I migliori delle peggiori

Sei giocatori delle ultime squadre della Serie A protagonisti di un ottimo campionato.

Anche nelle peggiori stagioni c’è sempre qualcosa da salvare. Setacciando le rose delle ultime sette squadre della Serie A, non mancano i giocatori che potrebbero far comodo anche a squadre di alta classifica. Qualcuno si sta affermando in questa annata, di altri se ne parla da molto e si attende l’esplosione, di alcuni non si sapeva granché al via del campionato. Ecco i loro nomi.

Ladislav Krejčí, Bologna

La stagione del primo calciatore ceco della storia del Bologna si divide in due, un po’ come per il resto della squadra. L’inizio è scoppiettante: in 5 giornate, ben 3 assist distribuiti tra Verdi e Destro. Con il suo mancino in un vero tridente ha dimostrato di avere ottimi tempi di inserimento, ma soprattutto la capacità non comune di trovare il compagno con palloni tagliati dalla linea di fondo. Le difficoltà di Donadoni si sono però riverberate su di lui. L’incostanza di un punto di riferimento centrale come Destro e la mancata assistenza dall’altro lato di una “seconda punta” atipica come Verdi (causa infortunio) ha costretto Krejčí prima a stringere verso il centro, e poi successivamente ad allungare il campo davanti a lui. Guardando la sfida contro la Sampdoria, lo si è visto pensare più alla marcatura del terzino destro Bereszyński che non alla fase offensiva.

Krejčí può ben interpretare anche il ruolo di esterno sinistro in un centrocampo a cinque; in questo modo però si vengono a disperdere le qualità che ha mostrato di avere con la maglia dello Sparta Praga: in 5 anni è sceso in campo per 168 volte, realizzando 35 reti e lo stesso numero di assist. Numeri alti che si scontrano con la realtà bolognese (1 gol e 5 assist). In questo periodo si sta sacrificando per la squadra, accettando ogni richiesta da parte di Donadoni. Con il ritorno in pianta stabile di Verdi e Destro, si spera che Krejčí possa tornare a cercare la linea del fondo con continuità e con quella qualità che in Serie A pochi hanno.

Krejci passa attraverso i difensori

Ahmad Benali, Pescara

La carriera di Benali è segnata da un enorme fallimento e da più resurrezioni. Nasce a due strade da Maine Road, in pratica all’ombra dello stadio del Manchester City. Cresce nella sua Academy e ne diventa un calciatore simbolo per qualità e carisma; poi, nel 2008, cambia tutto. Arrivano tanti, troppi soldi e il City “dimentica” di avere un settore giovanile; il miglior momento del club coincide con la peggiore situazione per i tanti ragazzi “fatti in casa”. Benali è uno di questi: viene ceduto in prestito a Rochdale, squadra di terza serie, nel 2011. Non ha successo, ma dall’Italia viene comunque notato e portato, a parametro zero, a Brescia. Risorge nella serie cadetta e il Palermo di Zamparini se lo prende per farlo giocare in A. Iachini non lo apprezza e viene rispedito di nuovo in prestito, stavolta con diritto di riscatto, a Pescara. Questo sarà il luogo della sua definitiva resurrezione: 5 gol l’anno scorso, di cui uno in finale playoff, e 5 in questa stagione.

Benali considera se stesso il primo libico ad aver giocato “realmente” in Serie A, cercando quindi di rimuovere la triste esperienza umbra di Gheddafi. In realtà rappresenta calcisticamente la Libia, ma nel Paese manca da molto tempo e le sue origini sono un melting pot di culture, tra Inghilterra, Nordafrica, Germania e Scozia. Fin dalle prime partite in questa stagione ha dimostrato le sue qualità tecniche. È una mezz’ala con un’evidente propensione al gioco offensivo. Ha un buon destro, dribbling secchi e una spiccata capacità nell’inserimento, favorita dalle sue doti atletiche di resistenza e rapidità. Ciò che stupisce è la forza caratteriale che lo spinge ad assumersi responsabilità nei momenti topici della partita: la tripletta messa a segno contro il Torino, quando tutto pareva (ed era) perso, non deve sembrare una casualità. Vuole essere importante per la squadra, lo è stato e lo sarà ancora di più con Zeman. Contro il Genoa lo abbiamo visto agire in una zona non sua, la fascia destra, alla quale però pare doversi adattare. Le sue caratteristiche piacciono al boemo che vede in lui non tanto un centrocampista box to box, quanto un esterno offensivo molto verticale e capace di coprire entrambe le fasi al meglio.

