Spanish connection

Perché il Manchester City è la squadra più spagnola della Premier League. Un'impronta evidente già prima dell'arrivo di Guardiola.

A partire dal luglio scorso, la Manchester City Academy è diventata un vero e proprio bunker. Il quartier generale di quella che per tanti anni è stata la seconda squadra di Manchester è oggigiorno un luogo inaccessibile rispetto a pochi mesi fa, quando Manuel Pellegrini allenava la prima squadra. La rivoluzione di Pep Guardiola è iniziata proprio da lì, subito dopo la chiacchierata con Noel Gallagher, uno dei pochi in grado di essere riuscito a estrapolare un’intervista al tecnico catalano, da sempre contrario alle esclusive con la stampa, come gli consigliò dieci anni fa Marcelo Bielsa. Ma l’arrivo di Guardiola nella città mancuniana è solo la sublimazione di un lento processo di “ispanizzazione” del club, il cui seme originario fu impiantato da David Silva nell’estate del 2010, quando il canario, reduce dalla vittoria del Mondiale con la Spagna, passò dal sole di Valencia alla pioggia di Manchester.

Manchester City players form a group huddle on the pitch after the English Premier League football match between Manchester City and Southampton at the Etihad Stadium in Manchester, north west England, on October 23, 2016. The game finished 1-1. / AFP / Paul ELLIS / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 75 images, no video emulation. No use in betting, games or single club/league/player publications. / (Photo credit should read PAUL ELLIS/AFP/Getty Images)
Gli ispanofoni Aguero, Navas, Nolito spiccano nell’abbraccio prepartita della squadra (Paul Ellis/AFP/Getty Images)

È ben noto che lo spagnolo è una delle lingue più parlate al mondo, eppure il caso del City risulta alquanto speciale: sono di origine iberica non solamente i collaboratori di Guardiola, ma anche un addetto stampa e un direttore generale. Il cammino a livello dirigenziale era stato tracciato da Ferran Soriano, attuale amministratore delegato arrivato nel 2012 dopo il fallimento dell’azienda Spanair, attraverso la quale aveva intrecciato contatti con le compagnie aeree del Qatar. Tuttavia, la chiave della diffusione dell’accento spagnolo sulla sponda Blue di Manchester è sempre in mano a Silva, che oltre a dettare i tempi di gioco nella squadra ha disseminato di spagnoli tutti gli angoli del club. Questa “colonizzazione” ebbe inizio per caso, quando lo stesso Silva, arrivato da poco in Inghilterra, decise di contattare David Quintana, un amico residente a Birmingham già compagno di scorribande nell’infanzia in quel di Arguineguín, piccolo municipio dell’isola di Gran Canaria che ha dato i natali anche a Juan Carlos Valerón. Quintana avrebbe finito col completare il terzetto composto da Soriano e Txiki Begiristain, direttore sportivo, arrivati insieme nel 2012 dopo aver coinciso nella direzione del Barcellona di Joan Laporta. La decisione di Begiristain di aprire un vero e proprio ufficio di attenzione al giocatore nel quale vi fosse una figura di lingua spagnola fu la fortuna di Quintana, che oggi è agli ordini di Manel Estiarte, ex campione della pallanuoto e braccio destro di Guardiola.

Gli arrivi di Álvaro Negredo e Jesús Navas rinforzarono la colonia spagnola del City, nonostante la Spanish revolution troverà poi il suo culmine solo l’estate appena passata con l’ingaggio di Nolito e di Mikel Arteta, che Pep ha voluto fortemente come assistente. Arteta, formatosi anch’egli nella Masia come uomo d’ordine del centrocampo prendendo come esempio lo stesso Guardiola, a soli 34 anni ha deciso di ritirarsi dal calcio giocato dopo 14 anni passati in Premier League. In realtà Pep ha visto in lui la figura intermedia tra il calciatore e il tecnico di campo, una sorta di “cavallo di Troia” che lo introducesse nel mondo della Premier. L’ex capitano dell’Arsenal, che partecipa a tutti gli allenamenti, è stato accolto con molta ilarità nei torelli dai calciatori che fino a pochi fa affrontava in campo, come ricorda spesso Silva in modo scherzoso durante le partite a rango ridotto: «Se penso che qualche mese fa ce le davamo in campo…».

