L’impensabile epifania di Gabriel Jesus

In meno di 200 minuti in Premier League è riuscito a: segnare tre gol; mandare Agüero in panchina; stravolgere le gerarchie di Guardiola.

Da due partite Sergio Agüero, il terzo miglior marcatore nella storia del Manchester City e uomo da 34 gol nelle ultime 40 partite di Premier, non parte titolare. «A volte succede», si limita a dire l’argentino. No, invece non succede, di solito. A meno che il Manchester City non scopra una nuova versione del Kun, una versione più giovane di nove anni, più spensierata, persino più sudamericana, a suo modo. A Gabriel Jesus sono bastate tre partite da titolare per far innamorare Guardiola: tre gol, compresi i due decisivi nell’ultimo turno contro lo Swansea, e due assist.

Un istante dopo il suo debutto ufficiale: restituisce palla sulla rimessa, movimento in mezzo a tre avversari e fuga sul fondo per mettere un pallone pericoloso in mezzo. Dalla prima azione in maglia City, già si intuisce il suo senso di inafferrabilità

Contro lo Swansea, l’ideale passaggio di testimone è apparso reale. Alla vigilia del match, Guardiola aveva detto che Agüero e Jesus avrebbero potuto tranquillamente giocare insieme. In stagione è successo per soli otto minuti contro il Tottenham, partita d’esordio ufficiale del diciannovenne brasiliano. Jesus largo sulla sinistra, Agüero al suo solito posto in attacco: ma si è trattato di una parentesi episodica, una situazione di gioco temporanea per provare a vincere la partita. Il fatto che alle parole di Guardiola sia corrisposta una scelta opposta, con Gabriel Jesus vertice alto della batteria offensiva del City (come già accaduto contro Crystal Palace in Fa Cup e poi contro il West Ham in campionato), è da intendersi come un messaggio ben preciso. Un’esclusione può avere tanti motivi – turn over, stato di forma adattabilità all’avversario – due esclusioni di fila fanno rumore. Guardiola ha avuto ragione: Gabriel Jesus ha sbloccato il risultato dopo undici minuti. Una rete da opportunista vero: palla vagante nell’area degli avversari, calcio con il destro a mezza altezza, con la palla che, rimbalzando, diventa malevola per Fabianski.

 

Ma è stato molto più in là che la suggestione ha preso corpo. La gara è stata agevolmente controllata dal Manchester City, con lo Swansea che ha concluso appena due volte in porta. Su una di queste, però, Sigurðsson ha segnato la rete del pareggio. Mancavano meno di dieci minuti al termine, e il City sembrava condannato a uno di quegli scenari che tanto hanno agitato il sonno di Guardiola in questi mesi: partite rovinate da una certa indolenza della difesa, apparsa poco reattiva, una volta di più, nell’andare a contrastare il tentativo dell’islandese. È in momenti come questo che serve il killer instinct di Agüero e infatti Guardiola, che autolesionista non è, lo manda subito in campo dopo aver incassato l’1-1. Il Kun è l’uomo del City deputato a risolvere le partite, soprattutto all’ultimo, da quel 13 maggio 2012, quando un suo gol in pieno injury time regalò la vittoria della Premier League alla metà blu di Manchester.

Come fosse al centro di un intrigo dalla valenza edipica, il gol della vittoria in extremis, che spetterebbe di diritto ad Agüero, lo segna il suo alter ego più giovane. Parlando della crescita di Gabriel Jesus, Bruno Petri, che lo aveva allenato nelle giovanili del Palmeiras, aveva detto: «È rapido, è incisivo, soprattutto con il piede destro, ma deve lavorare molto sul colpo di testa». È curioso come il gol fin qui più importante dell’esperienza inglese lo segni con l’ausilio della dote che gli è meno congeniale, anche se il colpo di grazia, dopo la ribattuta di Fabianski, avviene con il tap-in di destro. Ma è sintomatico dell’incantesimo che sembra avvolgere l’approdo di Gabriel Jesus a Manchester: è un giocatore che sembra essere già pronto sotto tutti i punti di vista, per quanto ovviamente non lo sia – anzi, sarebbe inaccettabile per un diciannovenne con alle spalle una quindicina di giorni di Premier League.

 

Ma il senso di tutto questo è più profondo, e coincide solo parzialmente con gli step di crescita personale del brasiliano. Riguarda piuttosto l’aura che lo sta accompagnando in queste prime uscite con i Citizens: è come se Gabriel Jesus giocasse qui da anni, conoscesse Guardiola da anni, e sapesse esattamente e perfettamente cosa fare, come muoversi, dove ricevere palla e a chi scaricarla, e così via. Più di tutto lo sta a sottolineare una giocata contro il Crystal Palace, nella prima partita disputata da titolare, approfittando dell’assenza, anche dalla panchina, di Agüero. Prima l’abile difesa del pallone, aiutandosi con il corpo – che certo, per un ragazzo da 1,75 metri per 73 chili, si deve al lavoro, non a una qualità innata – poi il tracciante panoramico che manda Sterling verso la porta. Il suggerimento in profondità che taglia a fette la difesa avversaria sarebbe già bello di suo, ma in più mettiamo in conto la capacità di aver visto la corsa di Sterling con la coda dell’occhio mentre, per una frazione di secondo, si era inserito nel suo campo visivo.

 

In realtà Gabriel Jesus non esclude affatto la contemporanea presenza di Agüero, come del resto fatto intendere già da Guardiola. In Brasile Jesus ha provato tutti i ruoli offensivi: attaccante centrale, punta in un attacco a due, esterno sinistro. C’è una serie di fattori che ha spinto il tecnico spagnolo a schierare il brasiliano in quella posizione: la volontà di non escludere dall’undici titolare un Sané in grande spolvero; le non irresistibili difese avversarie (lo Swansea è la peggiore del campionato con 54 gol subiti, e anche West Ham e Crystal Palace hanno superato la soglia dei 40); il momento non eccezionale del Kun, con due reti segnate negli ultimi due mesi, complice la lunga squalifica dopo la gara contro il Chelsea. Ma c’è di più. Il messaggio che manda Guardiola ha una precisa valenza: questo ragazzo è forte, credetemi. Agüero rivedrà molto presto il campo da titolare – in un mese che, peraltro, mette in rapida successione ottavo di Champions League e derby contro lo United – ma nel frattempo a Jesus si permette di non dividere il palcoscenico con nessuno. E la cosa che sta lasciando tutti a bocca aperta è che, in questo ruolo così delicato, il brasiliano si sta trovando benissimo.