La sfida di Morata

Perché il Manchester United ha bisogno proprio di lui, e perché la Premier potrebbe consacrarlo tra i migliori attaccanti d'Europa.

Forse è possibile individuare l’istante esatto in cui Mourinho ha iniziato a pensare ad Álvaro Morata per il suo Manchester United. È quando Zlatan Ibrahimovic, durante il match contro l’Anderlecht in Europa League, atterra male sul ginocchio destro dopo un salto di testa e mette fine alla sua stagione. Siamo al 90esimo minuto, il tecnico portoghese non si scompone e chiama velocemente Martial per giocare i supplementari. Poche ore dopo, Jamie Jackson scrive sul Guardian: «La sfortuna di Ibrahimovic potrebbe produrre dei dividendi per il Manchester United. In questo modo, Mourinho ha ricomposto la coppia Rashford-Lingard, con il giovane Marcus centravanti. Proprio lui ha trovato il gol decisivo per la qualificazione dei Red Devils, che quindi hanno vinto la partita solo dopo l’uscita dal campo del totem svedese. Se Ibra resterà fuori per il resto della stagione, potrebbe non essere una grande perdita».

Da quell’istante esatto, e fino al termine della stagione, Mourinho è stato costretto a riscoprire l’utilizzo di una punta unica completamente diversa rispetto a Ibrahimovic. Il suo Manchester United, costruito progressivamente intorno al gioco statico e alle caratteristiche da accentratore dello svedese, si è adattato alla situazione e ha imparato a sfruttare un centravanti mobile, dinamico, che svaria lungo tutto il fronte d’attacco. Rashford ha ereditato il posto da titolare per la competizione che nel frattempo è diventata importante (l’Europa League), Rooney si è alternato con il giovane wonderkid per gli ultimi match di Premier League. I risultati sono stati positivi, soprattutto in Europa, ma il contributo in fase realizzativa dei due supplenti di Zlatan è stato abbastanza scarso: un solo gol per Rashford, contro il Celta Vigo; due reti per Rooney, non propriamente decisive, contro lo Swansea a Old Trafford e contro il Tottenham a White Hart Lane. Con queste cifre e queste premesse tattiche, statistiche e narrative, è facile immaginare che il pensiero di Álvaro Morata si sia evoluto in maniera graduale nella testa di Mourinho: prima interesse reale, poi una vera e propria trattativa di mercato. Infine, un matrimonio auspicato, di comune interesse e ad altissimo potenziale tecnico. Il centravanti del Real Madrid sarebbe l’uomo perfetto per garantire la giusta vivacità al gioco dello United senza rinunciare a quella che resta la cosa significativa se il tuo mestiere è fare l’attaccante: realizzare un certo numero di gol.

morata

Dall’alto a sinistra, in senso orario, tre heatmap personali: Ibrahimovic contro l’Everton; Rashford durante la finale di Europa League Ajax-Man United; Morata nella partita contro il Deportivo La Coruña. La distribuzione posizionale tra la prima mappa e le altre due segna la differenza tra l’interpretazione del ruolo di centravanti dello svedese e l’idea di gioco di due punte diverse, più dinamiche e con maggiori qualità di scatto e inserimento. Anche Morata appartiene al gruppo degli “attaccanti di movimento”, anche se ha caratteristiche ancora più particolari.

C’è un importante background nel rapporto Mourinho-Morata, il loro incontro ai tempi del Real Madrid è una storia di profonda folgorazione tecnica. Dopo la terza partita in cui Morata scende in campo da titolare con la prima squadra, Ryan Bailey scrive su Bleacher Report: «Morata gioca ad altissimo ritmo, si muove in maniera brillante lungo tutto il campo ed è sempre in agguato alla ricerca del gol. Le sue prime apparizioni con il Madrid sono la garanzia assoluta di un futuro brillante». Queste considerazioni si fondano su esordi impressionanti per sfoggio di doti e personalità, su esperienze iniziali di gioco che presentano Morata come una prima punta dal profilo tattico atipico, associativo: nel giorno del suo debutto con il Real, in Copa del Rey contro il Levante, Morata è protagonista nella realizzazione dell’ultimo gol di Pedro Leon, con una percussione in area (piede perno e aggiramento del primo difensore, dribbling secco sul secondo avversario e conclusione di sinistro); il suo primo match da titolare con la prima squadra, in Copa del Rey, in casa dell’Alcoyano, si sublima in un assist vincente per la rete di Benzema; nella sua prima notte di Champions, da subentrato contro l’Ajax, regala a Callejón uno splendido cross dopo un’azione palla al piede, sulla fascia destra; alla prima da titolare in Liga, contro il Rayo Vallecano, segna dopo pochi secondi di gioco, ed è sorprendente osservare i suoi movimenti, la sua corsa lenta sul lato debole dell’area mentre segue con lo sguardo il pallone, lo scatto che piomba sull’assist smorzato, il tiro non forte ma precisissimo – ovvero il gesto tecnico giusto per finalizzare l’azione. È un’istantanea del centravanti.

