L’Iran in bilico

La Nazionale guidata da Carlos Queiroz si è qualificata per la quarta volta alla fase finale di un Mondiale: ma a che punto di crescita calcistica è il Paese?

Ci sono notti che durano per sempre. Nelle vie di Teheran, come per le strade di tutto l’Iran, quella del 12 giugno sembrava non dover tramontare mai. Il 2-0 all’Uzbekistan ha permesso agli iraniani di accedere alla fase finale della Coppa del Mondo che si giocherà in Russia l’estate prossima, seconda squadra dopo il Brasile a centrare la qualificazione. All’Azadi Stadium di Teheran non entrava più uno spillo. Dopo 23 minuti Azmoun, l’attaccante che sembra Ibrahimovic ma che tutti paragonano sempre a Messi, ha colto di sorpresa la difesa uzbeka, troppo alta e scellerata per impedirgli di raggiungere la porta e battere il numero uno avversario con il piatto destro. Nel secondo tempo, prima un rigore sbagliato da Shojaei (alto) e poi il raddoppio di Medhdi Taremi, a 2 minuti dalla fine, hanno messo il fiocco alla seconda partecipazione consecutiva dell’Iran all’evento calcistico più importante che c’è. Non era mai successo.

Mentre per le strade la gente cantava, Carlos Queiroz, il ct portoghese, uno degli artefici di questo percorso sportivo, mostrava alle telecamere un piccola e luccicante miniatura della Coppa del mondo e una maglietta numero quattro. Quattro come le partecipazioni dell’Iran al Mondiale grazie alla sua guida. Più tardi, con quell’espressione luminosa che gli uomini hanno quando avvertono un senso di onnipotenza, Queiroz dirà: «Andiamo al Mondiale. E questa volta per passare finalmente il primo turno». Dimenticandosi, forse, di averlo giurato anche quattro anni prima, quando l’Iran si qualificò al torneo in Brasile, salvo poi venire eliminato dopo un commovente turno eliminatorio. Tra dodici mesi l’Iran ci proverà di nuovo. Cosa è cambiato dal 2016 a oggi? La Nazionale iraniana ha davvero raggiunto la maturità, è pronta a superare la fase a gironi?

Analisi

Per rispondere è necessario osservare lo scenario socio-economico del Paese. Il 14 giugno, due giorni dopo la partita contro l’Uzbekistan, il presidente iraniano Rohani ha ricevuto la squadra. Una cerimonia formale ma piuttosto sobria. I giocatori sorridevano, Queiroz aveva trovato il modo di scherzarci su: le vittorie allentano sempre i formalismi. Al presidente Rohani è stata regalata una divisa della Nazionale autografata da tutti i protagonisti dell’impresa. Poi, circondato da questi nuovi eroi nazionali, ha tenuto un discorso epico: «Il nostro successo è sempre stato negli sforzi e nei sacrifici dei giovani del Paese», ha detto Rohani, «e siamo ben consapevoli dell’onore per aver raggiunto la qualificazione alla Coppa del Mondo. La nazione iraniana nella sua storia ha sopportato molti stenti e sofferenze e merita di avere gioia e felicità. Dobbiamo fare ogni sforzo per avere una nazione felice». In un’analisi su Linkiesta, pochi giorni dopo le elezioni, la riconferma di Rohani viene definita una «rivoluzione». Certo, come in molti dei Paesi del Medio Oriente, anche l’Iran è pieno di contraddizioni. Ma l’avvicinamento agli Usa, l’autosufficienza nella produzione di grano, la benzina, tutte queste cose stanno dando all’antica Persia una spinta evidente. Nel 2013 erano stati importati circa 6 milioni di litri di benzina al giorno. Oggi l’Iran ne esporta 13 milioni. E dal 2016, dopo il compromesso sul nucleare raggiunto con le grandi potenze e dopo la cancellazione delle sanzioni internazionali che soffocavano il Paese, c’è stata una crescita del +7,4%.

