L’uomo giusto al posto giusto

La mano di Stefano Pioli sul cambiamento dell'Inter, ora squadra veloce, verticale, libera ed efficace.

Napoli-Inter 3-0, 2 dicembre 2016. La prima sconfitta in campionato di Stefano Pioli sulla panchina dell’Inter, la seconda in quattro partite dall’inizio della sua gestione. In un’intervista nel post-gara, il tecnico emiliano esprime le sue sensazioni: «Siamo insieme da poco, non abbiamo avuto tanto tempo a disposizione. Stiamo lavorando dal punto di vista mentale, fisico e tattico, nelle altre partite c’erano stati più aspetti positivi che negativi. Stasera non è così: ci sono delle cose da risolvere».

Per una volta, le classiche frasi fatte usate dagli allenatori di tutto il mondo descrivono perfettamente una realtà. Anzi, la anticipano. L’Inter, in effetti, ha risolto parecchie cose che c’erano da risolvere. Da allora, infatti, i nerazzurri hanno solo vinto. Cinque successi in fila, quattro in campionato e uno in Europa League, 10 gol fatti e due subiti. Una squadra che sembra diversa, letteralmente ricostruita. Dal punto di vista mentale, fisico e tattico – proprio come predetto da Pioli. E che, questo è il paradosso, ha battuto la Lazio a San Siro e l’Udinese in trasferta con un solo cambio di formazione rispetto allo 0-3 di Napoli (Murillo per Ranocchia). Dieci calciatori su undici, la loro disposizione in campo: non è cambiato nulla, ma intanto è cambiato tutto. Una dimostrazione, forse la migliore possibile, dell’importanza dell’allenatore. E del valore inestimabile del lavoro sul campo.

Udinese-Inter 1-2

La sensazione, mettendo a confronto l’Inter di de Boer e quella di Pioli, è quella della deradicalizzazione. Ovvero l’incoraggiamento a un’interpretazione meno idealizzata, dogmatica e autodeterminata del gioco. A una versione del tutto più calata nella realtà, la realtà doppia dell’organico e del campionato. Il progetto del tecnico olandese, in realtà, era anche intrigante: dominio della partita attraverso la tecnica, attraverso il possesso del pallone. Automatismi difensivi legati principalmente all’intensità dell’occupazione degli spazi, non esclusivamente alla corsa. Una squadra sistemica, complessa da assemblare.

I dati grezzi della prima parte di campionato non erano assolutamente negativi: il giorno dopo l’esonero di de Boer, si doveva giocare la dodicesima giornata, l’Inter ha una sola occasione creata in meno rispetto a Napoli e Juventus (142 a 141); è quarta per numero di conclusioni in porta (185), terza per numero di tiri effettuati dall’interno dell’area (115); non ha ancora un dominio totale del pallone (è quinta per passaggi effettuati), ma ha una percentuale media di possesso pari al 54%, la terza in Serie A dopo Napoli e Fiorentina. E poi, soprattutto, ha una media di appena 10,3 tiri concessi a partita agli avversari. Un dato “sporcato” dalle 19 conclusioni subite durante la trasferta di Roma. Un dato che è stato leggermente peggiorato dall’Inter di Pioli (ora arriva a 10.6). E che oggi sarebbe il quarto della Serie A dopo quelli di Juventus, Napoli e Atalanta.

Insomma, l’Inter di de Boer non giocava male. O meglio: sembrava giocar male, e nel frattempo non faceva punti. Pagava il suo vero difetto: la mancata conoscenza, in caso di necessità, di variazioni rispetto al piano iniziale, al concetto predeterminato. Cristiano Carriero, sulle nostre pagine, definì l’olandese come un appartenente a una precisa schiera di allenatori, quelli «seguaci di un tipo di gioco che richiede un apprendistato senza scorciatoie». Una condizione tattica e mentale che, per essere efficace, ha sempre bisogno della massima intensità e della assoluta adesione tecnica dei calciatori, soprattutto quando fa riferimento a concetti così ricercati. Una condizione che ha bisogno sempre di quanto visto nel match contro la Juve, giusto per legare il racconto a cose fattive. Un’Inter così si è manifestata solo a tratti nell’interregno de Boer. E questi tratti sono stati troppo brevi e troppo sporadici perché l’olandese potesse sopravvivere, peraltro senza risultati, sulla panchina nerazzurra.

Sembrava poter essere l’inizio di una bella storia: Inter-Juventus 2-1

Pioli è ripartito proprio da qui. Da uno dei concetti chiave del suo credo calcistico. Dal recupero di un’intensità perenne, che potesse essere slegata dall’applicazione dei principi di gioco e diventasse essa stessa un principio di gioco. Possibilmente, il primo dei principi di gioco. Dal punto di vista della disposizione in campo, questa volontà è stata espressa attraverso una differenziazione minima ma sostanziale: il passaggio dal 4-3-3 puro a un 4-2-3-1 dinamico. Il cambio a centrocampo, il passaggio da una disposizione a triangolo rovesciato (un post basso e due mezzali) a triangolo semplice (doble pivote e un uomo a galleggiare tra le linee), ha permesso all’Inter di sfruttare meglio le caratteristiche della sua rosa. In questo modo, infatti, Pioli sta procedendo alla restaurazione tecnica e psicologica di Kondogbia, alla trasformazione di Brozović in centrocampista totale e all’impostazione di Banega o João Mario come creatori centrali di gioco. Il portoghese e l’argentino si alternano in questa posizione atipica, interpretandola con la libertà di movimento garantita dalla presenza, in copertura, di due calciatori. 

