Il centravanti è cambiato

L'evoluzione della prima punta è una delle chiavi tattiche del gioco moderno: oggi esistono varie tipologie di attaccanti, con caratteristiche differenti.

Nel 2008, il Guardian pubblica un approfondimento tattico firmato da Jonathan Wilson. Il titolo è “The end of forward thinking“, la foto in apertura immortala Fernando Torres, allora 24enne centravanti del Liverpool. El Niño viene presentato, nel sottotitolo, come «esemplare in via d’estinzione». Il senso del pezzo appare chiaro già dopo un’occhiata sommaria, superficiale: l’attaccante, inteso in senso classico, sta scomparendo. O comunque sta modificando il proprio set di compiti e movimenti, e di conseguenza anche le sue caratteristiche fisiche e tecniche. All’inizio del testo c’è una quote di Carlos Alberto Parreira, che risale al 2003: «Il sistema di gioco del futuro è il 4-6-0». Guardiola e la sua frase «il nostro centravanti è lo spazio» sono lontanissimi; il falso nueve è una dicitura che non esiste, un’evoluzione ancora impensabile.

Il 3 novembre del 2016, Jonathan Wilson scrive un altro pezzo di approfondimento tattico, sempre sul Guardian. Il titolo, questa volta, è la formulazione di una domanda: “What is a center-forward?”. Nel testo, si parte dall’analisi del rapporto tecnico tra Guardiola ed Agüero per spiegare l’evoluzione moderna del centravanti, i cui compiti «non possono più limitarsi al solo tentativo di fare gol».

In otto anni, è cambiato tutto più di una volta. Nel frattempo, la narrazione tecnica e tattica del calcio è stata caratterizzata dal tentativo di definire e ridefinire il concetto di punta centrale. Un discorso che occupa ancora una posizione predominante, assoluta. Eppure mai definitiva. È lo zeitgeist del football di oggi, è un percorso che si aggiorna e non arriva mai a una conclusione, anche perché si rinnova senza soluzione di continuità. Gli stessi uomini offensivi, insieme ai tecnici, si divertono a mischiare le carte. Cambiano i sistemi e i principi di gioco, cambiano le tendenze tattiche. Quindi, la conseguenza logica: cambia il modo di essere attaccante, di interpretare il ruolo. C’è una grande varietà di possibilità.

Sergio Agüero, interpretato da Guardiola: highlights personali di Man City-Monaco.

Jonathan Wilson, nel secondo degli articoli citati in alto, quello più recente, scrive una frase molto suggestiva: «The days of the poacher are over». La traduzione letterale di poacher è bracconiere. Ma l’utilizzo del termine è contestualizzato, è la descrizione dell nostro tempo. Gli allenatori degli anni Dieci vogliono un centravanti partecipe al gioco, inserito nei meccanismi della squadra, nella costruzione della manovra. Le statistiche riferite ai migliori cannonieri delle cinque leghe più importanti d’Europa sono un’ulteriore conferma di questa tendenza: i dati delle coppie che comandano la classifica marcatori di Serie A, Liga, Bundes, Premier e Ligue 1 dicono che sette attaccanti su dieci superano le 25 occasioni create (key passes più assist decisivi). Il primo in questa graduatoria è Messi (55 occasioni create); dietro di lui Belotti (41), Suárez (38), Lacazette (35), Icardi (33) Lukaku (33), Kane (30) e Džeko (26). I tre calciatori che non raggiungono questo score alternativo sono Aubameyang (18), Lewandowski (18) e Cavani (12).

Una possibile definizione di questo nuovo idealtipo di calciatore è centravanti associativo, e Sergio Agüero rappresenta una sintesi perfetta di questo modello. Il Kun è un giocatore dalle grandissime doti realizzative, in grado di interpretare al meglio il ruolo di terminale offensivo. Ma sa essere anche altro, perché sa fare altro: accorciare la squadra retrocedendo a centrocampo, porsi come riferimento per la distribuzione del gioco, rappresentare l’uomo da servire e da cercare a tutto campo, in orizzontale e in verticale, per sviluppare la manovra offensiva. Nei primi 100 secondi del montaggio in alto, che corrispondono al 35esimo del tempo di gioco reale, l’attaccante del City tocca la palla per tre volte nell’area di rigore avversaria: un controllo a seguire, un anticipo sul portiere per evitare la pressione della sua uscita e abbandonare i sedici metri e un tentativo di deviazione su un cross. Sotto, la heatmap dell’argentino riferita all’intero match contro il Monaco. È un’illustrazione del calcio moderno.

