Stiamo sottovalutando Zidane allenatore?

Il suo Real Madrid è garanzia di grande equilibrio e solidità: come il francese, in meno di un anno, ha convinto tutti.

«Sono tante le cose che ancora non so. Allenare è un mestiere duro, un mestiere che si impara con il tempo». Era il 2013 e Zinédine Zidane, intervistato da L’Équipe, sarebbe diventato allenatore della squadra B del Real Madrid solo un anno dopo. Tre stagioni, una Champions League e una Supercoppa Europea vinte dopo, non c’è dubbio che il francese non abbia ancora concluso la fase di apprendimento. Così come non c’è dubbio che stia facendo ricredere un po’ tutti sulle sue effettive capacità. Da capriccio di un Florentino Pérez a tecnico dalle più che discrete prospettive di crescita nel medio-lungo periodo, il passo è stato breve. Non male per uno che, qualche tempo fa, ha candidamente confessato che al momento del ritiro a tutto pensava fuorché a fare l’allenatore e che, dieci anni dopo, si ritrova seduto sulla panchina più prestigiosa e difficile del mondo.

Zidane, arrivato sulla panchina del Real Madrid lo scorso 4 gennaio, ha già messo da parte alcuni traguardi significativi: 31 risultati utili consecutivi tra campionato e coppe (l’ultima sconfitta in Liga risale al derby con l’Atletico del 27 febbraio scorso, mentre l’ultimo ko in assoluto è quello rimediato a Wolfsburg il 6 aprile), 132 gol realizzati in 47 gare, una Champions e una Supercoppa Europea conquistate nello spazio di quattro mesi e, dopo il 2-1 casalingo contro lo Sporting Gijòn, la soddisfazione di essere il tecnico merengue con la più alta percentuale di vittorie in campionato di sempre (81.3%), nonché quello ad aver collezionato più punti in assoluto (86) dopo le prime 33 partite da allenatore nel torneo spagnolo (davanti a Pellegrini, Guardiola, Luis Enrique e Mourinho). Non solo: in questa stagione è primo in campionato (33 punti, frutto di dieci vittorie e tre pareggi, 36 gol fatti e 11 subiti in 13 partite) e già qualificato agli ottavi di Champions (11 punti in cinque gare, tre vittorie e due pareggi, 14 gol fatti e 8 subiti), con il primo posto da giocarsi con il Borussia Dortmund al Bernabéu. E arriva al Clásico di sabato (ore 16.15 diretta Fox Sports HD) con sei punti di vantaggio sul Barcellona.

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Oltre i numeri, ci sono qualità non comuni. Presentato come mero gestore di un gruppo dagli ego smisurati e, spesso, incontrollabili («Negli spogliatoi urlo raramente, perché credo di avere un’autorità naturale nei confronti dei giocatori», aveva dichiarato a France Football), il francese si è dimostrato un tecnico pratico, versatile, capace di preparare al meglio le grandi partite e di far cambiare pelle alla sua squadra in funzione dell’avversario di turno, derogando dal sistema tattico di partenza. Con in più quel tocco di pragmatismo tutto italiano (retaggio della sua esperienza da secondo di Carlo Ancelotti nel 2014) che aiuta nelle giornate in cui il gioco non è fluido come nei desiderata dell’esigente platea madrilena.

Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo

«Voglio che la mia squadra giochi un buon calcio, con un portiere che sappia far par partire l’azione con i piedi, possesso palla e passaggi rapidi. L’obiettivo è arrivare il prima possibile e con il maggior numero di giocatori davanti alla porta avversaria», aveva detto Zidane nel 2015. Ed è stato questo il principio cardine intorno al quale ha costruito il suo Real Madrid, abbandonando l’integralismo del 4-2-3-1 di Benitez per ritornare al 4-3-3 ancelottiano. Con qualche significativa variante.

Il Real, oggi, è una squadra elastica, camaleontica, in cui la convivenza di diverse filosofie di gioco facilita l’interpretazione delle diverse fasi delle singole partite. La chiave è la ricerca del possesso palla (55% in stagione, con il Barca che guida la speciale classifica a quota 61) finalizzato alla creazione dello spazio da attaccare da parte dei tre terminali offensivi: un principio che si estrinseca nell’abbassamento alternato di Kroos e Modric in mezzo ai due difensori centrali in fase di prima costruzione in un accenno di salida lavolpiana, in una ricerca meno esasperata della profondità (il 62.4% dei tocchi è in verticale) e in un maggiore sfruttamento degli spazi in ampiezza, con alcuni richiami al gioco posizionale di Guardiola, soprattutto nelle combinazioni tra le coppie di esterni nell’attacco dello spazio tra centrale e terzino avversari (non è raro vedere il Real schierarsi con un 2-3-5, soprattutto contro avversari che fanno densità nella propria trequarti). In più, in fase di non possesso, baricentro alto volto al recupero palla immediato per limitare al massimo le problematiche relative all’uno contro uno in transizione.

