Il salto di qualità

Sei giocatori che, cambiando squadra, hanno l'opportunità di migliorare esponenzialmente le proprie carriere.

È un calciomercato sorprendentemente ricco per essere arrivato soltanto ai primi giorni di luglio. Abbiamo selezionato sei calciatori (più tre) che hanno cambiato già squadra – o sono in procinto di farlo – e che hanno un destino in comune: sono pronti a un salto di qualità decisivo per la loro carriera. Sono le storie di occasioni da sfruttare, di trasferimenti che possono diventare un punto di svolta dal punto di vista tecnico, e professionale: aumentano le responsabilità e le pressioni, ma crescono anche le possibilità di confrontarsi con i campioni più affermati, di migliorare ancora. Di passare al livello successivo, di assecondare l’ambizione. È il ciclo del calcio che si ripete, sempre uguale eppure diverso, a ogni operazione e per tutte le sessioni di mercato.

Rick Karsdorp

Il passaggio di Rick Karsdorp alla Roma prosegue una tradizione moderna, quella degli olandesi in giallorosso: Stekelemburg, Strootman ed Emanuelson, dal 2011 ad oggi, sono stati gli unici predecessori del 22enne ex terzino del Feyenoord. Per il quale Giovanni Van Bronckhorst, oggi tecnico del club di Rotterdam, ha speso parole di grande orgoglio e incoraggiamento: «Tutto lo staff del Feyenoord dovrebbe essere fiero del percorso fatto da Rick dal 2014 a oggi. È riuscito ad accumulare l’esperienza giusta per poter giocare in un club importante come la Roma, che rappresenta il miglior ambiente possibile per continuare la sua evoluzione».

Il tentativo di upgrade di Karsdorp discende proprio dalla sua abilità potenziale, dal valore riconosciuto anche a livello internazionale: la Eredivisie è stata la dimensione perfetta per cominciare, ma la scarsa competitività tecnica e tattica del campionato olandese si è rivelata già troppo limitante per un terzino dal profilo così moderno. Basta leggere le statistiche e guardare un video di Karsdorp per percepire qualità e forza e completezza del 22enne di Schoonhoven – località dell’Olanda meridionale conosciuta con il soprannome di Zilverstad, città dell’argento –: da esterno basso, Karsdorp mette insieme 4 cross tentati e una media di 55 palloni giocati per match, con una percentuale di precisione superiore all’80%. L’esperienza del suo gioco, al di là dei numeri, si compone di una predisposizione naturale ad ogni situazione, abbinata a una struttura fisica di grande impatto (1,84 x 80) ma che non limita la velocità sul breve e sul lungo. Nel montaggio sotto, sono emblematici – anche perché frequenti – i momenti in cui Karsdorp compie una diagonale lunghissima per chiudere sulla fascia sinistra, e poi ha pure la lucidità di far ripartire la manovra.

Supremacy

Anche il profilo tattico di Karsdorp è aderente alla sua nuova avventura alla Roma, che combacia con l’inizio dell’era Di Francesco: Alex Lynch, su Outsideoftheboot, l’ha descritto come «un terzino d’attacco disciplinato anche in fase difensiva, erede di quella nuova generazione di esterni bassi che sanno essere determinanti in entrambe le fasi, come Dani Alves, Marcelo, Bellerín». Un portfolio del genere permette all’olandese di candidarsi subito come uomo di riferimento per la fascia destra di Di Francesco, sia che il tecnico confermi il 4-3-3 utilizzato a Sassuolo ma anche nel caso in cui prosegua sulla strada tracciata da Spalletti, ovvero il 3-5-2 asimmetrico che ha caratterizzato l’ultima fase di stagione. L’unico dubbio sull’operazione Roma-Karsdorp può riguardare la consistenza del suo gioco in un campionato tatticamente più complesso e articolato, ma i presupposti del trasferimento sono quelli di un incastro perfetto, dal punto di vista tecnico e narrativo.