kun

Il centravanti associativo è un modello tecnico di compromesso, di sintesi tra la fase di conclusione dell’azione e la regia offensiva. Nasce in seguito all’affermarsi dei sistemi di gioco moderni, che contemplano la presenza in campo di una sola punta. Un’evoluzione descritta perfettamente in un’intervista-approfondimento di Craig Bellamy e Jamie Carragher, pubblicata da Sky Sports. All’interno del testo, ci sono due grafiche significative: gli schieramenti offensivi riferiti alla prima giornata della Premier 2001/2002 e quelli di un weekend dell’ultima edizione del campionato inglese. A fronte di soli tre allenatori che, a dicembre 2015, scelgono di schierare due attaccanti di ruolo, ad agosto 2001 ce n’è solo uno che adotta il modulo a una sola punta. Si tratta di Alex Ferguson, che affida tutto il reparto offensivo del suo Manchester United a Ruud Van Nistelrooy. Non a caso, un attaccante considerato atipico, «a metà tra il numero nove e il numero dieci». Uno dei primi centravanti associativi. Un progetto embrionale che, secondo Bellamy e Carragher, sarebbe stato perfezionato da Mourinho e Drogba nel Chelsea 2004-2007. E avrebbe portato a un nuovo livello il concetto di attaccante nell’economia e nella percezione del gioco: «Il grande centravanti non è più, necessariamente, il miglior realizzatore del mondo. È soprattutto un calciatore in grado di fornire una presenza fisica importante, che permetta ai centrocampisti e agli altri uomini offensivi di scivolare nella difesa avversaria nei corridoi che si creano intorno a lui».

L’altro percorso d’evoluzione che si sviluppa parallelamente, a partire da un certo momento in poi, è quello del falso nueve. La traduzione letterale, semplice e semplicistica, non rende giustizia alla profondità di un concetto molto ampio, legato all’esplosione di un progetto calcistico complesso e rivoluzionario: il gioco di posizione. Una ricostruzione storica della chiave tattica è stata pubblicata dal Guardian, nel 2009, a firma Jonathan Wilson. E parte dalle esperienze di Mathias Sindelar, simbolo del Wunderteam di Hugo Meisl (l’Austria degli anni Trenta) e di Nandor Hidegkuti, centravanti arretrato dell’Aranycsapat (l’Ungheria degli anni Cinquanta)fino ad arrivare all’espressione moderna di Lionel Messi, Carlos Tévez e Francesco Totti. Il rapporto tra il gioco di posizione e il concetto di falso nueve viene approfondito in un pezzo di Sam Tighe su bleacherreport: «La filosofia del possesso esasperato che Guardiola ha adottato al Barcellona si sposa perfettamente con le caratteristiche di Leo Messi. L’argentino contribuisce a muovere continuamente i centrali difensivi avversari, facendosi servire in profondità ma anche in zone di campo più arretrate. La sua estrema qualità nel servire i compagni permette agli altri calciatori di inserirsi negli spazi creati dai suoi continui movimenti, una situazione di gioco fondamentale per il progetto tattico dei catalani: conquistare la superiorità numerica nella zona in cui si trova il pallone».

L’esasperazione di questa teoria tattica è il tentativo di conversione di Cesc Fàbregas in “attaccante”, attuato con successo da Del Bosque a Euro 2012. Una ricerca su Google con la chiave “Fàbregas strikerless Spain” permette di intercettare una vera e propria letteratura su Spagna-Italia 1-1, il primo match di Euro 2012 in cui il ct iberico lanciò l’esperimento tattico. Quasi scontata la presenza del pezzo di Jonathan Wilson sull’Independent, che si apre con una curiosa quote profetica divenuta realtà: «Il futuro del calcio è il modulo 4-6-0». Lo disse Carlos Alberto Parreira nel 2003, ma questo lo sapevamo già.

Un anno solare da falso nueve, e 91 gol totali

Nel 2017 il concetto di centravanti è trasversale, nel senso di caratteristiche fisiche e tecniche degli interpreti del ruolo. La tendenza generale è l’utilizzo di moduli con un solo attaccante vero, ma la varietà nella scelta e nell’applicazione dei principi di gioco da parte degli allenatori garantisce spazio a diversi tipi di punte. Una lettura interessante, in questo senso, è quella proposta da Richard Jolly su Espnfc: «Lukaku e Firmino occupano i poli opposti nello spettro dell’attaccante moderno, appartengono a due gruppi diversi eppure rappresentano le prime scelte, nel reparto offensivo, dei due tecnici Koeman e Klopp». La stessa cosa avviene in Serie A, ed è la proprio classifica dei cannonieri a sottolineare il grande assortimento di centravanti del nostro campionato. I primi sei posti sono occupati da sei prototipi diversi di calciatore: Belotti, Džeko, Icardi, Higuaín, Mertens e Immobile.

