Gloria o morte a Dnipro

Il crollo recente del Dnipro è legato a doppio filo alla storia dell'oligarca Igor Kolomoisky, banchiere, uomo politico e ultra-nazionalista ucraino.

C’è stato un periodo in cui Igor Kolomoisky era prossimo a diventare una specie di Donald Trump ucraino. Un affarista discusso e discutibile, dai modi bruschi e da sempre impegnato a farsi i propri affari – to mind his business, in questo caso l’inglese rende meglio l’idea – diventato improvvisamente un personaggio di primo piano nella vita politica del suo paese. Fino al 2014 Kolomoisky era un oligarca low-profile, a livello di immagine, costantemente impegnato a costruire e oliare i meccanismi relazionali giusti per una proficua convivenza con il potente di turno, presidente (Leonid Kuchma, Viktor Yuschenko, Viktor Yanukovych) o primo ministro (Yulia Tymoshenko) che fosse. Il risultato è stata una holding, il Privatbank Group, che controlla centinaia di compagnie in Ucraina, con interessi pressoché in ogni settore: metalmeccanico, energetico, bancario, chimico, petrolifero, dei trasporti e dei servizi.

L’Euromaidan ha cambiato tutto, incendiando l’Ucraina e provocando un drastico processo di ridefinizione degli assetti di potere tra gli oligarchi del paese. L’intervento russo e la questione della Crimea hanno spinto Kolomoisky a scendere in campo per assumere la carica di governatore dell’Oblast di Dnipropetrovsk, con il preciso scopo di impedire l’avanzata dei filo-russi dopo la caduta del Donbass. Qui le similitudini tra Kolomoisky e Trump cessano, con il primo acerrimo nemico di Putin (definito “nano schizofrenico” nella conferenza di insediamento a governatore, il 3 marzo 2014), ma soprattutto personaggio i cui lati oscuri non si limitano a un paio di bancarotte e qualche accusa sessista, ma si estendono a un processo che lo vede coinvolto contro due ex dirigenti delle sue aziende, “convinti” dal loro vecchio datore di lavoro a non passare alla concorrenza attraverso incentivi non convenzionali quali tirapugni e mazze da baseball. Senza considerare il mandato di cattura internazionale per crimini contro la popolazione civile chiesto dalla Russia all’Interpol.

A pro-Russian militiant holds placard reading " Kolomoisky must die!" during the attack of a branch of Ukrainian bank Privatbank in the eastern Ukrainian city of Donetsk on April 28, 2014. Some 300 masked pro-Russian militants wielding baseball bats attacked a branch of the bank owned by an oligarch regional governor who has voiced criticism of Moscow. The gang attacked the Donetsk office of the powerful Private banking and metal industry holding belonging to Igor Kolomoisky, a billionaire who is also governor of the nearby region of Dnipropetrovsk. AFP PHOTO/ ALEXANDER KHUDOTEPLY (Photo credit should read Alexander KHUDOTEPLY/AFP/Getty Images)
Un militante filo-russo tiene in mano un manifesto con scritto ” Kolomoisky must die!” durante un attacco alla Privatbank dell’oligarca nella città di Donetsk (Alexander Khudoteply/Afp/Getty Images)

Prodotto del cosiddetto capitalismo-gangster in quel far west che era diventata l’ex Unione Sovietica, e relative ex Repubbliche, agli inizi degli anni ’90, Kolomoisky è diventato il baluardo dell’ultra-nazionalismo ucraino, finanziando personalmente equipaggiamenti, rifornimenti e alloggi sia delle truppe regolari di Dnipropetrovsk, sia dei gruppi para-militari in larga parte composti da attivisti della rivoluzione di EuroMaidan. Senza considerare la taglia messa sulla cattura di qualsiasi militante filo-russo (10mila euro per ognuno) e le installazioni di filo spinato ai confini con il Donbass. Proprio però nel momento in cui questo businessman di origini ebraico-cipriote sembrava pronto per il grande salto verso il cuore nevralgico del potere ucraino, è stato stoppato dal presidente Petro Poroshenko, che attraverso una serie di azioni e nomine ha ridotto la sfera di influenza dell’oligarca, il quale, secondo quanto scritto in un libro di memorie uscito a inizio 2016 dall’ex capo di staff di Poroshenko, Borys Lozhin, era pronto a un colpo di stato. Cosa sia successo dopo non è dato sapersi, ma è un dato di fatto che la strategia di Kolomoisky è repentinamente mutata, tornando quella dell’era pre-Maidan, ovvero gestire il proprio business in accordo con chiunque si trovi al potere, anche in considerazione del fatto che la congiuntura economica negativa ha messo parecchia pressione alla sua banca, secondo alcune fonti vicina al default.