Tiemoué Bakayoko

La carriera di Bakayoko segue una traiettoria convenzionale eppure non banale, racconta la costruzione progressiva, passo dopo passo, di un grande calciatore. La condizione di partenza è molto lontana da quella del wonderkid, del predestinato: per esempio, è stato respinto all’accademia di Clairfontaine ed è stato tagliato dal tecnico Philippe Montanier alla vigilia della prima stagione con il Rennes. Lo racconta lo stesso Tiemoué, in un’intervistaLe Parisien: «Quando la prima squadra si è radunata per il ritiro precampionato a Carnac, un solo giocatore è stato lasciato fuori: ero io. Inizialmente ho provato una forma di rabbia, ma presto mi sono reso conto di essere l’unico colpevole di questa situazione. Ho cercato di credere di più in me stesso, dopo è accaduto tutto molto in fretta». L’intervista è stata pubblicata sul sito internet del giornale parigino il giorno di Natale del 2013, quando Bakayoko ha appena firmato il primo contratto da professionista con il club bretone e ha collezionato 12 partite da titolare con un gol, segnato a ottobre contro il Tolosa. Sono bastati cinque mesi, al mediano francoivoriano, per far cambiare idea al suo allenatore.

La stessa dinamica si ripete al Monaco, più dilatata nel tempo: l’esordio contro il Lorient – prima di campionato della stagione 2014/15 – termina male dopo 31 minuti, Bakayoko racconta a L’Equipe che quella prima partita «ha incrinato da subito il rapporto con Jardim». Non gioca nelle successive 7 partite, a maggio del 2016 ha messo insieme 24 presenze da titolare in Ligue 1. «Due stagioni che mi hanno formato», spiegherà ancora a L’Equipe. Parole verificate nei fatti: nell’annata 2016/17 ha giocato 30 partite da titolare tra campionato e Champions League, risultando il migliore passatore dell’intero organico del Monaco (87%). Schierato nel cuore del centrocampo, nel doble pivote accanto a Fabinho, riesce a coniugare l’intelligenza nella fase di costruzione con un buon lavoro di interdizione. La sua presenza è preziosa, irrinunciabile, segna anche contro il Manchester City nella notte indimenticabile del Louis II, ma basta guardare gli highlights personali del match contro la squadra di Guardiola per rendersi conto che Bakayoko è un centrocampista completo, moderno, che alla fisicità abbina la qualità nel trattamento del pallone.

Esuberanza atletica e sensibilità di tocco

In un articolo su FourFourTwo, Michael Yokhin presenta il passaggio di Bakayoko al Chelsea attraverso una suggestione che, per una volta, potrebbe ribaltare il topos narrativo secondo cui il centrocampista del Monaco rincorre e poi riesce ad afferrare la gloria: «Bakayoko ha gradualmente realizzato il suo potenziale nel Principato, ha contribuito alla crescita della squadra di Jardim con la sua combinazione di potenza fisica e visione di gioco. È logico che il Chelsea abbia deciso di metterlo accanto a Kanté, anche perché il vero responsabile dell’upgrade di Bakayoko è stato Claude Makélélé. Nel suo periodo come assistente tecnico al Monaco, l’ex di Chelsea e Real Madrid ha consigliato Bakayoko dal punto di vista del gioco e della gestione extracampo. Grazie a questa consulenza, a 24 anni da compiere, Tiemoué è pronto per una big». Questa anteprima, l’incontro con Makélélé, l’idea di condividere con Kanté il lavoro al centro della mediana a quattro di Conte: ecco le nuove premesse di Bakayoko. Sono assolute, totali, positive. Finalmente, viene da dire.

Bernardo Silva

Spesso, quando il mercato crea un cambio di maglia tanto importante, si tende a cristallizzare l’intera analisi intorno al discorso economico, a un possibile bilancio tra prezzo e rendimento sul campo. Questo atteggiamento finisce per appiattire tutta una serie di significati importanti, relativi ai rapporti umani, al possibile valore tattico e persino culturale di una certa operazione. L’acquisto di Bernardo Silva da parte del Manchester City è l’investimento più imponente del mercato appena cominciato, i 50 milioni di euro spesi dai Citizens sono una cifra autoevidente, del resto. Nonostante questo peso finanziario, l’impatto narrativo del trasferimento non è stato depotenziato, soprattutto in relazione all’incontro tra la qualità del calciatore e Pep Guardiola: in un’intervista a Marca, il portoghese ex Monaco ha dichiarato di aver scelto il Man City perché «da anni seguo e apprezzo il lavoro di Guardiola»; in un pezzo pubblicato su Espn, Simon Curtis scrive che «l’operazione Bernardo Silva ha mostrato la vera ambizione del tecnico catalano, l’intenzione di grandezza che caratterizza la sua seconda stagione a Manchester».