Citando Richard Jolly, si può dire che lo spettro sia assolutamente completo: due centravanti associativi puri, dalla grande capacità tecnica e di regia offensiva (Higuaín e Icardi); una riscrittura della vecchia torre d’area di rigore, dell’english forward adattato al nostro tempo (Džeko); un falso nueve, pur se con skills differenti rispetto ai grandi interpreti del ruolo (Mertens); un attaccante di movimento, di grande corsa e freddo in zona gol (Immobile); e una prima punta completa e ibrida, apparentemente centravanti classico – bravo di testa, eccellente nelle scelte di coordinazione e conclusione – ma in realtà protagonista di una crescita assoluta anche in riferimento al contributo offerto alla manovra (Belotti).

Ovviamente questa divisione in gruppi va “confrontata” con l’aderenza ai principi di gioco che i vari calciatori mettono in pratica. Proprio Higuaín e Icardi rappresentano l’esempio perfetto, dal punto di vista statistico, per verificare la reazione di due profili dalle caratteristiche simili in due sistemi differenti. La regia offensiva di una squadra verticale e frenetica come l’Inter di Pioli non può tradursi in un grande numero di palloni giocati da Icardi, ma le grandi doti di lettura situazionale permettono all’attaccante argentino di essere comunque decisivo in fase di rifinitura. Il capitano nerazzurro è il primo centravanti della Serie A per numero di assist decisivi (8), terzo per key passes (25), eppure è appena ottavo – in una graduatoria di sole prime punte – per numero di passaggi totali (341). In pratica, Icardi confeziona un’occasione da rete ogni 10,3 appoggi, e tira 4,94 volte, in media, per arrivare al gol: è la qualità che emerge sempre, in tutte le occasioni in cui viene chiamata in causa, per un sistema che lo adopera tantissimo in fase conclusiva ma fa di lui un’alternativa, non una fonte primaria, nella costruzione della manovra.

Mauro Icardi e il concetto di regia offensiva

Il caso di Gonzalo Higuaín è ancora più emblematico. Rispetto a Icardi, il Pipita è più coinvolto negli scambi coi compagni (520 passaggi totali), ma la manovra avvolgente e sincopata della Juventus fa sì che la sua incidenza nella rifinitura del gioco sia più bassa: per l’ex centravanti del Real Madrid, un’occasione creata ogni 24 passaggi. Eppure durante l’ultima stagione della sua esperienza al Napoli, Higuaín era l’assoluto centro di gravità della squadra di Maurizio Sarri: terminale unico della manovra (182 conclusioni in 35 partite), ma anche creatore di gioco (49 passaggi chiave). Il cambio di contesto tattico, il passaggio da un dispositivo armonico, collettivo e interconnesso a un approccio che predilige un’azione offensiva più compassata e legata alle individualità degli esterni e di Dybala, ha abbassato le sue statistiche in fase di costruzione: da 27 a 22 passaggi ogni 90′, da 1,49 a 0,81 key passes per partita. Incide, su questi dati, la differente interpretazione del ruolo secondo i sistemi di Allegri e Sarri, anche in fatto di semplici movimenti. Sotto, il confronto tra una heatmap della scorsa stagione (Napoli-Chievo, a sinistra) e una riferita al campionato in corso (Juventus-Palermo, a destra). Higuaín sarà anche utilizzato con compiti meno associativi, ma il suo contributo realizzativo è invariato rispetto all’annata del record di gol in Serie A: un gol ogni 5 conclusioni nel 2015/2016, uno ogni 5.1 in questo campionato.