La parabola di Kolomoisky aiuta a comprendere quella del suo club, il Dnipro, legato da un vero e proprio cordone ombelicale al suo patron. La squadra ucraina visse una delle migliori stagioni della propria storia un anno e mezzo fa, quando arrivò a giocarsi l’Europa League in finale contro il Siviglia di Emery, perdendo onorevolmente 3-2. Diciotto mesi dopo la squadra, che conta solo tre superstiti (i difensori Valery Luchkevych e Yevhen Cheberyachko, oltre a capitan Ruslan Rotan) da quel 27 maggio a Varsavia, si trova penultima in campionato, esclusa dalle competizioni Uefa, sanzionata da Fifa e Federcalcio ucraina con una penalizzazione di punti, e a forte rischio di scomparsa. Qualcuno dava già per certa la smobilitazione lo scorso giugno, quando sembrava mancassero i soldi per l’iscrizione al campionato, poi regolarmente pagata da Kolomoisky. Il patron però non ha scucito altri soldi, e visto l’ammontare di debiti in capo al Dnipro – pendenze alla base delle sanzioni di cui sopra e foriere di future nuove penalizzazioni – si può legittimamente parlare di dead club playing per la società che ha dato i natali alla carriera di un grandissimo allenatore quale Valery Lobanovsky. Subito dopo la finale di Europa League avevano salutato la squadra alcuni pilastri quali Yevhen Konoplyanka, Nikola Kalinic, Jaba Kankava, Yevhen Seleznyov e Denys Boyko, ma è stata l’estate successiva a far registrare un autentico esodo di massa, con ben 18 giocatori ceduti o lasciati andare via a costo zero.

A Dnipro fan is pictured prior to the UEFA Europa League final football match between FC Dnipro Dnipropetrovsk and Sevilla FC on May 27, 2015 in Warsaw. AFP PHOTO / ODD ANDERSEN (Photo credit should read ODD ANDERSEN/AFP/Getty Images)
Un giovane tifoso del Dnipro prima della finale di Europa League tra la sua squadra e il Siviglia (Odd Andersen/Afp/Getty Images)

Tra i partenti anche la punta Roman Zozulya, accasatasi al Betis Siviglia. In un’intervista riportata dal sito Futbolgrad, Zozulya ha raccontato di come, alla luce del forte legame intrattenuto con il club, avesse chiesto un colloquio con Kolomoisky prima di accettare qualsiasi offerta. «Se il boss mi avesse detto di rimanere perché la squadra aveva bisogno di me, lo avrei fatto. Invece le sue parole furono l’esatto opposto, mi invitò ad andarmene e pensare al mio futuro». Un comportamento in completa antitesi con quello tenuto un paio di anni prima, quando un Kolomoisky in piena ascesa stracciò il contratto già sottoscritto tra il Liverpool e Konoplyanka (il quale aveva già sostenuto le visite mediche) per una mera dimostrazione di forza, non tanto agli inglesi quanto ai rivali ucraini, in primis Rinat Akhmetov dello Shakhtar Donetsk. Proprio il ruolo di principale interlocutore degli oligarchi rivestito da Akhmetov durante la presidenza Yanukovich era quello a cui mirava Kolomoisky nella nuova era politica dell’Ucraina. Uno dei suoi più importanti biglietti da visita era il Dnipro, trasformato nel giro di un decennio in terza forza calcistica del paese.

Il Dnipro a un passo dalla vittoria dell’Europa League 2014/15

La filosofia del Dnipro ha sempre rispecchiato quella del suo proprietario. Mentre le altre big del calcio ucraino si imbottivano di stranieri, trasformandosi in autentiche multinazionali (Dinamo Kiev) o in colonie brasiliane (Shakhtar Dontesk, Metalist Kharkiv), il Dnipro ha sempre mantenuto una forte base autarchica, pur avendo attenuato nel corso degli anni la rigida politica che, in un primo momento, rifiutava di mettere sotto contratto giocatori stranieri. Del resto, il salto di qualità è avvenuto grazie a uno straniero, il tecnico spagnolo Juande Ramos, che nella stagione 2013/14 ha portato la squadra fino al secondo posto in campionato – miglior piazzamento degli ultimi vent’anni – e, a livello internazionale, ha garantito un accesso regolare alla fase a gironi di Europa League. Prestazioni tutt’altro che scontate per un club che prima dell’arrivo di Ramos usciva dalle coppe – quando riusciva a qualificarsi – per mano del Bellinzona. Il lavoro di Ramos, andatosene quando in Ucraina avevano cominciato a soffiare i venti guerra, è stato proseguito dell’ex insegnante di educazione fisica Myron Markevych, due terzi posti consecutivi nella Vyshcha Liha e la citata finale europea. Curiosamente Markevych proveniva dalla rivale per eccellenza del Dnipro, il Metalist Kharkiv, l’altra forza in ascesa del calcio ucraino alle spalle delle due big, anch’essa legata simbioticamente a un’oligarca, Serhiy Kurchenko, fuggito dal paese dopo la caduta dell’amico Yanukovich. La parabola del Metalist è esemplificativa: primo dello scoppio dei disordini guidava il campionato, poi ha iniziato a perdere una partita dietro l’altra e la stagione successiva è fallito.