Il primo gol di Benali con Zeman

Nicolò Barella, Cagliari

Un altro calciatore che in un certo senso è cresciuto nel segno di Zeman è Nicolò Barella. In realtà si tratta di un prodotto purissimo di Cagliari che va ben oltre il legame a un mister o a una stagione in particolare. Pur essendo un classe ’97, il boemo nella stagione 2014/15 ha il merito di averlo portato qualche volta in panchina, mentre a farlo esordire, in Coppa Italia, ci ha pensato poco dopo Gianfranco Zola. La sua ascesa, molto rapida a livello giovanile, in quel momento ha iniziato a rallentare: in un calcio molto fisico, la sua stazza lo ha penalizzato. Partito come un trequartista (ai tempi dei Giovanissimi impiegato addirittura come attaccante), ha arretrato la sua posizione fino ad arrivare a giocare davanti la difesa come regista. Il mister che lo fa esordire in Serie A, Gianluca Festa, nella scorsa stagione ha deciso di portarlo con sé a gennaio a Como. Il suo rendimento lombardo è stato ondivago, ma la posizione che Festa gli ha cucito nel suo 4-3-1-2 è chiara e definita: una mezz’ala “tuttocampista”.

Nell’attuale stagione cagliaritana si sta affermando come un centrocampista dinamico, determinato e tecnico. All’ottima visione di gioco associa una buona corsa che lo ha portato ad ampliare il suo raggio d’azione dalla propria area a quell’avversaria. Somiglia per certi aspetti al primo Verratti, ricalcando anche i suoi iniziali difetti, come la poca incisività negli ultimi metri. Bisognerà comprendere quanto possa essere utile per la sua carriera lavorare sui suoi movimenti nella metà campo avversaria o se arretrerà la sua posizione, proprio come ha fatto il centrocampista abruzzese ora a Parigi, diventando un vero regista.

Lungolinea in verticale per Farías

Assane Dioussé, Empoli

Assane Dioussé compirà a settembre venti anni. Già tre stagioni fa però, nell’inverno del 2014, si parlava di lui come di una sicura promessa del calcio internazionale. Il suo destino, infatti, è legato a due guru passati per Empoli: Sarri e Giampaolo. Il primo se ne innamora proprio in quell’inverno, non lo fa tornare in Primavera e vede in lui un possibile sostituito di Valdifiori. Quando il centrocampista romagnolo segue il suo mister a Napoli, Giampaolo decide immediatamente di far esordire il giovane senegalese e di inserirlo subito tra i titolari. Della sua sfacciataggine a San Siro contro il Milan ne hanno parlato tutti. Di lì in poi però il clamore attorno a lui è parso scemare. Le presenze in campionato a fine stagione sono 15. Tante per un diciottenne, poche per le attese che si erano concentrate su di lui.

Dioussé, che all’apparenza sembrava uno dei giovani “più pronti” per la Serie A, si è dimostrato un diamante grezzo, naturale e dal grande valore, ma ancora da intagliare, pulire e modellare. Come regista coniuga un’alta precisione nei passaggi a chiare capacità di interdizione. Sempre molto basso sulle gambe, pronto al contrasto, non eccelle nella corsa e la maggior parte dei suoi movimenti avvengono in orizzontale, lungo una linea parallela rispetto alla difesa. A muoversi in verticale è invece sempre il pallone; ha una buona tecnica di base, ma sa quanto in quel ruolo di regista conti toccare poche volte il pallone e rischiare il meno possibile. Ha sempre detto di ispirarsi a Thiago Motta, di certo superiore a Dioussé per tecnica ma nettamente inferiore per mobilità.

