Un Roland Garros drammatico

A Parigi si è vista poca bellezza ma molte emozioni. E una classe tennistica di "vecchi" ancora capace di terrorizzare le nuove generazioni.

Il tennis che siamo abituati a vedere è una miscela di molti elementi, su cui dominano bellezza e terrore. Se la prima latita – come è successo a Roland Garros ’17 – ci si deve arrangiare col secondo. Il che non è necessariamente un male, a patto di accettare la strana somiglianza di alcuni momenti e alcune partite, più che a un match comunemente inteso, a un racconto del mistero.

Da dove cominciamo? Da una curiosità, forse: l’incontro in miniatura di Jo-Wilfried Tsonga. Lo Tsonga di oggi ha vari chili e molti capelli in più di quello che entrava e usciva dai Top Ten, ma essendo comunque la testa di serie numero 12 al primo turno gli tocca un certo Renzo Olivo, numero 91 del ranking. Il match comincia in ritardo sull’orario previsto, e viene interrotto in articulo mortis – di Tsonga, che è sotto due set a uno e 5/4 nel quarto. Ha appena annullato due match point, e viene salvato dal giudice di sedia, secondo il quale lo Chatrier è piombato all’improvviso nella tenebra. Si ricomincia l’indomani, con lo stadio pieno e un solo game, potenzialmente, da giocare. Tsonga va sotto 0-40, tre match point per Olivo. Sulle tribune cala un silenzio paralizzante, quasi quanto il panico di cui Tsonga, con tutta evidenza, è preda. Il pubblico se ne accorge, e durante i preparativi del servizio si fa sentire. Tsonga cancella in qualche modo i tre match point, chiedendo a ogni punto più applausi. Sugli spalti succede di tutto, ma il vero finimondo esplode nella testa di Jo Wilfried, che prima commette un tipico errore da braccino, poi si espone a un vincente di Olivo. Gioco, partita, incontro. Difficile da credersi, ma pur essendo durato qualche decina di secondi, per chi lo ha visto il game ha avuto la durata interiore di un set, se non di un match intero. A suo modo, è stato un momento di grande spettacolo.

2017 French Open - Day Four

Lo stesso dicasi, con i medesimi ingredienti, del quarto di Kiki Mladenovic contro Timea Bacsinsky. Era una partita molto attesa: fin lì Mladenovic aveva tenuto il centro della scena, quando non ci riusciva col gioco mobilitando tutti gli elementi di contorno: una bellezza statuaria, in arrivo dalla Hollywood degli anni Quaranta; un’intelligenza a stretto contato col senso dello spettacolo, desumibile dalla scelta di incitarsi, molto udibilmente, in perfetto italiano («Forza!»); la capacità di far sospettare al pubblico di avere davanti la prima Diva del tennis francese dai tempi di Lenglen, e di farlo partecipare di conseguenza. Il trucco aveva funzionato in tutti gli incontri precedenti, ma la magia si è dissolta in quello relativamente più semplice, per chi aveva appena eliminato in malo modo Garbine Muguruza: davanti alla Bacsinsky, una ex grande promessa reduce da alcune stagioni incerte, Mladenovic semplicemente non è riuscita a giocare, e in molti casi nemmeno a colpire: paralizzata dal terrore e spesso in lacrime, persino durante gli scambi. Anche senza avere assistito a un solo punto, chiunque avesse visto le inquadrature al cambio di campo (Mladenovic rigida sulla sedia, gli enormi occhi celesti fissi nel vuoto, Bascinsky, un po’ curva, sovrappeso, e con due smisurati occhioni da tragédienne del muto, eppure ridenti) sarebbe corso da un allibratore a puntare tutto su una delle due – ma non su Kiki, che per diventare di Montparnasse, o di qualsiasi altro quartiere la stampa vorrà attribuirle – dovrà aspettare un altro Roland Garros.

Ma il gioco? Non se ne è visto? No, quasi mai, con due possibili eccezioni, la semifinale fra Wawrinka e Murray e il primo turno fra Verdasco e Zverev. La semifinale non è stata una sorpresa, ma una smagliante dimostrazione, da parte di Stan the Man  che attacco e ricerca ossessiva del vincente saranno una tattica massacrante, ma una  difesa spinta all’ottusità come quella attualmente praticata da Andy non è una passeggiata di salute, e alla fine non paga. Il secondo match, invece, non se lo sarebbero aspettati in molti. Zverev aveva appena stravinto a Roma, sembrava uscito a titolo definitivo dal ghetto della NextGen, e l’unico dubbio degli osservatori era quale Slam avrebbe vinto per primo – Parigi 2017, insinuavano in molti. Già, solo che ha incontrato Verdasco.

