Dybala, più di tutti

Perché quest'anno l'argentino è diventato centrale nel gioco della Juventus? Un'analisi, della sua crescita personale e di quella nel contesto di squadra.

Quando, a pochi minuti dall’inizio del secondo tempo di Pescara-Juventus, Paulo Dybala è stato costretto a chiedere il cambio dopo essere stato toccato duro da Sulley Muntari sulla caviglia sinistra, ogni singolo tifoso bianconero ha sudato freddo: Barcellona era alle porte e affrontare il Camp Nou senza la “Joya” non era certamente lo scenario migliore. Non tanto e non solo per la doppietta nell’andata dello Juventus Stadium, quanto, piuttosto, per la sua centralità nel nuovo sistema di gioco di Massimiliano Allegri. Perché, se Mandzukic è l’esterno tattico in grado di garantire l’equilibrio nella doppia fase del 4-2-3-1, Dybala è l’elemento che riesce a dare forma e concretezza alla manovra costruita sull’asse centrale costituita da Bonucci e Pjanic e di cui lui è il vertice più alto. I numeri di questa stagione, nonostante i due mesi saltati per lo stiramento rimediato a fine ottobre, raccontano di un giocatore che fa della pluridimensionalità il suo punto di forza: 16 reti, sei assist e 49 passaggi chiave nelle tre competizioni, oltre ad un lavoro di raccordo tra centrocampo e attacco la cui importanza non viene esplicitata a pieno dalle statistiche.

Piccola review

Fortunatamente per la Juventus il pericolo è stato scongiurato e questa sera Dybala sarà regolarmente in campo contro i catalani. Per spiegare come e perché la squadra campione d’Italia non possa permettersi di fare a meno del suo numero 21 in uno degli appuntamenti più importanti della recente storia bianconera, non si può non partire dai due termini di paragone che hanno accompagnato la carriera del figlio prediletto di Laguna Larga fino ad oggi: Leo Messi e Carlos Tévez. Il primo è il più scontato, il più affascinante e il più immediato: del resto alcune movenze della “Joya” richiamano quelle della “Pulga”, così come la naturale intesa tecnica nata con Dani Alves sembra la prosecuzione di quanto visto al tempo del primo Barcellona di Guardiola, laddove in un sistema di tagli, scambi palla e terra e inserimento dal lato debole, la prima opzione offensiva esplorata era sempre quella potenzialmente costruita sull’asse argentino-brasiliano. Le similitudini, però, si fermano qui: Dybala è almeno un tempo di gioco più lento rispetto a Messi, è meno continuo nell’arco della singola partita, ha una minore capacità di accelerare da fermo per creare la superiorità numerica e, talvolta, meno presente nell’ultimo terzo di campo dopo essere arretrato a prendere palla nella sua trequarti difensiva. Tradotto: Dybala non è Messi, non è detto che lo diventi e, soprattutto, non gli interessa esserlo, come testimoniato dall’intervista rilasciata alle tv spagnole nell’immediato dopopartita.

Il confronto tra le heatmap di Dybala (a sinistra) e Messi (a destra) nell’andata dei quarti di Champions League, mostrano una tendenza simile dei due ad arretrare il proprio raggio d’azione per cucire il gioco, ma anche una maggior (e, a tratti, più incisiva) presenza del 10 del Barca nella trequarti offensiva
Il confronto tra le heatmap di Dybala (a sinistra) e Messi (a destra) nell’andata dei quarti di Champions League mostra una tendenza simile dei due ad arretrare il proprio raggio d’azione per cucire il gioco, ma anche una maggior (e, a tratti, più incisiva) presenza del 10 del Barça nella trequarti offensiva

Con Tévez, invece, il confronto appare più calzante, soprattutto se si vuole spiegare come Paulo abbia cambiato il proprio modo di stare in campo nel corso di un processo di maturazione tecnica che si è velocizzato improvvisamente dal momento in cui Allegri ha deciso di accantonare il 3-5-2. L’Apache è stato l’ideale anello di congiunzione tra l’ultima Juve di Conte e la prima del tecnico livornese, oltre che il simbolo del cambiamento nell’interpretazione del medesimo sistema di gioco: nella Juventus 2013/2014 Tévez restava spesso in linea con la prima punta (spesso Llorente, talvolta Vucinic) alla ricerca dello scambio per vie centrali e/o di uno spazio da attaccare alle spalle del centravanti di riferimento, oltre a guidare la transizione con i suoi classici “strappi” palla al piede; di contro, in quella 2014/2015 il suo ruolo era quello di playmaker offensivo che, agendo dietro al pivot centrale, si metteva nella condizione di spostarsi a piacimento tra le linee alla ricerca della posizione ideale in relazione al singolo momento della partita, in modo da massimizzare gli effetti delle giocate.

Un principio che, vista l’ impossibilità di implementare il 4-3-1-2 con trequartista “atipico”, Allegri ha sfruttato anche nella prima stagione juventina di Dybala: la trasformazione da prima punta, che nel 3-5-1-1 dello Iachini palermitano sfruttava le intuizioni in verticali di Vazquez, ad attaccante di manovra è stata graduale ma costante. Partita dopo partita, la “Joya” ha accentrato il suo raggio d’azione (agendo nelle zone di competenza del mediano e dell’interno di centrocampo avversari), imparando a mettersi costantemente in visione del portatore di palla in fase di prima costruzione per fornirgli sempre un’ ulteriore linea di passaggio che non fosse il canonico scarico sugli esterni. Dopo le difficoltà iniziali, la manovra della Juventus ne ha guadagnato in imprevedibilità e verticalità, con i compagni sempre pronti a dettare il passaggio quando il giovane argentino era in possesso di palla. E, anche dal punto di vista realizzativo, i dividendi sono stati abbondanti: 23 gol in 46 presenze (con una shot accuracy di poco superiore al 45%) alla prima stagione in un top club non è cosa di tutti i giorni.