TEHRAN, IRAN - JUNE 12: Head coach Carols Quieroz and players of Iran celebrate after the match during FIFA 2018 World Cup Qualifier match between Iran and Uzbekistan at Azadi Stadium on June 12, 2017 in Tehran, Iran. (Photo by Amin M. Jamali/Getty Images)

«È un bel giorno per l’Iran». Mentre parlava, Rohani fissava un punto nel futuro. Intorno a lui i giocatori della Nazionale ascoltavano assorti, sicuri di aver conquistato un traguardo glorioso. Sufficiente affinché la crescita coinvolga anche il calcio? L’Economist ha analizzato il successo dell’Iran da un altro punto di vista: «Riflette i fallimenti del calcio asiatico». Al 30° posto nel ranking Fifa, al primo nella graduatoria continentale (AFC), il calcio iraniano sta vivendo un’era geologica decisiva. E certo la conquista della qualificazione a Russia 2018 ha il suo peso: l’Iran è l’unica Nazionale rimasta imbattuta con 16 partite giocate, 34 gol fatti e soltanto 3 subiti. Anche sul Corriere della Sera è stato celebrato il successo sull’Uzbekistan e la qualificazione al Mondiale russo, ricordando i dodici giorni trascorsi a Coverciano nel 2016, le amichevoli contro Spal e Italia B, e soprattutto spiegando che «l’Iran è giovane: solo uno dei titolari del match decisivo è nato negli anni ’80». Tutto sembra pennellare una Nazionale dai tratti autoritari, futuribili, internazionali. Eppure il dipinto ha qualche chiazza da interpretare meglio. Il Paese, per esempio, è molto più povero rispetto ai suoi rivali asiatici: il Pil pro capite dell’Iran è meno della metà di quello australiano, giapponese o sudcoreano. E anche il numero degli abitanti è di molto inferiore alla media: 80 milioni contro il miliardo e passa (1,38) della Cina o i 127 del Giappone. Per restare al calcio, la prima divisione iraniana (Persian Gulf Pro League) è soltanto al settimo posto della classifica continentale, gli ingaggi e i trasferimenti sono minimi, nessun top player. E se confrontato il tutto con la Cina, che ha scelto una politica di investimenti globale, il calcio iraniano è rimasto immobile.

Migrazioni

Lo stesso Queiroz, il 16 giugno scorso, ha evidenziato come stanno davvero le cose in una lunga intervista a Espn: «I dati e i numeri mostrano che siamo la Nazionale numero uno in Asia, e su questo non c’è alcun dubbio. Ma nel complesso siamo lontani dal livello internazionale». Il ct non è nuovo a questo tipo di dichiarazioni. Dice quel che pensa, e certe volte lo fa in maniera molto netta, considerato che l’Iran resta comunque un Paese mediorientale. Queiroz ha già presentato le dimissioni 4 volte. Una anche nel 2015. Dopo averle ritirate disse: «Ho avuto una chiacchierata positiva con la Federazione e il Ministero dello Sport, ora guardiamo al futuro».  Ogni volta che c’è da fare a braccio di ferro con la politica locale non si tira indietro, e questo rende il commissario tecnico portoghese il vero perno del progetto iraniano. Non soltanto per le esperienze in campo europeo (Real Madrid, Manchester United), ma per carisma, idee, e quel po’ di sfacciataggine che gli sta permettendo, con fatica e lentezza, di far entrare l’Iran in una nuova dimensione.

