L’anno del Monaco

La ricetta di Rybolovlev e Jardim per costruire una squadra offensiva e piena di talento.

Il Monaco, da circa due anni e mezzo, ha iniziato a guardare avanti e non più intorno a sé. Ha iniziato a camminare e basta, senza girare la testa per verificare, e nel caso imitare, chi fosse più alto. Ha deciso di costruirsi una propria strada, un proprio modello, ereditando il passato e mettendolo all’interno di una scatola di razionalità, e di realismo. I 160 milioni investiti nella sola estate del 2013, quella di Falcao, Moutinho e James Rodríguez, sono diventati 186 totali tra il 2014 e il 2016, spesi per calciatori come Bernardo Silva, Fabinho, Jemerson, Mendy. Nello stesso periodo, il club di Rybolovlev ha incassato 271 milioni di euro in cessioni, esclusi bonus futuri.

Il riscontro di questo cambio di policy è uno dei progetti più interessanti e ricchi di ambizioni dell’intera Europa calcistica: l’organico dei biancorossi vale 197 milioni di euro (dati Transfermarkt) e ha un’età media di 25,2 anni. Il fascino di questi numeri è una condizione passata – facilmente, fatalmente, felicemente – dalla narrazione del mercato e della rosa ai risultati sul campo: il Monaco che questa sera affronta il Manchester City di Guardiola è primo in classifica in Ligue 1, è reduce dalla vittoria del girone di Champions, è in finale di Coupe de la Ligue e agli ottavi della 100esima edizione della Coupe de France. È una squadra che ha realizzato 108 gol in 51 partite ufficiali in stagione, e che So Foot ha definito «plus fort que Paris». Certo, il pezzo è stato scritto qualche giorno prima che gli uomini di Emery battessero il Barcellona per 4-0. Però la suggestione resta. Anzi, proprio per questo è ancora più forte.

Supremacy: Monaco-Metz 5-0

So Foot racconta in maniera analitica lo scontro diretto con il Paris Saint-Germain, e propone uno spunto sulla differenza sostanziale tra le due squadre: «Il Monaco è più forte perché rappresenta e mette in pratica una vera e propria filosofia di gioco: ogni momento della sua partita è dedicato alla costruzione della manovra offensiva, e questo avviene sempre, contro qualsiasi avversario». Difficile descrivere in maniera più sintetica, eppure completa, la struttura tattica messa a punto da Jardim per la sua squadra. Altrettanto difficile, vedendo giocare il Monaco, pensare che quella di allenatore offensivo sia un’etichetta nuova per il portoghese. Un articolo di outsideoftheboot del 2014 dà una definizione completamente diversa dell’ex tecnico di Olympiakos e Sporting Lisbona: «Jardim ha portato al Monaco la sua reputazione di allenatore difensivo, fondamentale per la Ligue 1». La metamorfosi tattica dell’uomo di Madeira, che nel curriculum vanta pure un’esperienza come allenatore di pallamano, è riuscita a modificare l’opinione degli addetti ai lavori francesi: a fine novembre, L’Equipe gli ha dedicato la copertina, un titolo autoevidente («La revanche de Jardim») e ha sottolineato come «le critiche ricevute al suo arrivo» si siano dissolte nel «gioco seducente del Monaco».

La deduzione logica che scaturisce da questo confronto storico, dalla lettura di questa trasformazione, permette di individuare in maniera più precisa la collocazione di Jardim in un’ideale mappa degli allenatori: Jardim non è un offensivista o un difensivista, ma è antidogmatico, elastico, è un tecnico liquido in grado di adattare le proprie convinzioni e il proprio gioco agli uomini a disposizione. È un lavoratore del talento, che esalta o recupera i suoi calciatori inserendoli in un sistema tattico e in posizioni coerenti con le loro abilità. Due esempi paralleli – differenti ma entrambi esplicativi – di questo coaching style sono la ricostruzione di Falcao e la reinvenzione di Fabinho.