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Le heatmap di Joao Mario e Banega. A sinistra, quella del portoghese in Inter-Genoa (i nerazzurri attaccano da sinistra verso destra del campetto). A destra, quella dell’argentino nel match di domenica scorsa contro l’Udinese (l’Inter attacca da destra verso sinistra del campetto). Entrambi si muovono molto sul terreno di gioco e non danno punti di riferimento agli avversari: una libertà che configura un nuovo modo di interpretare i compiti del trequartista centrale del 4-2-3-1.

In attesa del ritorno di Medel, l’esperimento più interessante di Pioli è quello della coppia di centrocampo Kondogbia-Brozović. Il francese, definito da Edoardo Dalmonte (Espnfc) come «il flop della stagione nerazzurra, un calciatore troppo lento per essere considerato una vera forza difensiva», ha risposto con due buone prestazioni alla fiducia che il tecnico emiliano gli ha concesso in occasione di Inter-Lazio e Udinese-Inter. Al di là dei virtuosismi tecnici, l’ex Monaco ha messo insieme 6 eventi difensivi, l”86% dei take-on vinti e pure un’ottima precisione di passaggio, pari all’88%. Meglio di lui, nelle ultime due partite, solo i centrali Miranda e Murillo.

Ancora più convincenti le esibizioni di Brozović, che lo stesso Pioli ha descritto come «un calciatore con le caratteristiche giuste per diventare un centrocampista completo». Il nuovo percorso di costruzione dell’ex Dinamo Zagabria, secondo il tecnico nerazzurro, va esattamente in quella direzione: Brozović svolge i compiti di regista arretrato e quindi primo costruttore di gioco (122 palloni trattati contro l’Udinese, cifra record in campo), è uno dei calciatori che corre di più dell’intera squadra (seconda quota di km percorsi in Udinese-Inter dopo Candreva, 11,8 contro 12,2) ed ha anche mansioni di copertura, tra l’altro svolte con esiti più che soddisfacenti: nelle ultime due partite, 6 eventi difensivi riusciti di media. Il numero più alto tra i calciatori nerazzurri, uguale a quello di Miranda e D’Ambrosio. Che di mestiere, però, fanno i difensori. L’idea di Pioli pare essere quella di assegnare a Brozović il maggior cumulo possibile di responsabilità, di affidargli le chiavi della squadra. Finora, è un tentativo che pare perfettamente riuscito: le risposte del croato, dal punto di vista della quantità e della qualità, e pure dell’atteggiamento mentale, sono state tutte giuste.

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La caratteristica principale dell’Inter di Pioli è lo sfruttamento delle zone esterne di campo. La costruzione della manovra offensiva nerazzurra nasce soprattutto sulle fasce, grazie al lavoro delle catene D’Ambrosio-Candreva e Ansaldi-Perisic. I quattro calciatori, utilizzati in blocco nelle ultime tre partite, hanno portato a un numero di cross impressionante: 34 contro il Sassuolo, 33 contro la Lazio e 30 contro l’Udinese. Questa forte tendenza al gioco laterale era sviluppata anche durante la gestione de Boer (l’Inter è la squadra con il maggior numero di cross-key pass a partita della Serie A, 4), ma attraverso specifiche diverse: l’Inter del tecnico olandese provava ad allargare la palla attraverso la formazione di triangoli di gioco tra esterni, terzini e mezzali; quella di Pioli, invece, utilizza soprattutto l’arma della sovrapposizione. 

Il primo gol di Icardi in Inter-Lazio: i nerazzurri portano due uomini sulle fasce in posizione molto avanzata, in pressione (riuscita) sul possesso avversario. In più, ci sono altri due calciatori a supporto per creare superiorità numerica in zona palla: il principio dell’intensità. La difesa della Lazio non accorcia su Candreva, che offre a D’Ambrosio uno scarico larghissimo, praticamente sulla linea laterale: il principio della sovrapposizione. Il perfetto cross dell’esterno nerazzurro e l’anticipo di Icardi su un pigro De Vrij fanno il resto.

In questo modo, l’Inter si è trasformata in una squadra più veloce, più verticale: si è abbassata la quota di passaggi riusciti necessari per la costruzione del tiro (da 29 a 26), ma contemporaneamente si è alzata la quota di occasioni create per match (da 12,8 a 13,8). Con Pioli in panchina il 47,7% dei key pass arrivano dalle due fasce: un netto aumento rispetto all’avventura di de Boer, durante cui questa percentuale arrivava al 37,8%.

