Il dossier Cesc

Cesc Fàbregas, finito ai margini del Chelsea, sarà il pezzo pregiato del prossimo mercato: dove potrebbe andare, e in quale squadra sarà determinante.

Quando lo scorso 20 settembre Cesc Fàbregas ha segnato la doppietta decisiva nel terzo turno di Coppa di Lega contro il Leicester, sembrava che nel Chelsea fosse finalmente arrivato il suo momento. Alla luce di un periodo complicato per lui (aveva disputato appena 38 minuti in Premier League, partendo sempre dalla panchina) e per la squadra (i Blues si trovavano nel momento peggiore di quest’inizio di stagione, quello a cavallo delle due sconfitte consecutive con Liverpool e Arsenal), quella prestazione di assoluto livello assomigliava molto al viatico per qualcosa di importante.

La prova da trascinatore contro il Leicester

Quel momento, però, non è arrivato. Mentre il Chelsea ha spiccato il volo (cinque vittorie consecutive in campionato, secondo posto a un punto dal Liverpool capolista, 16 reti fatte e nessuna subita), Fàbregas ha accentuato la sua difficoltà ad entrare nei meccanismi del nuovo impianto di gioco del tecnico leccese. Dopo i 54 minuti disputati in occasione del 3-0 rimediato all’Emirates Stadium, Fàbregas non ha più messo piede in campo, restando in panchina a osservare i compagni in campo. Conte non ha ancora dato il via libera a una sua possibile cessione, ma non l’ha nemmeno esclusa: «Ho sentito parlare di una sua possibile cessione a gennaio: per ora dico che siamo ancora a novembre e bisogna pensare solo al presente. È troppo presto per parlare, Cesc è un nostro giocatore e sono felice di allenarlo». Al di là delle dichiarazioni, però, l’incompatibilità tra il giocatore e il nuovo corso tecnico-tattico appare evidente e, probabilmente, una cessione (magari in prestito) sarebbe la soluzione migliore per entrambe le parti. Ma quale potrebbe essere il futuro di un giocatore che, bonus esclusi, guadagna otto milioni di euro netti l’anno e sembra aver imboccato la fase discendente della sua parabola da calciatore?

West Ham

Il difficile inizio di stagione degli Hammers (sei sconfitte, tre vittorie e due pareggi, 11 gol fatti, 20 subiti) è lo specchio della difficoltà di Slaven Bilic di trovare la quadra definitiva. Il tecnico croato ha sperimentato molto fino ad ora, cambiando almeno tre moduli, passando addirittura ad un sistema difensivo a tre (come in occasione della sconfitta per 3-1 contro il City di Guardiola) e arrivando a una relativa stabilità solo con il rientro di Payet e con il ritorno al canonico 4-2-3-1. Ciò premesso, il West Ham 2016/17 è una squadra strana e difficilmente interpretabile: è quattordicesima per possesso palla (51%, con una pass accuracy dell’82%), ma settima per occasioni create (123) e con un’accentuata predilezione a sviluppare il gioco sulle fasce (il 73% delle azioni offensive arriva dalle zone esterne del campo). Questo perché Noble e Kouyaté sono due elementi che per provare a coniugare quantità e qualità optano per una costruzione abbastanza scolastica (15 key passes in due) e, dopo il recupero palla, si affidano alla capacità dei due esterni di creare la superiorità numerica nell’uno contro uno.

LONDON, ENGLAND - MARCH 19: Sesc Fabregas of Chelsea attemots an overhead kick during the Barclays Premier League match between Chelsea and West Ham United at Stamford Bridge on March 19, 2016 in London, United Kingdom. (Photo by Alex Morton/Getty Images)
Qui, contro il West Ham, in acrobazia (Alex Morton/Getty Images)

Tuttavia il fatto che il West Ham agisca per gran parte del tempo (almeno il 47%) nella zona centrale del campo, rende la manovra dei londinesi prevedibile, monocorde e poco suscettibile di variazioni sul tema. L’inserimento di uno come Fàbregas, tanto più nel modulo che lo consacrò agli esordi, permetterebbe a Bilic di sviluppare un gioco diverso, più ragionato e con la possibilità di alternare fasi di possesso palla a quelle in cui agire di rimessa e attaccare la profondità. Il tutto grazie a una maggiore varietà di soluzioni anche per vie centrali, essendo lo spagnolo uno in grado di assicurare una costruzione di gioco pulita (mai al di sotto dell’82% di precisione nei passaggi da quando è tornato in Premier) nonostante la ricerca di soluzioni mai banali: basti ricordare che, nel suo primo anno al Chelsea furono 93 le occasioni da rete nate dalle sue iniziative (18 assist e 75 passaggi chiave) e dalla sua capacità di inserimento e movimento tra le linee, agendo alternativamente da regista basso o da trequartista aggiunto in fase di possesso. Caratteristiche che lo renderebbero impiegabile tanto al posto di uno dei due mediani della cerniera di centrocampo, quanto alle spalle dell’unica punta, in luogo del promettente ma discontinuo Lanzini.