L’incastro tra Guardiola e Bernardo Silva è virtualmente perfetto: pochi giocatori, negli ultimi anni, sono riusciti a far convivere una cifra tecnica così elevata e un contributo al gioco di squadra tanto determinante. L’esterno cresciuto nel Benfica è creativo (59 occasioni costruite, 1,9 dribbling per match) eppure disciplinato, oltre che freddo in fase conclusiva (10 gol nell’ultima stagione, tra campionato e Champions League). Dal punto di vista tattico, una collocazione di ruolo variabile perché atipica, che altrove potrebbe rappresentare un limite, diventa un pregio quando il tuo tecnico è praticamente uno scienziato, uno da esperimento compulsivo. E che, pur avendo già in organico David Silva, Leroy Sané, Kevin De Bruyne e Raheem Sterling, ha deciso di non resistere al richiamo del talento e del gioco universale di «un calciatore dotato di un’intelligenza che sembra smentire la sua giovane età» (Callum Davis, Telegraph). Bernardo Silva forse non poteva avere un futuro migliore per continuare la sua evoluzione.


Bernardo Silva e il gioco universale

Serge Gnabry

Nella guida al calcio europea pubblicata sul numero 12 di Undici, il passaggio di Serge Gnabry dall’Arsenal al Werder Brema veniva presentato così: «Serge ha l’occasione per ricostruire la propria identità calcistica dopo l’adolescenza da wonderkid e la realtà delle 21 partite ufficiali giocate dal 2012 al 2016. Il Werder l’ha acquistato a titolo definitivo, lui ha dichiarato di aver scelto di ripartire dalla Germania per “giocare il più possibile, migliorare ancora”. A 21 anni, può recuperare il tempo perduto, rispolverare parte di quell’hype rimasto senza riscontro».

L’obiettivo è stato centrato: Gnabry, oggi, è una parte importante della campagna di rinnovamento che il Bayern Monaco ha deciso di impostare sulla policy del talento giovane –  insieme a lui sono già arrivati Süle, Tolisso, Rudy –, è il tentativo di riprodurre a un livello più alto il grande impatto avuto sulla Bundesliga come uomo offensivo, soprattutto come finalizzatore. Nella sua stagione al Werder, il dato più impressionante di Gnabry è riferito alla fase conclusiva: pur partendo solitamente da una posizione esterna, non da centravanti puro, l’ex Arsenal ha realizzato 11 gol con una media di 2,3 conclusioni a partita. In articolo pubblicato su Outsideoftheboot, si legge che «una delle caratteristiche più significative di Gnabry è la sua capacità di leggere lo spazio tra i difensori e alle loro spalle, che gli permette di farsi trovare nel luogo giusto al momento giusto: da qui nascono i 6 gol che l’hanno reso capocannoniere degli ultimi giochi olimpici».

Gnabry, nell’ultimo anno

Il racconto di Gnabry è stato rivoluzionato nel giro di dieci mesi: la spedizione olimpica da protagonista, la riscoperta del talento nel Werder e il successo agli Europei Under 21, giusto qualche giorno fa, con cinque partite da titolare e un gol, contro la Repubblica Ceca, segnato grazie al solito movimento a tagliare alle spalle della linea difensiva avversaria. Stefan Kuntz, ct della Mannschaft dei giovani, l’ha schierato a sinistra, come esterno invertito: anche questa collocazione tattica può contribuire a chiudere il cerchio narrativo di Gnabry, passato al Bayern mentre Robben e Ribery sembrano avviarsi al termine della loro carriera. Entrambi, negli ultimi anni, hanno fondato il proprio gioco sulla capacità di rientrare, dall’esterno, sul piede forte. Gnabry si appresta a diventare la loro prima alternativa, data l’età avanzata dei due totem è auspicabile che possa avere lo spazio per confermare di aver trovato la sua dimensione – anche se il suo upgrade definitivo passa da una crescita necessaria nel lavoro associativo, di cucitura della manovra. Nel frattempo ha dimostrato di non aver timore delle responsabilità: nel giorno dell’esordio con la Germania di Löw, ha segnato una tripletta, contro San Marino. È staot il primo calciatore, negli ultimi quarant’anni, a riuscire in questo exploit iniziale. Dopo questa piccola impresa, ha dichiarato che il periodo all’Arsenal è stato fondamentale nella sua formazione, perché gli ha permesso di allenarsi e crescere accanto «ai migliori calciatori». Evidentemente, Gnabry non stava disperdendo il suo talento come si pensava, ma era impegnato a costruire il suo futuro, senza troppo clamore. La fase del raccolto va avanti da un po’, ormai, e pare non doversi più fermare.

