La nuova vita di Gabbiadini

Come l'ex Napoli è riuscito a rilanciarsi in Inghilterra, in un contesto dove ha perfezionato il ruolo di finalizzatore.

Il coro con cui i tifosi del Southampton da qualche settimana inneggiano a Manolo Gabbiadini come colonna sonora di questa nuova fase della carriera. Non una hit confezionata ad hoc, bensì una rivisitazione di un tormentone intonato in origine per un suo omonimo, Marco Gabbiadini, attaccante inglese protagonista a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 di 74 reti con il Sunderland, che ad ogni modo fotografa fedelmente il prepotente ingresso nell’immaginario collettivo del tifo dei Saints. Del resto è difficile rimanere indifferenti ad un neo acquisto che nelle prime 6 partite infila 6 gol. A maggior ragione se proviene da un’altra cultura. Se il campione di partite è troppo ridotto per misurare le prestazioni o la sostenibilità di una simile media realizzativa sul lungo periodo, permette comunque di delineare le prime considerazioni su come stia lavorando sul suo gioco per inserirsi al meglio nel contesto di squadra.

Una struttura ben definita, quella di Claude Puel, imperniata sul controllo della palla (484,9 passaggi tentati a partita e 53,6% di possesso), che si traduce in un 4-2-3-1 con i due centrali di centrocampo Davis e Romeu abituati a portare palla e verticalizzare anche sotto pressione e in uscita dalla difesa. Nell’ultimo terzo di campo troviamo altri due accentratori come Redmond, che dalla sinistra ama ricevere sulla linea laterale per poi entrare dentro al campo e generare superiorità numerica, e Tadic, un guastatore che si muove nelle tasche che si creano sullo sviluppo dell’azione.

LONDON, ENGLAND - FEBRUARY 26: Manolo Gabbiadini of Southampton (3R) celebrates with team mates and fans as he scores their second goal during the EFL Cup Final match between Manchester United and Southampton at Wembley Stadium on February 26, 2017 in London, England. (Photo by Michael Steele/Getty Images)

Oltre che dall’infortunio alla spalla della punta titolare Austin, fuori causa da dicembre, Manolo è stato favorito dall’attitudine ad attaccare in transizione come su azione manovrata, che si tramuta in un volume di occasioni considerevole, ben 14,8 tiri a gara, la quinta formazione della Premier League in questa statistica. Se è vero che da un lato a fine 2016 i biancorossi erano la squadra più underperforming del campionato in termini di expected goals prodotti e che un incremento realizzativo sembrava quindi fisiologico a prescindere, dall’altro serviva una punta capace di ricavare la qualità dalla quantità di conclusioni (a metà gennaio un tiro valeva 0,08 xG, il quintultimo score della lega). «Con Gabbiadini abbiamo trovato una soluzione nella realizzazione» ha commentato a tal proposito Puel dopo la sconfitta in finale di Coppa di Lega con il Manchester United.

Un dato al limite del paradosso

All’attaccante classe ’91 invece serviva ritrovare quella fiducia e quella centralità smarrite negli ultimi due anni al Napoli in cui è stato relegato nell’ordine a vice Higuain, Milik e Mertens. Ma soprattutto la chiave per rilanciare una carriera ridimensionata dall’esperienza partenopea, dove ha comunque fatto registrare 25 reti in 79 presenze. Dopo le stagioni al Bologna, alla Sampdoria e talvolta in azzurro con Benitez, in cui è stato schierato esterno per dare sfogo all’atletismo sulle distanze profonde e al tiro dalla medio-lunga distanza, nel Southampton invece agisce nello stesso ruolo recitato nel 4-3-3 di Sarri, punta centrale. Cambia in parte l’interpretazione, sicuramente l’applicazione: il numero 20, pressoché svuotato da compiti associativi, veste i panni del finalizzatore puro e si muove essenzialmente lungo l’asse longitudinale. È sempre più raro vederlo arretrare in zona palla, anche perché più che garantire superiorità numerica, nel corso della sua carriera, complici letture e una distribuzione elementari, ha finito per soffocare l’azione o incunearsi in dei cul de sac.


Nonostante Insigne si appresti a tentare la sua giocata per l’eccellenza (accentramento e destro a giro), Gabbiadini gli va incontro, finendo quasi per ostacolare il compagno.

Se si abbassa, lo fa per aiutare la squadra a risalire il campo, con una sponda di prima o con un controllo e scarico immediato. Il sinistro è sensibile infatti in ogni parte della sua superficie, al punto che quando passa la sfera al volo sembra un guanto. Nonostante la tecnica e l’allungo, non eccede nella conduzione sia perché non dispone di una fisicità credibile per resistere ai contrasti, sia perché non ha mai avuto uno spunto particolare nel breve (dal 2009 completa appena 0,4 dribbling a gara).  E fondamentalmente non ne ha neppure bisogno, visto che il gioco one touch gli risulta allo stesso tempo più naturale e redditizio: di prima riesce infatti a rubare un tempo e liberare il terzo uomo. Il passaggio diventa il prologo all’attacco della profondità, movimento che sta ripetendo in maniera quasi ossessiva.

Qui non si tratta di uno scarico, bensì di un appoggio. Ma il concetto è il medesimo: Gabbiadini con il passaggio di prima brucia Behrami, generando i presupposti per una transizione rapida. Redmond poi attira su di sè la retroguardia per creare quello spazio attaccato dal numero 20.