higuain map

«Mertens è rapido, agile, ha le qualità per finalizzare l’azione in molti modi diversi, attraverso conclusioni di potenza oppure di precisione. La forma del belga ha permesso a Sarri di non perdere qualità assoluta e capacità realizzativa dopo l’infortunio di Milik». Sheridan Bird descrive così, sul Daily Mail, l’esperimento tentato dal tecnico del Napoli per sopperire alla mancanza di un centravanti aderente al suo progetto tattico. Le frasi del columnist inglese sono perfette perché spiegano il calciatore e, insieme, raccontano un processo di conoscenza e adattamento duale, Mertens alla nuova dimensione tattica e la squadra a Mertens. Bird utilizza la dicitura del falso nueve, ma in realtà Sarri ha disegnato per Mertens un ruolo più vicino alle sue caratteristiche: l’ex Psv, più che retrocedere sulla linea della trequarti e aprire gli spazi agli inserimenti dei centrocampisti, viene utilizzato come punta di movimento, come riferimento in zona d’attacco per cercare la conclusione o gli scambi veloci con le mezzali e i due esterni offensivi. Mertens crea un’occasione per i compagni ogni 15 appoggi tentati (32 passaggi chiave e quattro assist decisivi su 546 appoggi totali), ma soprattutto tira tantissimo verso la porta: 102 tiri, 4.08 per match, di cui il 61% nello specchio della porta. Nessun calciatore con più di 70 conclusioni in Serie A ha fatto meglio di lui in quanto a shot accuracy. Dopo un adattamento lungo e complesso, il Napoli ha addirittura migliorato la sua produzione offensiva (65 gol in campionato contro i 59 della passata stagione alla 28esima giornata) passando da un centravanti associativo classico a un fantasista trasformato in punta centrale. E offrendo un nuovo check point tattico al campionato italiano.

Lettura dello spazio intermedio tra difesa e centrocampo, stop di sinistro con dribbling e controllo orientato, difensore centrale “risucchiato” e saltato in velocità, conclusione immediata di destro: il falso nueve, cover di Dries Mertens

Questa sera Lazio-Torino metterà di fronte Ciro Immobile e Andrea Belotti: due esperienze di grande rilievo tecnico-tattico per il nostro campionato, forse i primi attaccanti italiani di alto livello realmente calati nel tempo dei centravanti aggregativi. Le caratteristiche dei due calciatori sono differenti, e vengono esaltate in contesti di gioco che possiamo definire appositi, disegnati su di loro. Daniele Manusia, nell’intervista-ritratto di Immobile pubblicata da Undici, ha descritto così il centravanti della Lazio: «Sembra nato per cambiare direzione senza rallentare, per rimbalzare sugli avversari senza cadere e tenere più o meno sotto controllo la palla a velocità e in condizioni di equilibrio tali che se tutti giocassero come lui nel calcio dovrebbero introdurre delle protezioni tipo football americano». Parole suggestive e pienamente descrittive del ragazzo di Torre Annunziata. Che, a questo naturale (ed estremo) dinamismo, mette accanto: una lettura situazionale sempre più lucida, una grande capacità di coordinazione e un istinto assoluto nella ricerca della conclusione, in ogni situazione. Immobile è il secondo calciatore della Serie A per tiri tentati, 102, e conclude benissimo verso la porta: il 59% dei suoi tentativi entra nello specchio. È il centravanti perfetto per la Lazio di Inzaghi, perché ha la gamba e la forza per attaccare la profondità,ma anche la qualità per duettare e aprire spazi agli altri uomini offensivi, Keita, Felipe Anderson, Milinkovic-Savic. Le 27 occasioni create (25 key passes e due assist decisivi) sono una certificazione statistica: Immobile, pur con skills personali e particolari, è a pieno titolo un centravanti moderno, associativo.

Scatto lungo ad attaccare la profondità, controllo e destro a superare l’uscita del portiere: un video che è un ritratto di Ciro Immobile

Uno dei problemi intorno ad Andrea Belotti è la retorica narrativa del paragone. Che, in qualche modo, finisce per descrivere sommariamente un calciatore ancora in piena formazione, che sta inventando sé stesso secondo un canone in realtà molto diverso rispetto ai centravanti a cui è accostato. All’estero, soprattutto i giornalisti anglofoni, lo avvicinano ad attaccanti classici del passato: FourFourTwo cita Alan Shearer, bleacherreport chiama Vieri e Vialli. In realtà, le qualità da “ariete” di Belotti sono una parte del tutto: come ha scritto Francesco Paolo Giordano nella storia di copertina dell’ultimo numero di Undici, Belotti «sta già cambiando l’orizzonte dell’attaccante italiano, […] è l’evoluzione del centravanti, meno egoista e più funzionale, come testimoniano i 4 assist della scorsa stagione e i 3 della prima parte di questa. E nell’1,9 di passaggi chiave a partita, quattordicesimo in assoluto in Serie A, primo tra gli attaccanti centrali in una classifica monopolizzata dai centrocampisti». Parlare di grande realizzatore che studia da centravanti aggregativo non è un azzardo, anzi.