Iranians celebrate on the streets of Tehran early on June 13, 2017, after their national football team won the 2018 World Cup qualifying football match between Iran and Uzbekistan. Iran become the third team assured of a berth in the 2018 World Cup finals along with hosts Russia and Brazil after a 2-0 win over Uzbekistan in Tehran on June 12. / AFP PHOTO / STRINGER (Photo credit should read STRINGER/AFP/Getty Images)

Il 1978, anno della prima partecipazione ai Mondiali, oltre a essere una sorta di pre-mesozoico del calcio iraniano, è un anno fondamentale nella storia del Paese, l’anno della rivoluzione che ha segnato la svolta epocale. Ma il calcio (lo sport) come sempre aiuta lo sviluppo. Quella Nazionale si qualificò con merito ai campionati del mondo in Argentina, fermò la Scozia sull’1-1 nel girone, tuttavia arrivò all’ultimo posto e venne eliminata. Nessuno dei 23 convocati aveva mai avuto avventure, esperienze, contatti di alto livello con i club d’Europa o del Sudamerica, e questo la dice lunga sul divario (forse molto scontato, ma neanche troppo) tra il calcio iraniano di allora e quello contemporaneo. Nel mezzo, però, c’è il vero punto di snodo: Francia 1998. C’erano voluti vent’anni prima che l’Iran riconquistasse la possibilità di partecipare di nuovo a un Mondiale – anche per via del conflitto dal ’78 all’ ’89 che ha rallentato la crescita di giocatori –, l’occasione andava sfruttata in maniera significativa. Prima di tutto in campo politico. Ai Mondiali francesi l’Iran finì nel Gruppo F con Germania, Jugoslavia e Stati Uniti. La partita contro gli Usa rimane tra le più celebri nel grande manuale dell’arte diplomatica. Mehrdad Masoudi, ufficiale di supporto della Fifa, raccontò a FourFourTwo che quel giorno uno dei grandi problemi fu l’ingresso in campo delle squadre: «La squadra A era rappresentata dagli Stati Uniti, la B dall’Iran. Secondo le normative Fifa la squadra B doveva incamminarsi verso la squadra A per le strette di mano, ma il leader supremo Khamenei aveva dato ordine di non dirigersi verso gli americani». Alla fine si trovò un compromesso. E c’è una fotografia rimasta leggendaria, simbolo di quanto il calcio riesca a essere ben più forte di ogni tensione: le due squadre sono mischiate a centrocampo in un grande abbraccio, i calciatori americani tengono in mano una rosa bianca, che in Iran è il simbolo della pace.

USA ans Iran's teams pose together 21 June at the Gerland stadium in Lyon, central France, before their 1998 Soccer World Cup Group F match. (ELECTRONIC IMAGE) AFP PHOTO PASCAL GEORGE (Photo credit should read PASCAL GEORGE/AFP/Getty Images)

Quella partita probabilmente gettò le basi per intavolare rapporti distensivi tra i due Paesi, ma il Mondiale aveva fatto anche di più. Con il pianeta lanciato a folle velocità verso la globalizzazione tutti poterono vedere l’Iran sotto una luce diversa, un luogo dove c’erano talenti, giocatori di una certa qualità. Grezza, magari. Ma di fascino. Nella lista dei convocati a quel Mondiale quattro erano quelli che militavano in Bundesliga: Karim Bagheri e Ali Daei nel Bielefeld e Khodadad Azizi nel Colonia. Pochi o tanti, dopo quel campionato il flusso migratorio dei calciatori iraniani verso l’Europa subì un netto incremento. Anche se il caso emblematico rimane quello di Daei – fu il primo giocatore asiatico a giocare la Champions League e nell’estate del ’98, prima del Mondiale, passò al Bayern Monaco – è l’aspetto dell’apertura all’Occidente calcistico che sorprende. Dagli anni Trenta ai Settanta la letteratura sportiva iraniana sembra narrare gesta di pionieri nel calcio europeo e poco altro. Negli Ottanta e in particolare nei Novanta la voglia di calcio ha cambiato tutto. I giocatori iraniani cominciano a sbarcare il lunario nei campionati che contano. E in un censimento fatto nell’ottobre del ’99 si contano 12 giocatori iraniani presenti in Germania e moltissimi altri in Austria, Grecia, Belgio, Spagna e Francia. Un rapporto che è andato crescendo e che nel 2002, coi Mondiali in Corea e Giappone, sembrava destinato a culminare con la seconda partecipazione consecutiva ai Campionato del mondo. L’Iran perse lo spareggio contro l’Irlanda, ma in campo il numero degli iraniani-d’Europa si era alzato ancora: 5 in tutto, Mehdi Mahdavikia dell’Amburgo, Mehrdad Minavand prima allo Sturm Graz e poi al Charleroi, Karim Bagheri al Charlton, Ali Daei al Bayern e Rahman Rezaei al Perugia.

