proprio a un Napoli-Roma. Non l’ultimo, ma quello del 13 dicembre 2015, uno degli ultimi rantoli della Roma di Garcia. Che al San Paolo strappa un punto prezioso al termine di una partita prettamente difensiva in cui il primo dei sacrificati è proprio Dzeko: 90 minuti passati a rincorrere Jorginho in fase di non possesso e senza uno straccio di pallone giocabile (appena un tiro e 47% di precisione nei passaggi) negli ultimi 16 metri.

Contro il Napoli, dicembre 2015
Contro il Napoli, dicembre 2015

Quella partita è stata, probabilmente, il manifesto dell’incompatibilità tecnico-tattica tra il giocatore e l’allenatore francese. Per il quale Dzeko era un mero terminale offensivo, completamente avulso dal resto della manovra (prova ne siano le appena 22 occasioni create – 6 assist e 16 key passes – nell’arco di un intero campionato: poco più del doppio di quelle create nelle prime otto giornate del 2016/2017) e chiamato unicamente a finalizzare la mole di gioco creata dagli esterni offensivi, intenti ad attaccare l’ultimo terzo di campo alla ricerca della superiorità numerica sul lato corto dell’area di rigore. L’ex City ci ha messo del suo, sprecando numerose palle gol per imprecisione, superficialità, mancato tempismo e letture errate delle singole situazioni offensive: ma si è trattato della naturale conseguenza dell’idiosincrasia verso un sistema di gioco che non lo vedeva coinvolto come avrebbe voluto e potuto.

Una situazione di evidente difficoltà che si è ripetuta anche nella prima partita dello Spalletti bis, la trasferta a Torino contro la Juventus del 24 gennaio. In quell’occasione il tecnico toscano fu costretto a fare di necessità virtù, schierandosi a specchio con il 3-5-2 bianconero e chiedendo molto a Dzeko e Salah in fase di primo pressing per provare a inaridire la principale fonte di gioco bianconera, cioè Marchisio. Risultato? Sconfitta 1-0 e il numero 9 bosniaco ovunque sul campo tranne in area di rigore.

Contro la Juve, gennaio 2015
Contro la Juve, gennaio 2015

Da quel momento in poi, Spalletti, alla ricerca della soluzione che li portasse al raggiungimento di risultati nell’immediato, ha privilegiato un tridente tecnico e leggero (Perotti-El Shaarawy-Salah) che attaccasse velocemente la profondità dopo il recupero palla. Questo non perché l’allenatore non avesse fiducia in Dzeko: si è trattato solo del primo passo di un lento e costante lavoro di ricostruzione psicologica (più che tecnica), completato nel corso del ritiro estivo.

Da quando Spalletti ha potuto lavorare continuativamente con un gruppo di giocatori adatti a sviluppare la sua idea di calcio, Dzeko non è praticamente mai uscito dall’undici titolare: 630 minuti giocati sui 720 disponibili in campionato, con picchi di eccellenza assoluta. Compresi quelli, ovviamente, della vittoriosa trasferta partenopea dove, doppietta a parte, è stato nettamente l’uomo più pericoloso: sei le conclusioni verso la porta di Reina e, finalmente, la possibilità di risultare decisivo in area di rigore, partecipando attivamente (16 tocchi dal centrocampo in su, pass accuracy complessiva del 56%) alla costruzione dell’azione.

L'ultima gara contro il Napoli
L’ultima gara contro il Napoli

La vittoria del San Paolo è paradigmatica della rinnovata importanza del centravanti nel nuovo abito tattico che Spalletti ha cucito per la sua squadra. Nelle giornate in cui non è preda di isterismi e superficialità nell’approccio alla gara, la Roma è una delle poche squadre che, all’interno della stessa partita, riesce ad alternare situazioni offensive sviluppate attraverso un possesso palla prolungato ad altre figlie di veloci transizioni susseguenti al recupero palla sulla propria trequarti. E questo grazie anche, se non soprattutto, alle caratteristiche dei componenti del “nuovo” tridente offensivo: c’è il giocatore istintivo e naturalmente portato all’attacco della profondità sfruttando lo spazio venutosi a creare alle spalle del perno centrale (Salah); c’è il giocatore di trama e ordito, l’equilibratore, chiamato a cucire il gioco tra centrocampo e attacco, coniugando qualità e quantità (Perotti); e, naturalmente, c’è Dzeko, che Spalletti è riuscito a far rendere al meglio tanto nella dimensione fisica (è lui che, spesso, apre il campo – con sponde e movimenti ad uscire – per l’outlet pass che avvia il contropiede) quanto in quella tecnica.

Tanto più che è stato lo stesso allenatore a spiegare come e quanto il bosniaco stia incidendo in questo inizio di stagione: «Per me arriva a venti gol. Lui deve essere dentro il nostro progetto perché ci dà soluzioni in più. I gol sono un dato che serve a evidenziare ciò che è più visibile, ciò che dà il voto, il commento, ma se non c’è un lavoro di squadra, un comportamento, un modo di ragionare, l’essere stretti e corti, in zona palla, disponibili a sprecare 50 metri per creare densità e recuperare il pallone, evitare di correre pericoli, allora il gol resta una cosa a sé stante». Parole che hanno fatto seguito ad un netto 4-0 ai danni del Crotone, in cui Dzeko è andato in gol attaccando lo spazio alle spalle della linea difensiva. Qualcosa che con Garcia spettava unicamente ai due esterni offensivi, mentre il #9 era lasciato a fare a sportellate con i centrali avversari. Poi, certo, quando hai Francesco Totti a lanciarti in verticale tutto diventa più facile.

Ed è successo di nuovo, contro la Samp

La differenza con il recente passato sta tutta qui. La Roma di oggi è una squadra che gioca per il proprio centravanti, in un’accezione diversa da quella che quella che prevedeva un terminale offensivo fisso chiamato unicamente a finalizzare una certa mole di gioco. Dzeko è parte integrante della manovra, viene cercato continuativamente dai compagni che lavorano con e per lui, che ci mette la solita fisicità e l’ottimo bagaglio tecnico che ha sempre avuto. La continuità in fase realizzativa è, quindi, il risultato più evidente della capacità di Spalletti di aver saputo costruire un’impiantistica di squadra che si poggiasse su un centravanti di livello senza per questo dipendere da lui, sgravandolo da quella pressione che, molto spesso, ne aveva influenzato le prestazioni. C’è, poi, un ulteriore dato che fa ben sperare per il futuro a medio-lungo termine. Al momento Dzeko viaggia alla media di un gol ogni tre occasioni create: riuscisse a migliorare anche sotto questo aspetto, quei 20 gol pronosticati dal suo tecnico potrebbero essere facilmente raggiunti e superati.

 

Nell’immagine in evidenza, Edin Dzeko durante il derby romano dello scorso anno (Filippo Monteforte/AFP/Getty Images)