Il grafico posizionale relativo alla partita con il Betis (terminata 1-6) dello scorso 15 ottobre: i terzini del Real (a destra) sono praticamente in linea con i centrocampisti e il baricentro alto favorisce il recupero palla nella trequarti difensiva avversaria
Il grafico posizionale relativo alla partita con il Betis (terminata 1-6) dello scorso 15 ottobre: i terzini del Real (a destra) sono praticamente in linea con i centrocampisti e il baricentro alto favorisce il recupero palla nella trequarti difensiva avversaria

La principale differenza con Benítez sta proprio nella concezione dello spazio: per lo spagnolo lo sviluppo dell’azione doveva portare a trovare Ronaldo già appostato in una determinata zona e in un determinato momento; per Zidane, invece, tutto deve condurre alla creazione di uno spazio che Ronaldo (e/o i vari Bale, Benzema, Morata) possa attaccare facendo valere la propria strapotenza fisica.

Conoscenza dei propri limiti (e di quelli degli altri)

La prima caratteristica che è subito saltata all’occhio dello Zidane allenatore è stata la sua pragmaticità e la sua capacità di adattarsi all’avversario che si ritrova di fronte. Un dettaglio che, soprattutto nella preparazione delle grandi sfide, gli ha permesso di non farsi trovare quasi mai impreparato sul piano tattico e di giocare sui punti deboli altrui, badando a non mostrare i propri. L’esempio più recente è il 3-0 rifilato all’Atletico Madrid nell’ultimo derby giocato al Vicente Calderón. Il Real si è dimostrato una squadra elastica, in grado di passare agilmente da un modulo all’altro in corso d’opera (alternando il 4-3-3 a una sorta di 4-2-3-1 “spurio” con Isco praticamente ovunque sul campo in fase attiva, mentre in fase passiva le linee si compattavano in una sorta di 4-4-1-1) e di allargarsi e allungarsi sul campo come una fisarmonica a seconda delle varie fasi della partita. Pronta a sfruttare, poi, l’arma letale della ripartenza su palla in uscita, con l’azione che si sviluppa da una fascia all’altra e si conclude con l’inserimento dal lato debole dell’esterno dalla parte opposta. Pochi passaggi per arrivare in area con il maggior numero di giocatori possibili, in pieno Zidane style come dimostra l’azione dello 0-3: recupero palla, outlet pass di Isco a lanciare nello spazio Bale, corsa e servizio dal lato opposto per il tap-in di CR7. Sono serviti non più di sette secondi.

In mezzo una grande partita di sostanza e compattezza di squadra, con l’undici di Simeone sfidato apertamente sul piano amico della garra e dell’intensità: 20-21 il computo dei duelli vinti, 38-33 quello dei tackles, con i blancos che si sono dimostrati maggiormente lucidi nel chiudere le linee di passaggio (17 intercetti contro 12) per poi partire in transizione.

Il vero capolavoro, però, è costituito dal Clásico del 2 aprile scorso, vinto 2-1 al Camp Nou. Quando, cioè, il francese prende coscienza di una squadra che non può giocarsela a viso aperto con i blaugrana e opta per una tattica più attendista. I 90 minuti in Catalogna sono un inno al pragmatismo: baricentro basso, squadra corta, grande densità nella propria metà campo a chiudere le linee di passaggio per poi ripartire a tutta velocità dopo il recupero palla (saranno tre i contropiede degli ospiti contro nessuno dei padroni di casa) lasciando ricadere il Barca nel vecchio vizio del possesso fine a se stesso (alla fine il dato dirà 68% contro 32 a fronte di 15 conclusioni a 14 a vantaggio delle merengues).

Il grafico posizionale dei giocatori in Barcellona-Real Madrid dello scorso 2 aprile: la scelta di Zidane di difendere più basso rispetto all’avversario (a destra) è stata la chiave di volta della vittoria dei blancos
Il grafico posizionale dei giocatori in Barcellona-Real Madrid dello scorso 2 aprile: la scelta di Zidane di difendere più basso rispetto all’avversario (a destra) è stata la chiave di volta della vittoria dei blancos

Controlla il ritmo, controlla la partita

Se l’undici di Zidane è in grado di interpretare le partite in tanti modi diversi, lo si deve al fatto che i giocatori hanno capito che la chiave del loro successo sta nel controllo del ritmo della partita stessa. Che, per forza di cose, varia da avversario ad avversario: sta, quindi, all’allenatore leggere (anche in corso d’opera) tempi e flussi di gioco e agire di conseguenza. Tanto più se, come nel caso del Real Madrid, la squadra tende ad andare in grande difficoltà quando si tratta di mantenere un alto livello di intensità per lunghi periodi.