Conclusioni

L’apice di questo espansionismo arriva nel 2006. Al Mondiale in Germania i convocati dai campionati europei sono 6 in tutto, il 100% in più rispetto al 1998. La strada sembra tracciata. Tolto il passaggio a vuoto di Sudafrica 2010 – l’Iran non si qualificò nemmeno allo spareggio –, i punti di riferimento dei vari commissari tecnici passati dalla panchina cambiano rispetto al passato: i giocatori con esperienze all’estero o comunque internazionali, con esperienze internazionali diventano le colonne della squadra, l’apertura è la regola. Infatti all’ultimo Mondiale, quello in Brasile, il ct Queiroz si porta addirittura 9 giocatori che militano in campionati diversi da quello iraniano. Anche l’ultima squadra, quella che ha strappato il biglietto per la Russia, è piena di atleti che giocano nei vari campionati europei, alcuni dei quali vengono considerati veri e propri talenti. Come Saeid Ezatolahi, 20 anni, in prestito dall’Anzhi al Rostov, in Russia, un centrocampista dai piedi buoni, capace di impostare l’azione. O Sardar Azmoun, 22 anni, anche lui al Rostov ma nel mirino di molti top club. Nell’ultima partita, quella contro l’Uzbekistan, in rosa c’erano 12 calciatori selezionati da campionati diversi dalla Persian Gulf Pro League.

Persepolis fans cheer during the Asian Champions League football match between UAE's Al-Wahda and Iran's Persepolis at the Azadi Stadium in Tehran on May 8, 2017. / AFP PHOTO / ATTA KENARE (Photo credit should read ATTA KENARE/AFP/Getty Images)

Questo fa ben sperare in vista del Mondiale. L’esperienza in campo internazionale dei giocatori si è alzata molto: una parabola lunga quarant’anni. Quello che è calato negli ultimi dieci è il tipo di rapporto con il calcio estero. Se prima i calciatori iraniani convocati in Nazionale arrivavano soprattutto dai 5 top campionati d’Europa (Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Spagna), adesso non è più così: il rapporto dal 2006 a oggi è sceso 7-1. Il professor Danny Quah della London School of Economics (e come riportato da Gian Paolo Castelli nel numero 5/16 di Limes) ha spiegato che il baricentro dell’economia mondiale si sta spostando molto velocemente verso est, mentre fino a due decenni fa si trovava ancora a ovest dell’Europa, a indicare la centralità di quest’ultima nel sistema economico mondiale. Centralità messa in discussione dal peso crescente dei mercati mediorientali e asiatici. Ricchissimi investitori stanno cambiando la struttura calcistica europea, in cui capitalisti asiatici, oligarchi russi, sceicchi arabi, capitalisti americani e cinesi investono somme rilevanti. La sponsorizzazione dei Paesi del Golfo nei cinque-sei principali campionati europei è cresciuta negli ultimi dieci anni: l’investimento del 2010, pari a 26,5 milioni di dollari, è aumentato di sei volte nel periodo successivo. L’anno decisivo per il sorpasso degli Emirati sugli altri paesi è stato il 2014. Ancora non si vedono i risultati, ma è presumibile che arriveranno.

In questo grande scenario, l’Iran si trova in bilico: non investe all’estero e troppo poco all’interno del proprio territorio, e i giocatori scelti dai top club europei sono sempre meno. Può darsi che in Russia al ct Queiroz riesca l’impresa di portare l’Iran oltre il primo turno: sarebbe un risultato incredibile, sì. Il rischio, dopo, è che ridiscenda il buio. Perché le notti passano, ma c’è sempre un po’ di tempo da aspettare.

 

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