Nella partita successiva da titolare, Morata dà una prima, grande definizione della sua versatilità tattica. È il Clásico del 2 marzo 2013, Mourinho lo schiera esterno offensivo a sinistra, con Benzema punta centrale. L’intesa tecnica si manifesta immediatamente, con una grande azione personale del giovane Álvaro sulla fascia mancina, uno contro uno contro Dani Alves e servizio al centro, di sinistro, a premiare l’inserimento dell’algerino alle spalle di Mascherano. Un’azione così potrebbe bastare, anche da sola, a descrivere il perfetto feeling tra Morata e Mourinho, ma c’è anche dell’altro: pochi giorni prima, l’attaccante madrileno spiega alla stampa che il suo allenatore «è il migliore al mondo, i campioni e i giovani che ha a disposizione sono sostenuti allo stesso modo»; a novembre, dopo il primo gol in Liga contro il Levante, il tecnico portoghese dichiara che Morata «è un ragazzo equilibrato», che è importante possa avere «una crescita serena». Ovviamente, non dimentica di aggiungere che «il responsabile del suo inserimento nell’organico della prima squadra si chiama José Mourinho».

Difficile che Mourinho non apprezzi particolarmente un centravanti che riesca solamente a pensarlo, un assist del genere.

La suggestione di una nuova reunion tra Morata e Mourinho ha già ispirato una piccola enciclopedia della letteratura tattica. In tutti gli articoli sparsi in rete, ci sono argomentazioni valide perché verificate nei dati. Su Squawka, ad esempio, si legge del dinamismo e della mobilità di Morata, ne abbiamo già parlato sopra, ma anche della perfetta aderenza tra la struttura fisica dello spagnolo e il set di compiti e movimenti che il manager portoghese ha storicamente destinato alla sua prima punta: «Morata è un attaccante alto, con le spalle larghe, che gioca dando una sensazione assoluta di sicurezza e forza. Tiene bene la palla, per i difensori avversari è sempre complicato intervenire per togliergli il possesso. Queste caratteristiche e queste abilità gli permettono di giocare come punto di riferimento in attacco, un ruolo essenziale nello scacchiere tattico disegnato da Mourinho nelle sue varie esperienze. Da Derlei a Drogba, Milito e Diego Costa, nelle squadre costruite dal tecnico portoghese c’è sempre stato un centravanti bravo a gestire il pallone e a coinvolgere i compagni nella manovra offensiva». Nella stagione appena conclusa, Morata ha segnato 15 reti per 1331′ giocati in Liga, ma ha anche saputo partecipare alla costruzione del gioco offensivo: tra assist vincenti (5) e key passes (13), le chance create sono 18. Semplificando, Morata fa un lavoro associativo e di conclusione che porta alla creazione o alla concretizzazione di un’occasione da gol da gol ogni 73′ di gioco.

Altri due spunti interessanti sono quelli su cui Ryan Baldi ha fondato la sua analisi per FourFourTwo. Il primo riguarda la qualità offensiva di Morata, la crescita della sua abilità nell’arte della finalizzazione: «Morata non è sempre stato una punta molto regolare sotto porta, le 20 reti realizzate quest’anno rappresentano infatti il suo career high. C’è però da dire che l’attaccante del Madrid non è mai stato davvero titolare nelle squadre in cui ha giocato, e anche in questa stagione è andata così. Nonostante la sua condizione sia particolare, il rapporto tra gol e tempo di gioco è altissimo: una realizzazione ogni 89 minuti, solo Messi ha una media migliore nel campionato spagnolo. Il suo tasso di conversione (27,22%), poi, è superiore a quello di Lukaku (22,72%), Belotti (20%) e Kane (23,36%). Zlatan Ibrahimovic, terminale offensivo dello United 2015/2016, ha fermato il suo conversion rate al 15,45%». A questi dati va aggiunto quello sulla shot accuracy, pari al 63% su 54 conclusioni tentate in Liga: solo Benzema, tra i calciatori che hanno tirato più di 50 volte verso la porta, ha un rapporto migliore – la stessa percentuale è distribuita su un numero maggiore di tentativi (69). In Champions League, questa statistica sale fino al 75%. In media, quindi, Morata tira sette volte su dieci nello specchio della porta.

