Il tempo e Leo Messi

I 30 anni di Messi per riflettere sull'argentino: perché ci sembra che non invecchi mai, e perché questo ha a che fare anche con il suo calcio.

Nella storia di Leo Messi il tempo si ferma. Quando aveva dieci anni, smise di crescere: una deficienza ormonale. «Crescerò?», chiedeva il piccolo Leo. «Sarai più alto di Maradona. Non so se sarai migliore di lui. Ma più alto sì», gli rispose il dottor Schwarsztein. Ma per riuscirci, Messi non poteva farcela da solo. «Cominciai a seguire un trattamento perché mi aiutasse a crescere». È il Barcellona che gli paga le cure, molto care: 1500 dollari al mese. «Ogni notte dovevo infilarmi un ago nelle gambe, ogni notte di ogni settimana, e questo per tre anni. Ero molto piccolo: quando ero in campo, o quando andavo a scuola, ero sempre il più piccolo di tutti. Solo quando si concluse il trattamento cominciai a crescere adeguatamente».

Ma le lancette, per Leo Messi, non hanno ripreso a ticchettare. Nemmeno ora che l’argentino compie 30 anni. Ne aveva 22 quando ha vinto il primo Pallone d’Oro. Da allora, però, non sembra che sia cambiato molto. Niente si è messo di traverso nella sua carriera: né un’annata sfortunata, né uno screzio con un allenatore, né un pettegolezzo extra campo. È come se Messi sia riuscito a cristallizzare il momento in cui essere all’apice: ripeterlo sempre e sempre uguale, demiurgo di un universo immerso in una dimensione atemporale, senza cesure, senza rivoluzioni. Non basta essere Messi per giocare da Messi. Non è sufficiente far parte di una delle squadre più vincenti della storia del calcio: mentre attorno a lui cambiavano giocatori, allenatori, presidenti, lui rimaneva se stesso.

Barcelona v Arsenal - UEFA Champions League

Insieme a Cristiano Ronaldo, Lionel Messi ha scandito un’epoca. Dal 2008 il Pallone d’Oro è stato sempre una loro questione privata. Si sono spartiti otto delle ultime 12 Champions League. Il loro ingresso nei 30 anni, in un’età che potrebbe preludere a una fase discendente delle loro carriere, non ha rovesciato le gerarchie del calcio. Anche nel modo in cui sono arrivati a questa età, Messi e Ronaldo rispecchiano il loro modo di interpretare il calcio. Quando si sono trovati per la prima volta nello stesso campionato, nel 2009, Messi era centravanti e Ronaldo giocava esclusivamente sulla fascia. Oggi la situazione è grossomodo capovolta, ma la genesi è diversa. Negli ultimi anni, e stabilmente negli ultimi mesi, Ronaldo ha avanzato il suo raggio d’azione per gestirsi meglio all’interno del match: il suo è stato uno spostamento autonomo, per non dire autoritario, da individualista. Ronaldo è monarchia; Messi democrazia.

L’evoluzione del Messi calciatore è sempre stata subordinata alle esigenze del collettivo: anche se il più prezioso, l’argentino è un ingranaggio del meccanismo di squadra, non qualcosa di estraneo. Da giocatore cardine del sistema, Messi ha modellato il proprio talento in funzione di quello che c’era attorno. Sin dagli inizi in cui si è affacciato tra i grandi, prendendo posto sulla fascia destra perché gli altri segmenti del tridente, quelli occupati da Ronaldinho ed Eto’o, erano intoccabili, la Pulce ha mostrato il modo in cui il Barcellona avrebbe giocato negli anni a venire: al contrario di Giuly, che scattava alle spalle degli avversari per dare profondità, Messi faceva della conduzione della palla e del dribbling il punto di forza, premesse indispensabili per fraseggiare con i compagni e allargare la difesa avversaria.

FC Barcelona v Manchester City FC - UEFA Champions League

Messi, anche in quanto giocatore formatosi interamente nella cantera blaugrana, ha portato al livello più alto la filosofia che il Barcellona aveva sposato fin dai tempi di Cruijff allenatore: non è stato solo grazie al talento, ma anche al suo senso per la modernità. Con Guardiola, l’argentino falso nove ha rappresentato non solo un esperimento tattico affascinante e duraturo, ma un vero e proprio tratto evolutivo del calcio, reso immortale dai trionfi e da partite manifesto come lo storico 6-2 in casa del Real Madrid nel maggio 2009. Quando quel sistema diventa inefficace, Messi trasloca nuovamente sulla fascia. Anche questo passaggio, tuttavia, è epocale: è ancora lui l’elemento principale della spina dorsale della squadra, perché, in una squadra orfana di Xavi e con una minor predisposizione al giro palla in mediana, si reinventa playmaker a tutto campo.

Per Leo Messi il tempo non trascorre mai perché è sempre stato il tempo di Messi. Quando Wright Thompson, giornalista di Espn, si siede a un tavolo di un hotel di Rosario con Juan Cruz Leguizamón, amico fraterno di Messi sin dai tempi delle giovanili del Newell’s Old Boys, convengono su un punto: non può esistere un Messi che invecchia.

«Da cosa pensi sia spaventato Leo?»
«Dall’abbandonare il calcio».
«Non riesco a immaginare Messi a 50 anni».
«Per la verità, nemmeno io».