Dioussé a occhi chiusi contro Mandzukic a porta sguarnita

Ilija Nestorovski, Palermo

Di attaccanti arrivati in Serie A da campionati stranieri di medio livello con la nomea di goleador e rispediti prontamente indietro ce ne sono stati molti. Zamparini ne sa qualcosa. Ad inizio stagione l’investimento, a dire il vero poco oneroso (500mila euro) verso il macedone Ilija Nestorovski non soddisfa i tifosi rosanero, abituati a ben altri nomi in attacco. Eppure Nestorovski arriva con tre titoli di capocannoniere consecutivi nel campionato croato, conquistati con 69 goal in 90 partite con la maglia dell’Inter Zapresic. Lo scetticismo attorno a lui è fomentato anche dai media, che lo penalizzano nei giudizi per le sue prime uscite.

Tra settembre e ottobre però cambia tutto: segna con il Crotone, con l’Atalanta e con la Sampdoria. Tre gol da attaccante puro che portano i primi punti in casa Palermo. Di qui in poi la squadra non può più fare a meno di lui. A chiosa di questo splendido periodo c’è anche il gol con cui punisce l’errore a centrocampo di Verratti nella sfida per le qualificazioni al Mondiale 2018, Macedonia-Italia. Davanti al trio difensivo juventino non ha paura e trafigge Buffon. Nestorovski a 27 anni è finalmente esploso nel calcio “che conta”; non è dotato di qualità come il dribbling o la velocità, ma è un numero 9 vecchio stampo, con un ottimo senso del gol e una consapevolezza innata di dove si trovi la porta in ogni porzione del campo in cui si colloca. Esemplare è il fatto che tutti i dieci gol in stagione sono avvenuti dentro l’area.

Nestorovski sa sempre dov’è la porta

Gian Marco Ferrari, Crotone

Il difensore classe 1992 era tra i giocatori più attesi della squadra neopromossa calabrese e, seppur in un contesto difficile, non sta deludendo. È un mancino naturale dal fisico possente e una duttilità tattica che ha mostrato già nella scorsa stagione in Serie B. Può giocare infatti sia da centrale sia da terzino sinistro, ruolo che interpreta anche con un sorprendente atteggiamento propositivo. A 25 anni è arrivato in Serie A, dopo un lungo percorso di gavetta, che di fatto lo ha forgiato facendogli vivere ogni singola categoria dall’Eccellenza, passata a Monticelli Terme nel 2010/11, alla Lega Pro di due anni dopo a Gubbio. Lì si fa notare al fianco di Goldaniga e non a caso viene riscattato prontamente dal suo Parma, che lo gira immediatamente in prestito al Crotone di mister Drago. Il fallimento degli emiliani lo “costringe” a rimanere in Calabria, dove diventa protagonista della prima storica promozione. Il prossimo anno lo vedremo sicuramente con un’altra maglia, forse Genoa o Sassuolo. Sarà un altro piccolo gradino scalato nella sua giovane ma al tempo stesso lunga carriera.

Ferrari fa il Nainggolan contro Nainggolan

Diego Laxalt, Genoa

Quando è arrivato a Genova, nel 2015, lo scetticismo nei suoi confronti si è espresso in 6 mesi di scarso impiego. Veniva dalle non positive esperienze dell’Inter, che ha avuto il suo cartellino fino all’estate scorsa, di Bologna e con l’Empoli. A comprendere al meglio come sfruttare le qualità di velocità e resistenza di Diego Laxalt sulla fascia sinistra, è stato Gianpiero Gasperini nel suo 3-4-3. L’uruguagio è diventato in poco tempo un calciatore completo: tanti chilometri macinati in campo sempre a grande velocità, dribbling che permettono di guadagnare la superiorità numerica offensiva, qualità in interdizione e anche qualche goal per non farsi mancare nulla. È la dimostrazione che la prestazione passa da un’ottima preparazione fisica. Juric non ha potuto fare a meno di lui, riproponendo, in parte, lo stesso sistema di Gasperini. Sulla catena di sinistra si è sviluppato a lungo il gioco genoano, espresso nella seconda parte del 2016 dal trio Laxalt, Rincon, Ocampos. Tecnica ed intensità che hanno costretto le difese avversarie a collassare sulla fascia sinistra, lasciando maggiori spazi all’azione centrale di Simeone.

Laxalt dribbla tutti