L’occasione di Keita

Come l'esterno della Lazio ha smesso i panni del ribelle per abbracciare una nuova dimensione, più funzionale al gioco della Lazio.

Scorrendo la timeline della pagina Facebook di Keita Baldé Diao si trova ancora, alla data del 20 agosto, quel post che assomigliava tanto ai titoli di coda della sua avventura alla Lazio, proprio alla vigilia dell’esordio in campionato contro l’Atalanta.

Parole inequivocabili cui fecero seguito quelle altrettanto inequivocabili della società, nonché quelle di un Simone Inzaghi letteralmente furioso con la sua giovane stella: «Quello che è successo mi ha lasciato basito. Keita ha avuto un problema fisico e ha sostenuto degli esami che sono risultati negativi. Ha provato ad allenarsi ma avvertiva ancora dolore. In ogni caso io vado avanti con i giocatori che ho, con quelli che sono convinti del progetto, che vogliono vincere e sono orgogliosi di indossare la maglia della Lazio».

Sembrava di assistere, quindi, all’ennesimo autogol della carriera di un giocatore tanto talentuoso in campo quanto indisciplinato fuori, per di più al cospetto del primo allenatore che davvero ha creduto in lui: nelle ultime sette partite del 2015/16 successive all’esonero di Pioli, infatti, Inzaghi aveva schierato il senegalese in ben sei occasioni, con il solo impegno con il Carpi saltato causa squalifica. Qualcosa di nemmeno tanto diverso a quanto accaduto nel 2010 quando, dopo aver letteralmente dominato in un torneo giovanile in Qatar con il Barcellona, fu spedito in prestito al Cornellà a causa dei troppi scherzi ai compagni di squadra. Risultato? 47 gol in una stagione, successivo gran rifiuto al prolungamento del contratto con i blaugrana e Lazio lesta ad approfittarne per la modica cifra di 300 mila euro.

Quanto è forte Keita Baldé?

A quasi tre mesi dal quel burrascoso inizio di stagione, la situazione è mutata radicalmente: da protagonista delle sirene di mercato (non sono un mistero i sondaggi effettuati da West Bromwich Albion, Lione e Monaco) a palma di laziale più decisivo dopo Ciro Immobile, il passo è stato molto più breve di quel che si potesse pensare. Dopo 12 giornate di campionato (con le prime due saltate per infortunio), Keita è a una rete dal suo record personale di marcature (5, fatto registrare nella stagione d’esordio 2013/2014) ed è il giocatore under 21 ad aver effettuato il maggior numero di key passes nei top 5 campionati europei: ben 23, oltre a due assist, per un totale di 25 occasioni create per sé e i compagni. Poco più della metà di quanto fatto la scorsa stagione ma con 21 partite in più. Senza contare che, da quando è entrato in pianta stabile nell’undici titolare (precisamente da Lazio-Empoli 2-0 del 25 settembre), la squadra non ha più perso: 18 punti in otto partite, frutto di cinque vittorie e tre pareggi, con 18 gol fatti e 7 subiti, con Keita che ha disputato 604 dei 720 minuti disponibili.

Il momento di svolta è da ricercarsi a metà settembre, quando, dopo aver trovato il suo primo gol con la nazionale senegalese (2-0 alla Namibia in un match valido per le qualificazioni alla prossima Coppa d’Africa), il ragazzo rientra a Formello deciso a rimettersi in gioco. Inzaghi nota il nuovo atteggiamento, ne loda l’impegno in allenamento: «È rientrato con lo spirito giusto e si sta allenando molto bene. Si è messo a completa disposizione come l’anno scorso. Io, lo staff e i compagni lo stiamo apprezzando», e decide di rilanciarlo. Con i dividendi che sono buoni fin da subito. Nel pareggio di Verona contro il Chievo è proprio Keita, entrato al sesto minuto della ripresa, a dare la sveglia a una Lazio molle: in poco meno di 40 minuti crea i presupposti di tutte e tre le palle gol create dagli ospiti e fornisce a De Vrij l’assist per la rete dell’1-1.