Gol e assist nella prima stagione in bianconero

Questa tendenza è andata accentuandosi nel corso di quest’annata, indipendentemente dal modulo utilizzato, in virtù dell’ingombrante presenza (tecnica e di personalità) di Gonzalo Higuaín che, rispetto a Mario Mandzukic, ha bisogno di una porzione più ampia di campo, tanto in ampiezza quanto in profondità, per potersi esprimere al meglio delle sue possibilità, oltre che una minore propensione al sacrificio e al “lavoro sporco”. Dybala, quindi, ha dovuto ulteriormente arricchire il proprio repertorio di tutte quelle skills da trequartista classico che gli facevano difetto nella prima parte della sua avventura bianconera: gli inserimenti senza palla, la velocità nel decision making, i ripiegamenti a metà campo ad andare a prendersi il pallone quando la circolazione bassa si rivela troppo sterile, il pressing alto e selettivo sui centrali avversari, sono dettagli che il giocatore ha dovuto curare per ritagliarsi il giusto spazio all’interno di un sistema le cui potenzialità devono ancora essere esplorate del tutto. E non è un caso che l’intesa con il Pipita sia migliorata nel momento in cui il ventiduenne argentino è stato messo in condizione di agire all’interno di un’impiantistica di gioco dai movimenti meno rigidi e codificati rispetto al 3-5-2. Del resto, la conferma del diretto interessato non è tardata ad arrivare, come in occasione dell’andata della semifinale di Coppa Italia contro il Napoli: « Mi trovo benissimo con questo nuovo modulo, siamo tanti in avanti, di solito gli avversari non riescono a prenderci perché ci muoviamo bene. Certo, in alcune situazioni dobbiamo cercare di uscire meglio da dietro, però questo sistema di gioco è perfetto: sono poche le squadre che sono riuscite a fermarci da quando ci presentiamo così».

Il Dybala 2016/2017 è una mezzapunta che, sacrificando qualcosa in fase realizzativa (rispetto al primo anno – 2.41 tiri a partita, il 46.5% dei quali nello specchio della porta – conclude di meno ma con molta più precisione – 2.09 conclusioni a gara con il 48.5% di accuracy: comunque un minus rispetto ai quasi 4 tiri ogni 90’ dell’ultimo Tévez bianconero, con lo specchio centrato 59.5% dei casi) ha imparato a fare la differenza negli ultimi trenta metri, indipendentemente dal set offensivo utilizzato: in transizione è raro vederlo sbagliare il tempo dell’imbucata (si vedano, ad esempio, i gol di Higuaín contro Sassuolo e Cagliari) anche grazie alla sua capacità innata di saltare il marcatore diretto già con il primo controllo, a difesa schierata è quasi sempre lui a cercare l’imbucata alle spalle dell’ultimo difensore sul taglio della mezzala che si inserisce o a creare la superiorità numerica (quest’anno la percentuale di dribbling riusciti va oltre il 70% rispetto al 48% del 2015/2016) agendo prevalentemente sull’amato centro-destra. Senza contare la sua importanza quando si tratta di risalire il campo sfruttando le corsie esterne: il secondo gol di Higuaín nel ritorno di Coppa Italia al San Paolo origina proprio dal key pass del #21 che fa da ideale anello di congiunzione tra Alex Sandro che inizia l’azione e Cuadrado che la rifinisce. Ma è la partita contro il Chievo ha costituito il miglior compendio possibile del Dybala “facilitatore”, in grado di costruire occasioni da rete (al momento siamo a quota 55 in stagione: perfettamente in linea con le 87 dell’anno scorso) per sé e per i compagni:

In cosa può ancora migliorare Dybala? Certamente nella continuità di rendimento: le pause sono ancora troppe e troppo frequenti anche nell’arco della stessa partita, la partecipazione in fase di non possesso è ancora relativa (per quanto l’upgrade rispetto alla scorsa stagione c’è stato anche qui, con almeno un’azione difensiva di media a partita – per lo più intercetti – mentre è ancora bassa la percentuale di contrasti vinti: appena il 25%, in linea con i parametri del 2016) e il mantenimento di una buona media realizzativa è ancora da affinare. Un ulteriore passaggio obbligato sulla strada che conduce alla grandezza, tanto più per uno che dispone di una qualità di calcio fuori dal comune (a patto di non parlare del piede debole: prima della rete al Milan in Coppa Italia, 42 dei 43 gol in Serie A sono stati realizzati con il sinistro): le perle contro Atalanta e Lazio hanno mostrato una rara combinazione di potenza e precisione, unite ad una coordinazione eccellente, anche con un margine spazio temporale ridotto. La stessa messa in mostra nell’andata contro il Barcellona:

La seconda rete di Dybala al Barça è un capolavoro di tecnica, stilistica e coordinazione. L’assist di Mandzukic viene leggermente sporcato da Sergi Roberto ma l’argentino si ricoordina con due passettini laterali in modo da impattare il pallone con la giusta torsione del piede: la palla finisce nell’unico spazio possibile tra Ter Stegen e il primo palo

Certamente è ancora presto per dire, alla maniera di Allegri, che «Dybala diventerà, con Neymar, il migliore del mondo». Ma il recente rinnovo fino al 2022 (a sette milioni annui, secondo ingaggio della rosa dopo quello di Higuaín), i continui attestati di stima da parte di tutto l’ambiente e l’essere il centro di gravità permanente della manovra bianconera, quello dai cui piedi tutto deve passare e scorrere, ribadiscono come e quanto Dybala sia importante per la Juventus. E viceversa.