Morata segna in tutti i modi

Il secondo tema dell’articolo di FourFourTwo riguarda un aspetto concettuale riferito all’eventuale arrivo di Morata al Manchester United: l’operazione rappresenterebbe un importante investimento a lungo termine, in relazione all’effetto del singolo calciatore sui risultati della squadra, ma anche alla possibilità che il suo stile di gioco possa portare alla valorizzazione di tutto l’organico a disposizione di Mourinho. È una differenza sostanziale con l’operazione-Ibrahimovic, è un’inversione della dimensione temporale del progetto, dal “tutto e subito” a un upgrade dilatato nel tempo, quindi armonico e condiviso: «Zlatan Ibrahimovic, nella sua stagione in Inghilterra, ha fugato tutti i dubbi sul suo valore realizzando 28 gol. Eppure, la sua figura è stata ingombrante per il resto dei calciatori della rosa dei Red Devils: il secondo realizzatore in Premier dello United è stato Juan Mata, con appena 6 reti. La presenza dello svedese nella manovra offensiva è totalizzante, si può definire addirittura frustrante per i compagni. L’arrivo di Morata favorirebbe una distribuzione più democratica dei gol, anche perché la sua capacità di ad aprire lo spazio tra terzini e centrali avversari permetterebbe agli esterni offensivi (Martial e Rashford, per esempio) di sfruttare l’arma del movimento a rientrare dalla fascia, di inserirsi con maggiore continuità alla ricerca della conclusione».

Álvaro Morata al Manchester United è un’ipotesi di grande impatto narrativo, che poggerebbe su una serie di sottotracce molto suggestive. Il nuovo incontro con il mentore Mourinho si accompagnerebbe alla ricostruzione dell’asse con Paul Pogba. Il loro rapporto, durante l’esperienza condivisa alla Juventus, è stato istintivo: fuori dal campo, le convenzionali parole di apprezzamento e le dichiarazioni di amicizia si sono mischiate a momenti di incomprensione, come quando Paul accusò Álvaro di non «avergli passato la palla» dopo il pareggio di Mönchengladbach, in Champions League; durante il gioco, i loro scambi sono il racconto di un talento similare, infinito ma improvviso, la loro intesa non ha una cronologia lunga ma si nutre di momenti di pura bellezza ad altissimo tasso tecnico. La centralità di Pogba nello United di Mourinho e la sua nuova dimensione di leader tecnico nella costruzione della manovra dei Red Devils potrebbero modificare la situazione nel caso Morata arrivasse a Old Trafford: il francese si sta lentamente trasformando in un centrocampista moderno e quindi completo, l’appoggio del suo gioco su un centravanti mobile come Morata potrebbe moltiplicare le occasioni di rilancio dell’azione lungo una direttrice conosciuta, già apprezzata nelle due stagioni in bianconero. Soprattutto quando Álvaro e Paul, allora 22enni (le loro date di nascita sono distanti cinque mesi, ottobre 1992 per Morata e marzo 1993 per Pogba), trascinarono letteralmente la Juventus alla finale di Champions League 2015.

Non sarebbe male rivedere cose così

L’altro grande significato che Morata potrebbe ricercare in un’avventura a Manchester è quello della consacrazione definitiva, della certificazione della sua dimensione di top player. Che, paradossalmente, non è ancora stata pienamente conquistata – a dispetto della percezione comune e di un palmarés già impressionante. Basta guardare ai numeri – quelli più superficiali ma comunque significativi delle statistiche basiche – per rendersi conto che l’attaccante del Madrid deve ancora trovare la sua collocazione finale nella mappa del talento calcistico:  la stagione appena terminata è l’unica in cui abbia superato gli 8 gol in campionato. I dati avanzati dimostrano che Morata è un progetto di top player, le doti tecniche sono enormi, esattamente come i margini di miglioramento. Quello che gli è ancora mancato è un luogo geografico e calcistico in cui potersi esprimere con continuità, in cui misurare una star quality riconosciuta ma non ancora compiuta, rifinita.

David Amoyal, in un pezzo sulla versione inglese di calciomercato.com, ha sintetizzato la particolare condizione dell’attaccante del Real Madrid: «I numeri di Morata, soprattutto quello riferito ai gol segnati, non sono così impressionanti. Eppure le persone che recensiscono le sue partite e guardano il suo modo di stare in campo non esitano a etichettarlo come un grande campione. Ecco, evidentemente il centravanti spagnolo è uno di quei casi di studio in cui le statistiche non riescono a dire tutto quello che c’è da dire». Il Manchester United, probabilmente, è un’occasione migliore per chiudere anche questo discorso, per dissolvere le poche perplessità che restano. Per mettere un punto sulla presunta incompiutezza di Morata. Dopotutto è difficile trovare un luogo più suggestivo di Old Trafford, per definire l’esito di una carriera che promette così tanto, così bene.