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A colpire l’allenatore, però, è lo spirito e la personalità con cui il numero 14 è entrato in campo: diversamente dal recente passato, infatti, l’iniziale panchina diventa la principale motivazione per dare tutto quando viene chiamato in causa, massimizzando l’impatto delle sue qualità indipendentemente dal numero di minuti a disposizione. È la sliding door di una stagione o, più probabilmente, di una carriera. Un ultimo breve apprendistato contro Pescara e Milan (creando comunque quattro occasioni da rete in 76 minuti complessivi) e le porte della titolarità che si schiudono in occasione della gara interna contro gli azzurri di Martusciello, i primi a cadere sotto i colpi dell’ex canterano del Barca: 65 minuti, un gol splendido, cinque conclusioni verso la porta e una prestazione a tutto tondo dal punto di vista offensivo (ci sono anche due dribbling riusciti su tre e un ulteriore palla gol creata per i compagni, con il 50% di precisione sui 33 tocchi effettuati).

REGGIO NELL'EMILIA, ITALY - MARCH 01: Balde Keita # 14 of SS Lazio celebrates after the opening goal scored by his team-mate Felipe Anderson # 7 of SS Lazio (not in picture) during the Serie A match between US Sassuolo Calcio and SS Lazio on March 1, 2015 in Reggio nell'Emilia, Italy. (Photo by Mario Carlini / Iguana Press/Getty Images)

Dettagli che convincono Inzaghi a passare al 4-3-3 (dopo aver alternato 4-4-2 e 3-5-2) che sta facendo le attuali fortune della sua squadra. E non si tratta del banale sfruttamento del retaggio tattico lasciato in eredità da Stefano Pioli: complice la prolungata assenza di Lucas Biglia (fuori in quattro delle ultime sette partite), il tecnico ha fatto di necessità virtù con il materiale a disposizione, rendendo la Lazio una squadra da contropiede. Il 46% di possesso palla (undicesimo della Serie A) e la naturale propensione alla verticalità (il 66.5% dei tocchi è in avanti, con un’ accuracy dell’80%) raccontano di un undici che, in mancanza di un metronomo in grado di dettare ritmi e tempi di gioco in fase di possesso, sceglie di lasciare l’iniziativa all’avversario in attesa di aggredire la profondità subito dopo il recupero palla (sono circa 209 gli intercetti che valgono il settimo posto assoluto nella speciale classifica).

E il fatto che le occasioni da rete dei biancocelesti siano generate, nel 45% dei casi, dall’attacco dell’ultimo terzo di campo da parte dei due esterni offensivi, spiega meglio di tante parole come e perché Keita (nonché l’omologo sul lato opposto Felipe Anderson) sia diventato il naturale sbocco della mole di gioco laziale: tanto come finalizzatore vero e proprio sfruttando i tagli alle spalle del centravanti e attaccando lo spazio generato dal movimento a uscire di quest’ultimo, quanto in funzione di uomo dell’ultimo passaggio dopo aver creato, direttamente (ad oggi ha vinto il 59% degli uno contro uno tentati) o indirettamente (giocando a due con il terzino di riferimento) la superiorità numerica sull’esterno, come nel caso del gol di Lulic al Sassuolo.

La rete di Lulic contro il Sassuolo, propiziata proprio da Keita

Si prenda ad esempio la partita casalinga contro il Bologna, pareggiata all’ultimo minuto grazie al rigore trasformato da Immobile. In quell’occasione, pur non trovando la via della rete, il giovane senegalese è stato nettamente il migliore del tridente offensivo, facendo fruttare al massimo i 50 palloni giocati: cinque passaggi chiave, quattro occasioni create, due i duelli vinti contro l’avversario diretto (su sette tentativi), ben 10 i palloni messi in mezzo all’area e non sfruttati dai compagni. Il tutto senza mai dare punti di riferimento alla retroguardia avversaria, muovendosi su tutto il fronte d’attacco con una naturale predilezione per l’amato centro-sinistra e coniugando anche un’inusitata attenzione in fase difensiva con due tackles portati nell’arco dei 90 minuti: non male per uno che non ha nel ripiegamento il pezzo forte del repertorio con appena 0.2 intercetti e 0.4 contrasti di media a gara.