WEST BROMWICH, ENGLAND - DECEMBER 26: David Silva of Manchester City celebrates with team-mate Jesus Navas after scoring his team's third goal during the Barclays Premier League match between West Bromwich Albion and Manchester City at The Hawthorns on December 26, 2014 in West Bromwich, England. (Photo by Scott Heavey/Getty Images)
David Silva e Jesus Navas festeggiano in una gelida trasferta dicembrina nel 2014 contro il West Bromwich (Scott Heavey/Getty Images)

Un altro caso curioso è l’incrocio tra Lorenzo Buenaventura, da sempre preparatore atletico di Guardiola, e Marc Boixasa, giovane addetto alla logistica della prima squadra. «Non credo che ci troveremo bene io e te», le prime parole di Buenaventura, da sempre del Betis, a Boixasa, colpevole di essere tifoso del Siviglia, nonostante i suoi natali catalani. Durante gli allenamenti il vigile Rodolfo Borrell si muove dal campo della prima squadra a quello delle giovanili e viceversa. Un tempo responsabile delle giovanili del Barcellona, Borrell fu chiamato da Benitez durante la sua tappa al Liverpool proprio per conoscere da vicino il mondo delle giovanili della Premier. Scopritore di Raheem Sterling, è un altro dei fidi componenti della tavola rotonda di Guardiola nella sua immersione nel mondo del calcio inglese.

L’immagine attuale del City è quella di un club dall’organigramma inglese ma dal cuore spagnolo. E questo marcato accento iberico inizia a risuonare sempre più frequentemente nei corridoi del club inglese da quando la dirigenza ha deciso di aprire una serie di “succursali” in altri paesi per estendere il marchio nel mondo, da Manchester a Tokyo passando per Londra, New York, Melbourne, Shanghai, Abu Dhabi e Singapore. David Villa, asturiano come molti emigrati spagnoli nelle Americhe e voluto fortemente da Guardiola al Barça nel 2010, è il Conquistador del nuovo mondo americano tra i calciatori, ma ciò che rende chiaramente l’idea dell’espansione del marchio a effetto domino è la presenza di una serie di elementi di origine catalana nelle sfere dirigenziali di una società ormai planetaria e non più solamente volto della Mancheser operaia. Dei 700 impiegati totali in giro per il globo, senza contare i calciatori, il City ha a libro paga ben dodici catalani, nove dei quali lavorano in loco, due risiedono a New York e una a Londra nella sede amministrativa. È il frutto del lavoro di Soriano e Begiristain, che da direttore sportivo ha sempre ammesso di seguire il modello Cruyff, che lo allenò nel famoso Dream Team, e non quello del Barça. L’arrivo di Pep in panchina era dunque solamente questione di tempo, all’insegna di quella serendipity che in terra britannica caratterizza le azioni di chi fa dell’aplomb e della calma la propria filosofia di vita, arrivando poi sempre a trovare la formula del successo.

LONDON, ENGLAND - OCTOBER 02: Josep Guardiola, Manager of Manchester City (L) gives Sergio Aguero of Manchester City (R) instructions during the Premier League match between Tottenham Hotspur and Manchester City at White Hart Lane on October 2, 2016 in London, England. (Photo by Shaun Botterill/Getty Images)
Josep Guardiola dà indicazioni a Sergio Aguero durante la partita contro il Tottenham (Shaun Botterill/Getty Images)

La rivoluzione hispanica del City ha come adorni i quattro argentini presenti oggi in rosa. Caballero, Zabaleta, Otamendi e Agüero rappresentano quella leggiadria e spensieratezza di matrice gaucha in una città grigia come Manchester dove, per ammissione dello stesso Caballero, «è difficile organizzare un asado perché le case non sono attrezzate e il clima non è certo quello della Spagna, dove abbiamo giocato tutti e quattro». Riuniti spesso il pomeriggio intorno a un thermos caldo per sorseggiare del mate, gli argentini sono originariamente meno ligi e ordinati dei catalani, ma hanno fatto comunque breccia nel cuore di Guardiola, il quale, da sempre folgorato dalle idee rivoluzionarie del già citato Bielsa, Menotti e il più sottovalutato La Volpe, prova solo a correggere leggermente le loro abitudini alimentarie durante le sessioni di allenamento e i ritiri. Gli argentini sono infatti fondamentali per lo sviluppo del suo gioco, iniziando dalla salida del balón (uscita con la palla al piede dal calcio di rinvio) giocando sempre la sfera con passaggi corti, qualcosa che ha permesso a Caballero, dato quasi per partente in estate, di far fuori Joe Hart nelle gerarchie del tecnico catalano. È questo il City che avanza. Con un’ossatura spagnola, un impeccabile abito inglese e un’acconciatura ribelle latinoamericana. Un’entità socio-calcistica globale figlia del nuovo calcio che prova a sfidare il modello del Barcellona impiantato proprio da quel maestro di vita e calcio di Guardiola e Begiristain che risponde al nome di Johan Cruyff.

 

Nell’immagine in evidenza, gli spagnoli Nolito e David Silva esultano dopo il gol contro l’Everton (Oli Scarff/AFP/Getty Images)