In realtà già nel recente passato ha segnato più di una rete andando ad occupare in campo aperto lo spazio alle spalle dei difensori, ma in Puel è palese l’intenzione di contingentare la sua azione alla dimensione realizzativa. Da parte di Gabbiadini è a sua volta tangibile la disponibilità a rivedere profondamente il suo gioco e rinunciare così a possesso consolidato a ricevere la sfera sulla figura e provare ad andare al tiro, per galleggiare sulla linea del fuorigioco e dettare il passaggio oltre la linea difensiva. Medesimo imput se uno tra Tadic o Redmond entra con la sfera negli ultimi 25 metri a difesa schierata: il suo compito, più che indietreggiare per chiamare il triangolo, è quello di allungare la difesa muovendosi in diagonale, in modo da creare al compagno lo spazio per il tiro o isolarlo con un singolo avversario. Su azione laterale invece taglia attacca il primo palo o il cuore dell’area.


Con Smalling e Bailly completamente concentrati sulla palla, è un gioco da ragazzi smarcarsi e anticipare De Gea.

Indicazioni piuttosto standard sulle spaziature, che il mancino di Calcinate non esegue ancora con naturalezza e talvolta neppure in maniera consapevole, ma che si sta sforzando di apprendere. E per un elemento storicamente statico in fase di possesso, rappresenta già un piccolo grande passo in avanti. Stesso discorso per quanto riguarda l’uso del corpo, gracile al punto da venire spostato anche quando prende posizione. Eppure l’ex Sampdoria non si tira indietro va a ricercare la palla pure dopo aver perso il contrasto. I numeri testimoniano la volontà di calarsi in un gioco più maschio: gli 1,07 duelli vinti e 1,88 anticipi ogni 90 minuti con la maglia biancorossa costituiscono un inedito per lui.


Non si risparmia neppure un’entrata da dietro.

Come detto, il lavoro intrapreso dal tecnico francese sul classe ’91 è mirato a completare la struttura offensiva con un elemento in grado di assecondare le caratteristiche dei trequartisti e finalizzarne la mole di gioco. Un elemento che tocca pochi palloni (solo 12,2 passaggi completati), ma decisivi. Sopratutto dentro l’area. In che modo? Sfruttando il pregio principale di “Paperino” – come l’ha ribattezzato il telecronista tifoso del Napoli Raffaele Auriemma – il tiro di sinistro, da posizione più vantaggiosa. Un mancino che ha sempre saputo coniugare precisione e potenza, da fermo come in corsa, sia quando incrocia la conclusione sia quando opta per il piazzato. Ad accompagnare una qualità elevatissima in questo fondamentale («uno dei migliori sinistri al mondo, calcia in maniera incredibile» l’endorsement di Conte alla vigilia del match tra Chelsea e Southampton), la capacità di prepararsi o costruirsi il tiro in spazi e tempi ridotti. Manolo in effetti ha sempre visto la porta, come testimonia il 56% di shot accuracy malgrado dal 2012 abbia scoccato 200 dei suoi 334 tiri da fuori area.

La densità degli avversari non è una componente tale da comprometterne l’esecuzione, tanto meno la scelta: coordinazione, freddezza e lettura dell’azione gli permettono di mantenere inalterata la sua pericolosità offensiva pure dentro i 16 metri. Pure quando riceve un pallone da dietro, situazione in cui emergono il senso della posizione e gli angoli di torsione che il suo corpo è in grado di raggiungere.

Non lo condiziona l’intervento a vuoto di Pogba, il bergamasco conta i rimbalzi e con un piede perno degno di un cestista si ritaglia l’angolo per la girata. Quando Smalling realizza la giocata del suo avversario, Gabbiadini è già andato a esultare. Velocità di mente e azione.

Ad avvicinarlo così tanto alla porta, oltre a mettere a nudo la scarsa attitudine nel colpire di testa e con il piede debole, si rischia però di limitare sensibilmente il pezzo forte di Gabbiadini, quei tiri da posizione frontale dai 15-20 metri che esegue quasi in scioltezza. In spazi meno congestionati, gli basta prendersi una frazione di secondo in più per posizionare il mirino sul palo lungo e aprire l’interno collo sinistro. Per questo sarebbe auspicabile inserire nel set di movimenti uno scambio di posizioni con uno dei trequartisti, che gli consentirebbe di svuotare l’area per staccarsi dalla marcatura e ricevere col corpo già orientato verso il portiere.

A 25 anni Manolo Gabbiadini si è ritrovato, come uno studente in erasmus, ad azzerare i suoi schemi quotidiani. A capire, grazie alla bocciatura di Napoli che sapere fare benissimo una sola cosa, tirare con il piede preferito, non è condizione sufficiente per sopravvivere in un club di prima fascia se di mestiere fai la punta centrale. Non in un calcio in cui anche gli attaccanti devono saper-fare-tutto, in primis aiutare la squadra a risalire il campo e occupare gli spazi senza palla. Il suo impatto con il calcio inglese è andato oltre ogni più rosea aspettativa e le prime uscite mostrano un giocatore diverso, deciso a colmare le lacune per integrarsi in una nuova realtà. A provare a specializzarsi in questa posizione per aumentare il livello del suo calcio e meritarsi la chiamata di un’altra big. In altre parole, il rilancio della sua carriera passa necessariamente da un ampliamento del suo repertorio. In caso contrario, si parlerà di lui non più come di un talento, ma come di un incompiuto.