Anche lo sport teme Trump

Dopo le parole di Mo Farah, Nike ha espresso preoccupazione per i recenti provvedimenti anti-immigrazione.

Quella di Mo Farah è stata la posizione più forte presa da uno sportivo dopo le decisioni anti-immigrazione da sette Paesi islamici prese da Donald Trump: «La regina d’Inghilterra ha fatto di me un cavaliere, Trump ha fatto di me uno straniero». Farah, mezzofondista inglese di origini somale e vincitore di quattro ori olimpici, ha così espresso forte preoccupazione per le misure adottate dal neo presidente degli Stati Uniti. «Sono arrivato in Gran Bretagna a otto anni, e ho avuto l’opportunità di realizzare i miei sogni. Sono orgoglioso di aver rappresentato e vinto per il mio Paese. La mia storia è un esempio di quello che può succedere quando si seguono politiche di accoglienza e non di odio». La Somalia – insieme a Iran, Iraq, Libia, Sudan, Siria e Yemen – è uno dei Paesi su cui Trump ha posto il divieto di immigrazione negli Stati Uniti.

Per Farah, quella di Trump è una politica di «ignoranza e pregiudizio»; una posizione che Nike ha appoggiato tramite un comunicato ufficiale del Ceo Mark Parker, sollecitato proprio dal caso di Farah: «Ora Mo teme che non gli venga permesso di partire dal suo training camp in Etiopia per raggiungere sua moglie e i bambini a Portland. Quello che Mo avrà sempre sarà il supporto della nostra azienda». Il comunicato prosegue con una difesa dei valori della diversità e dell’apertura: «Nike crede in un mondo che celebri la potenza della diversità. Questo è un valore minacciato dai recenti ordini esecutivi negli Stati Uniti. Nike è contro ogni forma di discriminazione: mai come ora crediamo nei nostri valori e nell’apertura come brand e azienda».