Theo Hernández

Nei video su Youtube che raccontano la stagione di Theo Hernández, c’è un’azione che definisce le potenzialità infinite del terzino sinistro di proprietà dell’Atlético Madrid, promesso sposo del Real e del suo connazionale Zidane. Siamo al Balaídos di Vigo, Hernandez si appropria di un pallone vagante nella sua metà campo e poi parte in progressione: i primi due uomini del Celta sono evitati con altrettanti tocchi brevi, orientati, il terzo tenta l’intervento ma viene scaraventato via, il quarto prova una scivolata ma viene saltato con il primo controllo dopo l’uno due con un compagno; Hernández conduce il pallone sempre col sinistro e segue una traccia interna, più difficile da esplorare rispetto alla fascia perché più ingolfata di avversari. Si allarga solo alla fine, in modo da aprirsi lo spazio per la conclusione con il piede forte. Il tiro, potentissimo, finisce sulla traversa.

In questa sequenza, si percepisce chiaramente il mix di forza e qualità mostrato quest’anno a Vitoria, con l’Alavés, da Theo Hernández. Il suo profilo è potenzialmente perfetto per l’interpretazione moderna del ruolo di esterno basso: struttura fisica consistente (185 x 78), gran tecnica di base e la capacità di gestire al meglio entrambe le fasi di gioco. Dal punto di vista tecnico e tattico, è difficile avere dei dubbi su un talento così puro, e infatti le uniche perplessità sorgono quando si comincia a parlare di Hernández nella sua dimensione disciplinare e comportamentale: 12 cartellini gialli e uno rosso nella sua prima stagione di Liga, ma anche gravi accuse extracampo (una denuncia per presunte molestie sessuali e un richiamo da parte del Real Madrid per aver svelato in anticipo il suo trasferimento, già praticamente concluso, al Bernabeu) non sono proprio promettenti. La costruzione di un nuovo top player parte dalla cancellazione di questo lato oscuro e dallo sviluppo di un potenziale enorme, assoluto, solo da verificare ed alimentare sui palcoscenici più importanti.

 

Bonus Track

Adam Ounas

Con l’inevitabile e definitivo trasloco di Mertens nel ruolo di centravanti, il Napoli si è ritrovato scoperto nel subreparto degli esterni offensivi. Il francoalgerino del Bordeaux, mancino in grado di giocare su entrambe le fasce, ha passato l’intera estate 2016 a leggere del suo possibile trasferimento al Manchester United, per poi chiudere, coi girondini, una stagione da 3 gol e 20 tra key passes e assist decisivi – un’occasione creata o concretizzata ogni 53 minuti di gioco. Il perfezionamento garantito dal lavoro con Sarri potrà definire il futuro di uno dei fantasisti più talentuosi della sua generazione.

E la suggestione di poter avere un secondo Insigne, dall’altro lato del campo

Enes Ünal

Nel 2015, Outisideoftheboot si chiede se possa essere «il più grande talento della storia calcistica della Turchia»; pochi mesi fa, il Guardian scrive che dopo un lungo periodo di formazione, il centravanti di Osmangazi, distretto di Bursa, «ha dimostrato che l’attesa che si era generata intorno alla sua giovane carriera è finalmente verificata». Nella stagione al Twente, un gol ogni 147 minuti e una superiorità tecnica e fisica a tratti imbarazzante. L’occasione per il lancio definitivo arriva dal Villarreal, che ha dato 14 milioni al Manchester City – che ne deteneva ancora il cartellino. La Spagna e il Submarino Amarillo sembrano il luogo perfetto per accertare il salto di qualità.

Un gol ogni 147 minuti

Antonio Rüdiger

Su Twitter, i tifosi del Chelsea non hanno salutato con molto entusiasmo l’arrivo del difensore tedesco della Roma, forse perché non pienamente consapevoli del suo valore potenziale: per lui parlano le 17 presenze nella Nazionale campione del Mondo, a 24 anni, e i report degli analisti internazionali, che già l’estate scorsa ne esaltavano «la fisicità, il posizionamento difensivo e la lettura del gioco» (Garry Hayes, su Bleacher Report). La stagione 2016/17, divisa tra la posizione naturale di centrale e l’impiego come esterno in un 3-4-3 asimmetrico, hanno contribuito a definire la poliedricità tattica perfetta per integrare l’organico di Conte.

Rüdiger non ha paura