Il colombiano è letteralmente rinato in questa sua prima stagione nel nuovo Monaco: 21 reti in 1815 minuti di gioco in tutte le competizioni – media di un gol ogni 86′ –, il miglior tasso di conversione tra gli attaccanti delle cinque leghe top che hanno segnato più di 10 gol (34,8%). Ma soprattutto la consapevolezza condivisa, da tutti, che il Tigre dovesse necessariamente essere altro rispetto all’attaccante dei primi anni Dieci. Il lavoro mentale e tecnico di Jardim è partito da qui: «Quando ho approcciato Falcao a inizio stagione, mi sono sentito sicuro: avrebbe fatto la differenza, perché è un top player. Il mio staff ed io abbiamo costruito un piano di lavoro con lui, così da poter riscoprire le sue vecchie misure Ha un po’ meno forza rispetto ai tempi del Porto o dell’Atlético Madrid, ma la sua qualità è rimasta intatta. Ora ha anche più esperienza». Le parole del tecnico portoghese sono tratte da un’intervista rilasciata a Le Figaro.

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Il percorso di Fabinho racconta invece la costruzione di una nuova identità tattica, che è insieme la capacità di inquadrare il calciatore, le sue doti e le sue possibilità, e il coraggio della sperimentazione. In realtà, anche i primi scouting report del brasiliano, risalenti al tempo degli esordi in Francia, descrivevano un terzino atipico, dalla struttura fisica imponente (188 cm x 78 kg) e dalla grande abilità di lettura situazionale. Due caratteristiche che rappresentano una parte importante del campionario di un centrocampista. Al termine della prima stagione nel Principato, FourFourTwo segnalava come le sue qualità potessero essere sfruttate anche nella posizione di mediano. Jardim ha seguito quella strada, oggi l’evoluzione è completa e ha partorito un risultato assoluto: Fabinho viene descritto come «le patron de l’équilibre monégasque», come «un calciatore mostruoso nelle sue doti difensive, che lascia volentieri l’applauso per la grande giocata ai compagni e intanto lavora in silenzio per il bene della squadra» (So Foot). In effetti, guardare su Youtube un video di skills o di highlight personali di Fabinho vuol dire osservare un giocatore essenziale, pulito, preciso, apparentemente elementare. Eppure, la sensazione è quella dell’assoluta necessità, nel senso che avverti quanto lo stesso giocatore sia fondamentale per gli equilibri del Monaco. Jardim, l’inventore di questa conversione, si gode i frutti della sua intuizione: ha letteralmente rimodellato Fabinho, rendendolo un calciatore che tutti gli allenatori vorrebbero avere a disposizione.

Accanto a queste due storie borderline, tante piccole vicende più convenzionali di sviluppo del talento. Il Monaco di oggi è un puzzle costruito con pezzi di provenienza diversa: il mercato interno, quello internazionale e il settore giovanile. Tutti e tre i percorsi sono rappresentati nella selezione operata dal sito specializzato Squawka, che ha indicato i cinque talenti della rosa di Jardim «destinati a diventar calciatori di livello mondiale». I risultati della formazione interna sono il lancio in prima squadra di Almamy Touré e Abou Diallo, ma soprattutto la costruzione di Kylian Mbappé, esterno di fantasia subito paragonato a un altro grande prodotto dell’acadamy monegasca, Thierry Henry. Per qualcuno, come l’esperto di Ligue 1 Julien Laurens, Mbappé è potenzialmente superiore a Titì. In questa stagione, il francocamerunese ha messo insieme 1041 minuti in campo, pari a circa 11 partite complete, impreziositi da 11 gol e 8 assist. Ogni 54′ di gioco, Mbappé è decisivo nella creazione di un gol. E ha solo 18 anni.

Accanto a Mbappé e agli altri prodotti del vivaio cresce la imported generation del 1994, un mix tra affari fatti sul calciomercato francese e saggi di scouting internazionale. I 22enni di Jardim sono la spina dorsale della squadra: il terzino sinistro titolare Benjamin Mendy, il mediano Tiemoué Bakayoko e il fantasista portoghese Bernardo Silva. I primi due arrivano rispettivamente dal Marsiglia e dal Rennes, e possiedono la narrativa riconosciuta del potenziale campione: Mendy ha origini senegalesi ma è nato sul territorio francese, a Longjumeau, la stessa città di Jeremy Menéz; a Marsiglia è diventato famoso anche perché il suo allenatore di allora gli ha fatto un discorso che lo esortava a mettere da parte una personalità eccentrica per «poter diventare il numero uno al mondo». Il video di questa chiacchierata motivazionale, fatta sul campo d’allenamento davanti a tutta la squadra, è finito sul web, ed è diventato parte dell’aneddotica infinita di Marcelo Bielsa.