WARSAW, POLAND - MAY 27: Dnipro fans light flares during the UEFA Europa League Final match between FC Dnipro Dnipropetrovsk and FC Sevilla on May 27, 2015 in Warsaw, Poland. (Photo by Michael Regan/Getty Images)
Tifosi del Dnipro durante la finale di Europa League contro il Siviglia (Michael Regan/Getty Images)

Juande Ramos ha rappresentato sia la fortuna che la rovina del Dnipro, anche se in quest’ultimo caso in maniera completamente indiretta. Le sanzioni Fifa e Uefa nascono infatti da un contenzioso tra la società ucraina e il suo staff, a cui non sono stati riconosciuti pagamenti per un ammontare di 1.35 milioni di euro. Debiti che rappresentano solo la punta dell’iceberg: Markevych, dalla scorsa estate non più in carica come allenatore, è creditore del club per 1.7 milioni, Kalinic per 340mila euro, Artem Fedetsky (passato in estate in Bundesliga al Darmstadt 98) per circa 1 milione. La lista è lunga, e secondo quanto riportato da Futbolgrad tutti i giocatori che hanno lasciato il Dnipro nell’ultimo anno e mezzo vantano dei crediti nei confronti della società. Importo e modalità di pagamento variano da caso a caso. Una fonte vicina a Kolomoisky, rimasta anonima, ha ammesso il disimpegno economico da parte del patron. «Perché spendere soldi in qualcosa che a breve potrebbe non servirgli più? Magari tra un po’ lui non sarà nemmeno più in Ucraina». Una storia, quella dei debiti non pagati, già vista con il Volyn Lutsk, altra squadra controllata dalla Privatbank dell’oligarca, sanzionata dalla Fifa con il divieto di compiere trasferimenti sul mercato e penalizzazioni per un totale di rispettivamente 3, 9 e 18 punti negli ultimi tre campionati.

A picture taken on January 29, 2016 shows people and Ukrainian Nationalists, reacting after the statue of early Communist leader Grigory Petrovsky was torn down in Dnipropetrovsk. / AFP / Stanislas VEDMID (Photo credit should read STANISLAS VEDMID/AFP/Getty Images)
Una manifestazione dei nazionalisti ucraini, qui mentre abbattono la statua del leader comunista Grigory Petrovsky a Dnipropetrovsk (Stanislas Vedmid/Afp/Getty Images)

La rosa del Dnipro della finale di Europa League valeva, secondo Transfermarkt, 98.5 milioni di euro, mentre quella odierna si attesta sugli 8. Un depauperamento massiccio che ha fatto alzare la voce anche all’attuale tecnico Dmitri Mikhaylenko, ex allenatore delle giovanili subentrato a Markevych in qualità di traghettatore, e in seguito rimasto – il motivo è facile intuirlo – sulla panchina del club. Mikhaylenko ha parlato di una realtà destinata a spegnersi in tempi rapidi per mancanza non solo di supporto economico, ma anche gestionale. Il peso del tecnico all’interno del club è però pari al numero di vittorie conquistate dalla squadra da settembre a oggi: zero. Il futuro appare ancora più desolante di quanto non lo sia già il panorama del calcio ucraino, oggi ridotto a un campionato di sole dodici squadre, con divisione dopo la regular season in due gironi, uno di play-off per il titolo e uno di play-out per evitare la retrocessione. Da quando esiste l’Ucraina il Dnipro non è mai sceso in seconda divisione, e anche ai tempi dell’Unione Sovietica accadde una sola volta, nel 1978, in una stagione che oltretutto vide le prime tre posizioni occupate da club non russi (i georgiani della Dinamo Tbilisi, campioni, e gli ucraini della Dinamo Kiev e dello Shakhtar Dontesk, rispettivamente secondi e terzi). Gloria o morte, il Dnipro di Kolomoisky sembra proprio essere arrivato alla seconda opzione.