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Contro il Napoli l’impatto della sua prestazione sul risultato finale è stato ancora maggiore e non solo perché è stato l’autore dell’immediato pareggio dopo l’1-0 di Hamsik. A fronte di un numero minore di palloni toccati (appena 31 in 82 minuti), infatti, Keita è riuscito ugualmente a fare la differenza in una partita prettamente difensiva, spendendosi praticamente a tutto campo e interpretando perfettamente le varie fasi, anche quella di non possesso. Chiari segnali di una piena maturità in fase di approccio e lettura delle singole situazioni di gioco che è molto vicina ad essere raggiunta.

Dimenticate il giocatore che attacca a testa bassa e prova a risolvere la situazione da solo puntando esclusivamente sulla sua esplosività in campo aperto e totalmente avulso da qualsiasi concetto di squadra: il Keita 2016/17 è un giocatore che ha imparato a gestire e gestirsi, dosando scatti e allunghi, provando a venire a prendere palla anche nella propria metà campo per dare uno sbocco in più al portatore di palla e intuendo come e quando fare la differenza anche nelle gare in cui  le situazioni offensive sono, per forza di cose, ridotte all’osso. Il resto è rimesso tutto alla sua lucidità e alla innata rapidità d’esecuzione nel breve: nel caso di specie, a farne le spese è stato un Reina non irreprensibile.

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L’aver preso in esame le prestazioni di Keita in due delle tre occasioni in cui la Lazio non ha portato a casa i tre punti nell’ultimo mese e mezzo, è sintomatico di un giocatore che sembra aver finalmente trovato la sua dimensione e il contesto ideale per esprimersi. Non più elemento da gettare nella mischia a partita in corso per recuperare lo svantaggio e/o per sfruttare gli spazi in contropiede, ma uno in grado di fare la differenza dal primo al novantesimo minuto, a difesa schierata o con maglie più larghe da attaccare sui 70 metri palla al piede (fondamentale in cui è letteralmente devastante). Da alternativa più o meno di lusso, a priorità per un allenatore che, anche nel periodo in cui le strade sembravano destinate a dividersi non mancava di ribadire come con lui Keita avesse sempre giocato «e non so con quanti altri allenatori sia successo».

Vero, anzi verissimo. Perché Petkovic si era trovato tra le mani un diamante puro ma ancora troppo grezzo e Pioli, pur intuendo le grandi potenzialità del ragazzo nell’uno contro uno e nella possibilità di creazione della superiorità numerica sull’esterno, preferiva utilizzarlo come punta centrale  quando Klose e Djordjevic erano indisponibili. Venendo, tra l’altro, ripagato con un gol spettacoloso nell’andata del preliminare di Champions League contro il Bayern Leverkusen.

I difensori del Bayer provano ad aggrapparsi addosso a Keita, non serve a nulla.

Che giocatore è oggi Keita Baldé Diao? Più maturo e responsabile dentro e fuori dal campo, con un tecnico che sembra avergli trovato la collocazione ideale per esplodere definitivamente e con un’accresciuta e rinnovata fiducia nei propri mezzi. Di contro c’è da fare i conti con una fase passiva da affinare, se si vuole interpretare al meglio l’accezione moderna del ruolo di esterno offensivo (attualmente siamo sotto la media di un’azione difensiva a partita) e con la shot accuracy più bassa degli ultimi quattro anni: con il 32% di precisione al tiro (a fronte del 54 del 2015/16, del 58 del 2014/15 o del 64 degli esordi) è quindicesimo, a pari merito con Ilicic, nella speciale classifica che annovera gli attaccanti che hanno effettuati almeno 15 conclusioni.

Non va comunque dimenticato che siamo di fronte a un classe 1995 (il che è incredibile considerando da quanto tempo si parla di lui) con tutti i pregi e i difetti del caso, tanto più se dettati dalla ricerca del ruolo a lui più congeniale. La sensazione, però, è quella di trovarsi nel bel pieno della stagione che dirà molto sul suo futuro: con il passato, più o meno turbolento, che sembra finalmente alle spalle.

 

Nell’immagine in evidenza, Keita dopo il gol segnato all’Udinese, lo scorso primo ottobre (Getty Images)