L’esempio migliore è costituito da quanto accaduto nella doppia sfida contro il Wolfsburg nel doppio turno dei quarti di finale dell’ultima Champions. All’andata, i ragazzi di Hecking mettono gli avversari nella condizione di cadere nella stessa trappola preparata qualche giorno prima ai blaugrana: controllo del gioco solo apparentemente lasciato in mano al Real (39% a 61% il dato sul possesso palla) e attacco costante della profondità sugli esterni, con Marcelo e Danilo totalmente in balia delle combinazioni Draxler-Rodriguez da una parte e Henrique-Vieirinha dall’altra (ben il 78% della produzione offensiva dei “Lupi” arriverà dalle fasce). In quelli che sono i peggiori primi 30 minuti di Zidane da allenatore del Madrid (annichilito da una pressione continua e costante sui portatori di palla), il Wolfsburg realizza due gol e ne sfiora altrettanti.

In occasione del ritorno al Bernabéu il francese dimostra di aver imparato la lezione. La stampa e i tifosi chiedono a furor di popolo l’inserimento di Isco nel ruolo di mezzala, con Kroos riportato nella posizione di pivote; lui, invece, conferma nel ruolo Casemiro, esaltandone la capacità di dare equilibrio su entrambi i lati del campo, e invita l’ambiente a considerare come la remuntada vada costruita per gradi: «Dobbiamo capire che la partita dura 90 minuti e non cinque», dirà nella conferenza di presentazione. I fatti gli daranno in parte torto (il Real azzera lo svantaggio nel primo quarto d’ora grazie alla doppietta di Ronaldo nello spazio di un minuto), in parte ragione (CR7 trova il colpo del ko al 77’), favorito comunque da un atteggiamento dei tedeschi fin troppo remissivo.

La remuntada contro il Wolfsburg

Lettura preventiva delle partite a parte, quindi, il Real è una squadra che si trova molto più a suo agio quando può “addormentare” il gioco grazie al possesso palla per poi accelerare improvvisamente, attaccando lo spazio venutosi a creare nell’ultimo terzo di campo. E il fatto che i blancos si siano trovati particolarmente in difficoltà per larghi tratti delle sfide contro il Siviglia di Sampaoli (in finale di Supercoppa Europea) e il Borussia Dortmund di Tuchel (in Champions) costituisce un robusto indizio in tal senso: entrambe queste squadre, infatti, hanno costretto i madrileni a viaggiare a ritmi per loro non abituali, provando a lavorarli ai fianchi in attesa dell’occasione giusta per colpire.

Zidane, però, ne è sempre venuto fuori, anche grazie ad un’altra sua capacità che non sempre gli viene riconosciuta: saper aspettare il momento giusto. Che, spesso, arriva nell’ultimo quarto d’ora, con gli avversari di turno incapaci di portare un’adeguata pressione a tutto campo (ovvero ciò che più mette in difficoltà il Real). Non è un caso che le merengues siano la squadra spagnola che, tra Liga e Champions, abbia guadagnato più punti grazie alle reti realizzate negli ultimi dieci minuti: al momento, il dato recita rispettivamente 10 e 6, con Atlético e Barcellona staccate di molto (3 e 2 i primi, 2 e 1 i secondi). Se è il Real Madrid a imporre un certo ritmo alla partita, la vittoria, presto o tardi, arriva.

Fare di necessità virtù

Se, da un lato, la rosa a disposizione è di primissimo livello, dall’altro non si può non notare come Zidane abbia saputo più e più volte rimodulare le caratteristiche dei suoi giocatori per far fronte alle difficoltà contingenti. Nei suoi primi mesi, il problema principale era costituito dal mancato equilibrio del triangolo di centrocampo, con Kroos e Modric che si accavallavano fino a pestarsi i piedi in fase di prima costruzione e Isco tagliato praticamente fuori a causa del mancato rispetto delle distanze. In quel caso la quadra è stata trovata nell’inserimento di Casemiro al posto di Isco, con quest’ultimo pronto a subentrare in corso d’opera per agire tra le linee (con James Rodríguez è l’unico ad avere questa caratteristica) e consentire il passaggio a quel 4-2-2-2 che tante volte ha fatto da apriscatole in partite tatticamente bloccate.