Un grande aiuto, in questa particolare situazione di gioco, arriva dalla nuova interpretazione del ruolo di attaccante da parte di Icardi. L’argentino, secondo de Boer, doveva fungere da riferimento esclusivamente centrale: il suo compito era quello del centravanti aggregativo moderno, ovvero svolgere un lavoro di sponda fissa, di regia offensiva elementare che permettesse alla squadra di salire in maniera armonica. Pioli ha modificato questo set di movimenti, permettendo a Icardi di rimanere in zona avanzata e di svariare molto di più sulle fasce, in modo da creare profondità laddove agiscono i calciatori più tecnici della squadra, alternativamente a destra e a sinistra. Non è un caso che, nella transizione da de Boer a Pioli, Icardi abbia aumentato il numero degli assist decisivi (3 in 7 partite con Pioli, altrettanti ma in 11 partite con de Boer) diminuendo però il numero dei passaggi chiave totali (5 durante la gestione dell’ex tecnico della Lazio, 12 con la guida dell’allenatore olandese). Probabilmente, questa modifica all’interpretazione di Icardi fa parte del “tentativo di Pioli” descritto da James Horncastle: la trasformazione dell’Inter «da squadra Icardi-dipendente a macchina offensiva imprevedibile, in cui anche altri calciatori si spartiscono l’onere del gol».

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A sinistra, la heatmap di Icardi in Inter-Torino (con de Boer in panchina, i nerazzurri attaccano da sinistra a destra): il movimento a fisarmonica del centravanti argentino resta strettamente legato alla zona centrale del campo. A destra, invece, la heatmap di Sassuolo-Inter (Pioli in panchina, i nerazzurri attaccano da destra a sinistra): Icardi rientra molto di mento a centrocampo e ha una maggiore libertà sull’intero fronte offensivo.

Dal punto di vista difensivo, il cambiamento voluto di Pioli è probabilmente il più netto in assoluto: da una difesa posizionale, di squadra, si è passati a un sistema orientato sull’uomo. La testimonianza maggiore di questa trasformazione si legge nel calo di intercetti a partita, vale a dire di passaggi avversari bloccati senza contatto fisico: con de Boer, erano 16,7. Il dato scende a 14 nelle 7 partite della gestione Pioli. In qualche modo, anche questa sembra una scelta d’impostazione orientata allo sfruttamento dell’organico nerazzurro, delle sue caratteristiche: i difensori centrali Murillo e Miranda non hanno una qualità così spiccata di lettura situazionale e preventiva, esattamente come gli interdittori di centrocampo (Medel, Felipe Melo, Kondogbia). Il punto forte di questo gruppo di calciatori è la fisicità, e su quello Pioli sta cercando di (ri)costruire la tenuta difensiva dell’Inter: se gli intercetti sono sensibilmente diminuiti, l’aumento dei tackle tentati per partita è esponenziale, da 33 a 45. La percentuale di quelli riusciti è calata, ma in maniera proporzionata: dal 41% al 37%. Una quota comunque soddisfacente considerando i maggiori rischi derivanti dalla crescita del numero di tentativi.

La struttura di questa analisi è circolare: Napoli-Inter, la prima partita di cui abbiamo parlato, è la dimostrazione di come un sistema difensivo di questo tipo possa andare in difficoltà contro squadre che rispondono con intensità e qualità do possesso all’intensità degli avversari. Che, quindi, muovono il pallone in maniera tanto rapida da mettere in crisi anche un set consolidato di marcature e riduzione degli spazi. 

Il gol di Hamsik, sopra, è un perfetto esempio di sfruttamento dell’errore dell’avversario. Dell’errore dettato dalla troppa intensità, che in questo caso particolare porta a una scelta sbagliata. Quella di Ranocchia e D’Ambrosio, che escono in anticipo su Insigne senza copertura preventiva, vicendevole o di un altro compagno. Il 24 del Napoli accelera la giocata per evitare di perdere il pallone, e a quel punto il baricentro alto (necessario a garantire un certo tipo di lavoro nell’orientamento a uomo) diventa un’arma degli avversari: Hamsik legge perfettamente l’inserimento, Candreva è troppo avanzato per recuperare in tempo e la qualità di tocco di Zielinski fa il resto.

Ovviamente, parliamo di un match che oggi è lontano anni luce: il terzo in campionato della gestione Pioli, il primo contro una squadra dai valori d’organico uguali se non superiori. In pratica, l’inizio del percorso di ricostruzione nerazzurra. Il tecnico emiliano, come detto, ha provveduto a limare certi concetti, quindi a limitare disattenzioni di questo tipo. Tanto da vincere quattro partite di fila, con un solo gol subito. Tanto da apparire, oggi, come un allenatore aderente al progetto e ai calciatori a sua disposizione. Che persegue i principi di gioco adatti per sfruttare le caratteristiche della rosa nerazzurra. «L’uomo giusto al posto giusto», come scritto sinteticamente da James Horncastle su Espnfc. È una frase ragionevole: lo dicono i risultati, lo percepisci nella sensazione di rinnovata fiducia intorno all’Inter. Una squadra che ha riscoperto se stessa grazie al valore inestimabile del lavoro sul campo.

 

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