Non avesse sistematicamente anteposto altri intrattenimenti al tennis, Verdasco sarebbe stato in pianta stabile il superbo tennista che riesce a essere in alcune circostanze – come questa. Quando si parla di tattica o di strategia, nel tennis di oggi, si intende semplicemente il modo di giocare di un atleta, moltiplicato per la sua applicazione, riuscita o meno, un certo giorno. Contro Zverev, Verdasco ha invece dimostrato che le due parole possono ancora avere un senso: per tre ore, l’anziano e corpulento lottatore ha semplicemente sminato – penso sia la parola giusta – il gioco quasi sempre diserbante del suo scheletrico avversario. Non gli ha mai dato una palla della stessa lunghezza o dello stesso peso, sgretolandogli qualsiasi accenno di ritmo: e dal servizio in poi ha giocato tutti i colpi sempre a uscire, col risultato che spesso nell’inquadratura c’era soltanto lui, in attesa che Zverev rientrasse dall’angolo dove si era spinto per recuperare la palla. Uno splendore, dal punto di vista visivo.

.2017 French Open - Day Nine

Insomma, scrollarsi definitivamente di dosso lo status di stellina e aspirare alla prima grandezza Zverev deve ancora aspettare un po’ – magari quattro settimane, ma allo stato attuale sembra difficile. Lo stesso vale per Kyrgyos, che come gli accade troppo spesso sul tabellone ha fatto giusto una puntatina, e anche per Thiem, nonostante la clamorosa vittoria su Djokovic. Qui bisognerebbe aprire una parentesi, che forse però è meglio richiudere subito. Per dire qualcosa di sensato sul momento di Nole bisognerebbe sapere cose che, in realtà, tutti ignorano. È probabile che il campo di per sé c’entri poco. A Roma, proprio contro Thiem e pochi giorni prima, Nole più che giocare una partita aveva emesso un ruggito terrificante e rabbioso, il cui senso era: sono sempre io. Il che è anche vero: colpi e condizione fisica ci sono, non fosse che, a differenza di sempre, possono dissolversi nel giro di poche ore. Sull’ultimo set di Parigi, concluso in 20 minuti con uno dei pochissimi  6/0 subiti in carriera, si è scritto di tutto, ma nessun commento vale lo sguardo vacuo di Nole verso l’angolo dove un tempo sedeva Becker, mentre oggi sorride – sa il cielo di cosa – un figuro in felpa rosa. Qualcosa è indubbiamente cominciato, il giorno del 2016 in cui Nole è salito su un palco vicino a Pepe Imaz, e con la voce e gli occhi di un marine prigioniero dei vietcong ha detto di avere finalmente capito quanto contino, nel tennis e nella vita, Paz y Amor:  ma di cosa si tratti, e quando finirà, non è affatto chiaro. Certo è una situazione che imbarazza tutti, e nessuno quanto Nole. Che non a caso qui, in conferenza stampa, ha ammesso che sì, una pausa gli servirebbe, solo ha troppi impegni per permettersela.

Cosa resta? Beh, resterebbe la finale, se solo si potesse commentare un match del genere. Che non è stato un match, ma l’esibizione di un Rafa tornato dal futuro a irridere più o meno tutto quanto era stato detto su di lui negli ultimi due anni. Si sono viste infinite finali deludenti, negli Slam – partite già scritte in cui uno dei due avversari era troppo forte, o l’altro troppo appagato dalla finale raggiunta. Ma una cosa come quella di ieri – da una parte un grande tennista che gioca i suoi splendidi colpi, dall’altra un’entità sconosciuta che glieli rimanda indietro sempre, a velocità doppia e con angoli non euclidei, senza sbagliare letteralmente nulla in due ore – probabilmente ha il carattere dell’inedito assoluto. A Parigi Nadal ha giocato un torneo senza precedenti, lo dicono i numeri e lo conferma qualsiasi riflesso filmato, anche brevissimo. E, rispetto al fuoriclasse celebrato fin qui è parso ancora più veloce, e soprattutto più feroce. In certi momenti, guardandolo in questi giorni, si aveva l’impressione di vedere un organismo nella fase avanzata di una mutazione: e non si poteva non pensare con un certo spavento che, quando i capelli gli saranno ricresciuti del tutto e il suo diritto in parte modificato assumerà a titolo definitivo un carattere borrominiano (guardatelo in slow motion, e ditemi se oggi la parte finale non ha lo stesso movimento della cupola di Sant’Ivo), avremo davanti un giocatore nuovo, in grado di dominare la specie a tempo più o meno indeterminato, e forse di annientarla.

2017 French Open - Day Fifteen

E adesso? Adesso, in queste ore, l’altro tennista, quello che ha stupefatto chiunque nella prima parte di stagione, sta palleggiando a Stoccarda: con i capelli molto corti e l’aria di dire che la giacca di Gucci esibita al Moma è stata uno scherzo, che ora si fa sul serio. Difficile prevedere il futuro immediato, anche perché il tennis di questi mesi, tutto cadute improvvise e rinascite stupefacenti, scoraggia l’esercizio della previsione. Ma se quei due continuano così, nel circuito è alle porte un nuovo tipo di terrore – di Terrore, visto che siamo a Parigi. Solo che stavolta non ci sono alcuni giovanotti emergenti che ricorrono alla forza fisica per sbarazzarsi dell’Ancien Régime: c’è un Ancien Régime aumentato e vagamente mostruoso che si sbarazza di loro, senza nemmeno fargli capire come.

 

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