Tiemoué Bakayoko, invece, è il gemello di Fabinho: per Alberto Moren de L’Ecos del Balón, è un calciatore che «sta andando al di là di quelle che erano le sue promesse, dalle incredibili doti fisiche, dalla corsa potente, con le giuste doti per poter disegnare una carriera degna di uno dei suoi predecessori in maglia Monaco».

Un video su Youtube che “assegna” Bakayoko al Man United. Una bella suggestione narrativa, considerando che Yaya Touré è diventato quasi un simbolo del Man City

Bernardo Silva, invece, è il calciatore con la dimensione internazionale più riconosciuta, definita e definitiva. Già al termine dell’Europeo Under 21 del 2015, perso in finale dal Portogallo contro la Svezia, FourFourTwo scriveva di come la sua carriera suggerisse la possibilità di arrivare «a livelli simili a quella di Luis Figo, ultimo calciatore lusitano a conquistare il titolo di Mvp in un’edizione del torneo continentale». L’evoluzione del fantasista portoghese, nonostante la mancata convocazione per il vittorioso Europeo francese dell’estate scorsa, è proseguita su livelli assoluti: nella sola Ligue 1 in corso, 6 gol, 5 assist e altre 38 occasioni create. Numeri che giustificano investiture importanti. L’ultima è arrivata proprio ieri, nella conferenza stampa di presentazione di Manchester City-Monaco: Pep Guardiola l’ha definito «un calciatore fantastico», esattamente «come Thomas Lemar».

Proprio lui, Thomas Lemar, rappresenta l’ultimo grande prospetto della rosa di Jardim. Perché se gli altri calciatori arrivati negli ultimi due anni rappresentano la normalità dell’eccellenza, la testimonianza reale di un settore di ricerca che funziona, che pesca bene sul mercato internazionale (Carrillo, Jemerson, Boschilla, lo stesso Glik) come negli altri club di Ligue 1 (Mendy e Bakayoko, ma anche Germain, Sidibé, Adama Traore), Lemar è la sorpresa assoluta. La pallina del flipper, il calciatore che ti sorprende perché non te l’aspetti, è il talento che ti esplode tra le mani e ti ribalta le gerarchie, le idee di partenza. È costato poco più di quattro milioni nell’estate del 2015, 19enne speranza del Caen, giusto il tempo di un’annata di apprendistato e poi la rivelazione: nella stagione in corso, Lemar mette insieme 7 gol e 6 assist in Ligue 1, con 34 occasioni create e il 69% dei take-on vinti. I numeri si confermano sul palcoscenico della Champions, 2 reti e 9 occasioni create in 5 partite e 12 minuti. Mancino con tendenza a calciare anche col destro, Jardim lo schiera indifferentemente su entrambe le fasce. Nella conferenza stampa di presentazione di Monaco-Cska Mosca, a novembre, Jardim ha definito Lemar «un calciatore che ha grande ambizione». Per un ragazzo di 21 anni alla prima stagione tra i grandi, probabilmente, non esiste aggettivazione che possa assomigliare di più a un complimento.

Thomas Lemar, oppure una definizione video del wonderkid

«Non importa il nome del club che affrontiamo: il Paris Saint-Germain, il Tottenham, il Manchester City, chiunque. Il gioco offensivo è parte del nostro dna, e non cambieremo atteggiamento». Leonardo Jardim si è espresso così, giusto ieri, nella conferenza stampa di presentazione del match tra il suo Monaco e la squadra di Guardiola. La volontà evidente del tecnico portoghese, almeno a parole, è quella di confermare la dimensione di brillantezza e sfrontatezza che ha caratterizzato la stagione del Monaco. Di continuare a insistere nella ricerca dell’estetica anche quando il confronto tecnico, sulla carta, è fortemente sbilanciato in favore degli avversari, per esperienza e qualità assoluta.