Manchester United

Qui si rientra nell’ambito del fantamercato, anche perché Conte difficilmente avallerebbe la cessione di un giocatore che potrebbe risolvere i problemi di una diretta concorrente. Eppure non è un mistero che Mourinho avesse cercato già in estate di portarsi dietro lo spagnolo nella sua nuova avventura a Old Trafford. Il motivo era semplice: farne la pietra angolare su cui costruire il nuovo centrocampo dello United, allo stesso modo di quanto fatto nel 2014/15 con il Chelsea campione d’Inghilterra. E con Fàbregas protagonista di una delle migliori stagioni della carriera, con tanto di record di sette assist nelle prime sette gare di campionato. Tatticamente, infatti, Cesc è il giocatore perfetto per l’idea mourinhana del centrocampo: è versatile, duttile, capace di farsi trovare sempre libero tra le linee avversarie in fase di pressing, abituato alla giocata pulita sotto pressione, e tatticamente meno anarchico di Pogba e Fellaini in fase di non possesso e di copertura preventiva degli spazi (in quel Chelsea Fabregàs si distingueva per la grande attenzione in fase passiva, con almeno due azioni difensive decisive di media a partita per un totale di 34 chiusure e 28 intercetti).

La versione deluxe di Fàbregas nel Chelsea 2014/15

Il suo arrivo consentirebbe al portoghese di risolvere un bel po’ di equivoci tattici legati alla necessità di far rendere al meglio le sue stelle. In particolare per quel che riguarda la posizione in campo di Paul Pogba che, al netto dei segnali di ripresa dell’ultimo periodo, è chiaramente poco a suo agio nel 4-2-3-1. L’arrivo di Fàbregas consentirebbe al francese di ritornare all’amato ruolo di mezzala a tutto campo, lasciando allo spagnolo i compiti di prima costruzione (Herrera è ancora molto discontinuo da questo punto di vista), con Fellaini a far valere la sua prorompente fisicità in copertura. Ferma restando la possibilità per Mourinho di non distaccarsi troppo dall’amato 4-2-3-1, alternando l’ex Juve e il possibile nuovo acquisto nel ruolo di trequartista alle spalle di Ibrahimovic: la già menzionata abilità del catalano di alzarsi e abbassarsi a piacimento nello spazio che va dalla mediana alla trequarti avversaria lo rende il candidato ideale per provare a mettere ordine tecnico e tattico in un gruppo ancora in cerca d’autore. C’è, poi, da considerare l’aspetto umano. Dettaglio non secondario quando si parla di Mou. Nonostante qualche frizione di troppo nell’ultimo periodo londinese, Fàbregas è rimasto molto legato al tecnico. Tanto da confessare lo scorso aprile come il suo esonero dal Chelsea sia stato causato dall’atteggiamento dei giocatori: «Ho un grandissimo rispetto per lui. Il suo errore è stato credere troppo in noi, darci più riposo del previsto dopo aver vinto il titolo la stagione precedente. E noi, per tutta risposta, abbiamo lasciato che affondasse. Questo è il motivo per cui se n’ è andato e per questo io e la squadra stiamo male».

Arsenal

Arsène Wenger, nell’estate del 2014, ebbe l’occasione di riportare Fàbregas all’Arsenal attraverso l’utilizzo della clausola stipulata ai tempi della cessione al Barcellona: qualora i catalani avessero deciso di rimettere sul mercato il giocatore, i Gunners avrebbero avuto la possibilità di pareggiare qualsiasi offerta, assicurandosi automaticamente il ritorno del figliol prodigo. A fronte dei 33 milioni di euro messi sul piatto dal Chelsea, però, il tecnico francese decise di passare la mano, rinunciando a chi, quasi dieci anni prima, si era preso, minorenne, la squadra che era stata di Patrick Vieira, diventandone capitano a 21 anni.