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In questo primo scorcio di stagione, l’avversario più pericoloso è stata la continuità negli infortuni. Quello di Gareth Bale (che rischia di star fuori almeno quattro mesi) è solo l’ultimo di una lunga serie: ad oggi Zidane ha dovuto sempre rinunciare, almeno una volta, a qualcuno dei suoi titolari, in particolare per quanto riguarda la mediana. Al lungodegente Casemiro, infatti, si è da poco aggiunto anche Toni Kroos. La soluzione prescelta è stata il ritorno al doble pivote, affiancando Kovacic (molto più adatto allo scopo, in quanto meno anarchico tatticamente di James) a Modric e lasciando Isco libero da particolari compiti di copertura. Risultato? Da quando il croato ex Inter (oltre il 90% di pass accuracy e 16 passaggi chiave contando entrambe le competizioni) è entrato in pianta stabile tra i titolari, sono arrivate tre vittorie e un pareggio. Segno che, top player a parte, quel che conta di più è la filosofia di gioco alla base di tutto, senza che la squadra si trovi a dipendere dai suoi campioni.

Isco e altri (giovani) elementi

Di Isco, da tempo obiettivo di molte squadre d’Europa, Juventus compresa, Zidane ha sempre detto: «Non si muove da Madrid». Ha avuto ragione: Isco oggi è un giocatore pressoché insostituibile (10 presenze su 13 in Liga) nonché unico nel suo genere. È lui, infatti, a cambiare lo spartito di partite apparentemente chiuse, con quella sua posizione ibrida (un po’ mezzala, un po’ trequartista) che spariglia ogni piano tattico dell’avversario. Contro l’Atlético, Ronaldo a parte, è stato per distacco il migliore in campo: 91% di pass accuracy, avversario diretto saltato praticamente sempre, una presenza costante e ubiqua nella metà campo avversaria. Il tutto in una stagione che promette di essere la migliore della carriera: due gol e altrettanti assist all’attivo, 12 passaggi chiave, una precisione nel tocco che sfiora il 90% (il che è incredibile se si considera che più del 50% dei suoi passaggi sono in verticale), 59% di dribbling riusciti e la capacità di agire tra le linee come nessuno nella rosa merengue.

Ma non c’è solo Isco come candidato al ruolo di rivelazione dell’anno. La possibilità che il Real Madrid si veda obbligato a non poter operare sul mercato a causa della ben nota vicenda del tesseramento di giocatori minorenni, ha spinto Zidane a puntare fin da subito sui giovani: da Marco Asensio, già decisivo nella Supercoppa Europea contro il Siviglia, a Nacho, difensore centrale ritrovatosi titolare nel derby con l’Atlético. Passando per quel Vázquez che proprio nel derby ha ritrovato la titolarità, con tanto di fresco rinnovo fino al 2021.

Gestione dei campioni

Allenare il Real Madrid è un po’ come allenare i Lakers in Nba. L’attenzione mediatica è due volte superiore a quella riservata a qualsiasi altra squadra e la gestione dello spogliatoio è un tema molto delicato. Zidane, conscio di certe dinamiche già da giocatore, cerca il confronto al posto dello scontro, ponendosi su un piano di totale comprensione nei confronti dei suoi fuoriclasse. Il che non vuol dire accondiscendenza ai voleri dello spogliatoio, ma mettere i giocatori nelle condizioni di esprimersi al meglio. Con Ronaldo, dopo le parole al miele espresse dal portoghese («Zizou sa come trattare con i giocatori e per noi è un vantaggio conoscerlo da così tanto tempo. La chiave è lui: ha un grande carisma») e qualche incomprensione dopo la sostituzione contro il Las Palmas, il rapporto è di reciproca stima. Il francese riceve attestati di stima non solo dai giocatori maggiormente beneficiati dalle sue scelte (Isco dice che «con lui ognuno sa quel che deve fare in campo», mentre per Bale «mi trovo molto bene perché mi lascia più libero di svariare da una zona del campo all’altra»), ma anche da chi vede poco il campo, come James («Non ho alcun problema: gioco dove e quando mi dice il tecnico»). Segno di  un uomo che ha il polso e il totale controllo del gruppo che si ritrova ad allenare.

 

 

Nell’immagine in evidenza, Zinedine Zidane durante la finale di Champions League dello scorso 28 maggio (Tiziana Fabi/AFP/Getty Images)