In effetti, il Monaco non ha altre possibilità: la forza della squadra del Principato sta nella grande capacità di creare occasioni da gol (13,9 conclusioni per partita); nella varietà di uomini offensivi e di soluzioni d’attacco offerta dal 4-4-2 costruito da Jardim (51 dei 76 gol in Ligue 1 sono stati realizzati in situazioni di open play); nello sfruttamento ossessivo sulle fasce laterali, laddove si sovrappongono i talenti più puri della rosa a disposizione del tecnico portoghese (circa 23 cross di media ogni 90′). Un gioco frizzante, proattivo, spettacolare, che però non dimentica di curare la solidità difensiva: il Monaco concede 9,8 tiri per partita in Ligue 1 (la seconda quota, meglio il solo Psg con 8,5). Questa cifra, in Champions League, scende fino a 9,3 (ottavo posto tra tutte i club partecipanti, una media migliore rispetto a quella di Manchester City, Borussia Dortmund e Real Madrid) e resta praticamente invariata anche negli scontri diretti: le 6 partite più impegnative della stagione – i doppi confronti con Bayer Leverkusen, Tottenham e Paris Saint-Germain – ci dicono che la difesa di Jardim non si muove dalle 9,8 conclusioni concesse agli avversari.

Ovviamente, i numeri vanno però contestualizzati: il Bayer, la squadra più rapida e aggressiva tra quelle affrontate dai ragazzi di Jardim, ha stravinto la sfida a Leverkusen (3-0), ha pareggiato il ritorno al Louis II e ha messo insieme 22 tiri in 180′ di gioco. In un altro match contro un sistema tattico basato sulla velocità e sullo spostamento di molti uomini in fase d’attacco, quello del Lione, il Monaco ha mostrato notevoli difficoltà difensive. Gli highlights della partita raccontano perfettamente le problematiche che la quadra di Jardim fa registrare quando un atteggiamento proattivo degli avversari si sposa con una certa velocità e una buona qualità assoluta dei calciatori.

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La sensazione è che il doppio confronto con il Manchester City sia aperto, ma ancora favorevole ai Citizens. La squadra di Guardiola, seppure ancora perfettibile dal punto di vista tattico, promette il perfetto cocktail tra gioco posizionale, aggressività sul portatore di palla e transizioni veloci che possono destabilizzare il dispositivo difensivo di Jardim. Il tecnico di Madeira, però, ha qualche elemento per pensare positivo: il problema più grave che affligge gli Sky Blues è la mancanza di una reale solidità difensiva. I 10 tiri concessi a partita in Champions sono la perfetta proiezione dei 6 gol subiti nella prima fase, con tutte e tre le squadre del Gruppo C (Barcellona, Borussia Mönchengladbach) in grado di bucare la porta difesa da Bravo.

Sarà una sorta di esame di maturità per gli uomini di Jardim, da affrontare con la consapevolezza che la pressione grava tutta sulle spalle di un avversario apparso finora tutt’altro che imbattibile, seppure titolare di un valore ben più alto, dal punto di vista tecnico ed esperienziale. È un po’ il senso delle altre dichiarazioni che Jardin ha rilasciato nella conferenza stampa di ieri: «Siamo una squadra che funziona, a cui piace giocare. Ma non possiamo ancora paragonarci al City: loro hanno un potere di trasferimento molto più alto del nostro». Come dire: tocca a loro vincere la Champions, o almeno provare a farlo. Noi siamo un’outsider. Una bellissima outsider.

Questa situazione si ribalta nel contesto narrativo della Ligue 1. La squadra di Jardim ha il grande merito di aver offerto un’alternativa realistica, meno approssimativa del Nizza, allo strapotere del Paris Saint-Germain. In realtà la classifica dice che tutte e tre le squadre sono ancora in lizza per il titolo, ma la sensazione è che la corsa si trasformerà presto in un duello tra le due regine. Tra le due squadre più forti, più talentuose, con la base tecnica e tattica più strutturata. Volendo analizzare il tutto, già poter lottare fino all’ultimo sarebbe un successo: negli ultimi tre campionati, la squadra della capitale ha messo insieme un vantaggio di 62 punti totali sui rivali monegaschi. Una differenza enorme, che però è stata assottigliata dal progetto targato Rybolovlev e Jardim. Una differenza che oggi non esiste più, o quasi. Il tecnico portoghese, in una delle ultime interviste incentrate sulla corsa per la Ligue 1 si è destreggiato tra le frasi di circostanza («il nostro vantaggio di tre punti non è niente») e le parole di uno che ci crede: «dobbiamo stare attenti a tutto, anche a un granello di sabbia: la macchina potrebbe incepparsi». Lo sa anche Jardim: questo potrebbe essere l’anno buono. Quando impari a camminare guardando soltanto in avanti, del resto, diventa possibile arrivare anche prima degli altri.