L’epopea d’oro del catalano con i Gunners

Il perché è da ricercarsi in quel che è l’Arsenal oggi. Una squadra che attacca la profondità come poche altre in Europa, con una spiccata predilezione per la giocata in verticale (il 64.3% dei tocchi totali è in avanti) e l’applicazione del principio del movimento continuo e dello scambio di posizione tra i vari interpreti del quartetto offensivo. Un classico dell’ultimo Wenger quando decide di rinunciare dall’inizio a Giroud (comunque subentrato a gara in corso) e, al contempo, una situazione che Cesc ha dimostrato di soffrire parecchio, soprattutto nei tempi in cui al Barça veniva talvolta schierato come falso nueve. La stessa esperienza blaugrana, inoltre, gli ha lasciato in eredità un certo appiattimento del rapporto tra il gioco verticale e orizzontale, soprattutto se il parametro è questa impiantistica di gioco. È una questione di tempi e di ricerca di punti di riferimento fissi all’interno di terreno di gioco: negli ultimi anni, i Gunners sono diventati molto più veloci e immediati nella giocata, mentre Fabregàs ha passato gli ultimi anni in sistemi improntati ad un possesso palla molto più ragionato, volto a stanare gli avversari e cercare lo spazio giusto per servire i taglianti dal lato debole.

Nell’Arsenal attuale Cesc non ha semplicemente ragion d’essere: nei due di centrocampo, in relazione all’arrivo di Xhaka, alla possibilità di utilizzo dalla panchina di Cazorla e all’imprescindibilità di Coquelin; ancor meno in funzione di trequartista atipico, laddove Mesut Özil (con il quale, comunque, finirebbe inevitabilmente per pestarsi i piedi anche se spostato 20 metri più indietro) è diventato da tempo il plenipotenziario e il direttore d’orchestra dell’intera fase offensiva. Da un Arsenal all’altro, quindi, c’è ben più di un salto di dieci anni che separa due epoche calcistiche. È un passo decisamente lungo: troppo per questo Fàbregas.

London, UNITED KINGDOM: Arsenal's Francesc Fabregas holds the ball during their Fourth Round F.A Cup match against Bolton at the Emirates Stadium in North London, 28 January 2007. AFP PHOTO /CARL DE SOUZA. - -Mobile and website use of domestic english football pictures subject to a subscription of a license with Football Association Premier League (FAPL) tel: +44 207 2981656. For newspapers where the football content of the printed and electronic versions are identical, no license is necessary. AFP PHOTO / CARL DE SOUZA (Photo credit should read CARL DE SOUZA/AFP/Getty Images)
Ai tempi dell’Arsenal, nel 2007 (Carl De Souza/AFP/Getty Images)

Le italiane

Mettendo da parte il discorso economico che potrebbe essere un ostacolo, anche alcune squadre italiane hanno provato a sondare il terreno per Fàbregas: Juventus, Milan e Inter. I nerazzurri sono quelli che, al momento, avrebbero maggiormente bisogno del giocatore spagnolo, più adatto di Banega a ricoprire il doppio ruolo di pivote/trequartista richiesto nell’alternanza (anche a gara in corso) tra il 4-3-3 e il 4-2-3-1 di Stefano Pioli. Sull’altra sponda di Milano, di contro, sembra essere avvenuta una decisa virata verso il “fattore B” (Baselli, Badelj, Bazoer), con giocatori dall’interpretazione del ruolo più dinamica e vicina all’attuale sentire calcistico di Vincenzo Montella, sebbene una mediana con il fosforo di Fàbregas, le capacità di inserimento di Bonaventura e i muscoli di Kucka sarebbe tutt’altro che disprezzabile. Discorso diverso, invece, quel che riguarda la Juventus. Vero che ai bianconeri sembra difettare la qualità in fase di possesso ma, attualmente, il problema maggiore sembra essere costituito dalla mancanza di movimento senza palla dei suoi centrocampisti, anche a causa di una condizione fisica non ancora ottimale. Inserire un giocatore tecnicamente valido ma non molto dinamico (e, soprattutto, bisognoso di ricevere quasi sempre palla sui piedi e non sulla corsa) come il Fàbregas attuale, non colmerebbe le presenti lacune bianconere.

Che ne sarà, quindi, di uno dei prodotti migliori della golden age spagnola? Lui, probabilmente, ha bisogno di reinventarsi, e ultimamente ha detto: «Giocare da playmaker? Perché no. Amo andare a prendere palla, mi piace fare passaggi in profondità e servire i compagni tra le linee. Inoltre devo essere onesto: non sono velocissimo e non ho particolari doti difensive».

 

Nell’immagine in evidenza, Cesc Fabregas nell’amichevole contro la Bosnia dello scorso maggio (David Ramos/Getty Images)