Segnare in tutti i modi

La Serie A completa la sua offerta tattica degli attaccanti con le interpretazioni particolari del ruolo di Džeko, Petagna e Kalinić. Il bosniaco offre una rilettura abbastanza classica dei compiti del centravanti, eppure perfettamente aderente alle necessità tattiche di un sistema strutturato e fluido come quello di Spalletti. Džeko è il calciatore che tira di più (5 volte a partita) della squadra che tira di più in Serie A, si esalta nella ricerca e nella lettura degli spazi per la conclusione (4.36 conclusioni per match dall’interno dell’area di rigore, nessuno meglio di lui), ma offre anche un contributo importante nella costruzione del gioco: 26 occasioni create su 625 passaggi totali, che sono la prima cifra tra gli attaccanti centrali in Serie A. Il bosniaco rappresenta, insieme, una fonte e il terminale di gioco di una Roma costruita intorno a lui, alla sua fisicità e alla sua presenza nella sedici metri avversaria.

Un po’ la stessa idea di assoluta centralità che caratterizza il rapporto tra Petagna e l’Atalanta e Kalinić e la Fiorentina. Il prodotto delle giovanili del Milan e l’ex Dnipro sono appartengono al gruppo dei centravanti tattici nella nostra Serie A. Il primo è una specie di apriscatole offensivo, che ha soffiato il posto a due attaccanti dalle caratteristiche completamente diverse (Paloschi e Pinilla), in nome di una fisicità debordante utilizzata soprattutto per proteggere il pallone con il fisico e permettere ai compagni di risalire il campo. In realtà, la narrazione sulla sua tecnica di base “approssimativa” è una forzatura: su 564 palloni giocati, quarta quota assoluta tra i centravanti in Serie A (dopo Džeko, Immobile e Nestorovski), Petagna ha un’accuracy dell’83%. E ha costruito 42 occasioni da gol tra passaggi chiave e assist decisivi. Nessuno come lui, neanche Belotti (che si ferma a 41). In questo modo, per tutto questo set di contributi tattici, Gasperini bilancia un apporto minimo in fase realizzativa: 5 reti totali su 49 conclusioni verso la porta.

Diverso invece il discorso su Kalinić, definito da outsideoftheboot come «Un calciatore in grado di leggere preventivamente il gioco, di sfuggire al pressing avversario. È un attaccante in grado di aprire spazi per i compagni ma anche di concludere in prima persona, grazie a un ottimo controllo della palla negli spazi stretti». Il lavoro di Kalinić è sfiancante: il croato spazia su tutto il fronte offensivo alla ricerca di spazi da attaccare, soprattutto in verticale, ma è anche il terminale offensivo più pericoloso a disposizione di Paulo Sousa. Le sue 68 conclusioni valgono il 13esimo score assoluto in Serie A, il suo 63% di accuracy è la percentuale maggiore tra i 25 calciatori con più tiri totali del campionato. Difficile trovare una sintesi migliore tra efficacia tattica e capacità tecnica e realizzativa, anche dal semplice punto di vista statistico.

Tutti gli attaccanti sognano di realizzare un gol così, almeno una volta nella vita

Come per il contesto tattico assoluto, così per il discorso sugli attaccanti: la Serie A è un luogo calcistico in aggiornamento, in movimento. In fase di adeguamento rispetto all’Europa, e che ora premia anche il talento interno insieme a quello straniero. Merito di campioni assoluti come Higuaín e Džeko, ma anche di ragazzi come Icardi, Belotti, Immobile e Petagna, benchmark tecnici e tattici del nostro campionato, cresciuti nel nostro campionato. Che, attraverso il loro rendimento e il lavoro di costruzione della squadra e del singolo da parte degli allenatori, offre un’ampia varietà nell’interpretazione del ruolo. E riesce a stuzzicare l’attenzione degli addetti ai lavori, fino a rientrare in confronti statistici con calciatori di valore assoluto: Belotti e Icardi sono stati inseriti da Squawka in un’analisi comparata con Kane e Lukaku. Il titolo è “From Kane to Belotti: Comparing Europe’s best strikers right now aged 23 or under”. La ridefinizione del concetto di attaccante, nel 2017, coinvolge due interpreti del nostro calcio, due atleti costruiti in Serie A. Che, dalla Serie A, sono arrivati ad appartenere a questa dimensione, perfettamente e meritatamente.